Roma, Olimpiadi del 1960. Abebe Bikila, maratoneta senza scarpe, è il primo atleta africano a vincere un oro olimpico.
Avessimo qui con noi la sua carta d’identità essa reciterebbe: nome, Bikila; cognome, Abebe (per la cultura etiope però prima viene il cognome e poi il nome); nato il 7 agosto 1932 a Jato, in Etiopia.
Fine qui, sulla vita di Abebe fino ai 17 anni non sappiamo nulla. Si sentono leggende, racconti, miti. Si sa per certo che, come molti etiopi in epoca coloniale, nasce in una condizione di estrema povertà. Per questo motivo decide di iniziare la carriera militare pur di sostenere la propria famiglia.
Abebe è preciso, attento, scrupoloso, tant’è che fa carriera in fretta e diventa ben presto guardia personale dell’imperatore Selassié. Visto che il suo lavoro lo richiedeva Bikila dedica grande importanza al culto del proprio corpo, mantenendolo sempre allenato per qualsiasi evenienza.
Proprio viste le sue qualità fisiche non indifferenti lui porta avanti, a mò di hobby, l’atletica. Vince anche dei trofei a livello nazionale senza mai però emergere. O meglio, senza mai voler emergere. Non ama i riflettori, gli piace essere un gregario piuttosto che una stella. D’altronde il suo lavoro implica anche questo.
Tuttavia le sue doti non passano inosservate al talent scout Onni Niksaen che lo adocchia in ottica Olimpiadi 1960. Vede in lui un grande talento che però si sta contenendo. Vuole portarlo su una vetrina mondiale.
Qua iniziano, come in ogni romanzo sportivo che si rispetti, gli intrighi, gli ostacoli, le avventure.
Alla vigilia di Roma 1960 Abebe non doveva essere convocato. Il suo tempo infatti era stato considerato non veritiero dagli organi di selezione: troppo basso per essere vero, non è nemmeno un atleta professionista, dai. Però l’atleta etiope che doveva presentarsi ai nastri di partenza si fa male, per questo Bikila diventa quindi rappresentante dell’Etiopia nella maratona del 10 settembre 1960 a Roma.
Già, Roma. Capitale proprio di quel paese che 25 anni prima aveva straziato la sua terra con una guerra coloniale inutile e dannosa. Abebe c’era, ricorda il dolore vissuto dalla sua gente. E per quanto possa essere un ragazzo tranquillo e pacifico, questo ricordo sarà un’ulteriore spinta nella sua gara.
Qua la storia di quest impresa assume tratti leggendari. Si dice che lo sponsor ufficiale, l’Adidas, avesse “inavvertitamente dimenticato” le scarpe di Abebe. Ma Bikila ha deciso di entrare nella leggenda. Ora non corre più contro i suoi fratelli, i suoi connazionali. Ora corre per i suoi fratelli, i suoi connazionali. Di certo non basterà un paio di scarpe a fermarlo. Correrà scalzo, come ha sempre fatto.
Pronti,via ed il favorito, Rhadi Ben Abdesselam, è già in fuga. Ad inseguirlo diversi atleti, che sperano in un suo crollo. Tra questi c’è anche Abebe.
Scalzo, ma deciso. Si vede che rispetto agli altri inseguitori ha una marcia in più. Ben presto infatti rimane da solo dietro al marocchino.
Rhadi e Abebe entrano nella notte, ma per loro si illuminano le porte di Roma (le gare venivano corse in orario serale ai tempi).
Il marocchino sembra in difficoltà, arranca, ha il passo pesante, perde il suo vantaggio. Al contrario Bikila sembra sempre circondato da un alone di leggerezza, come fosse tutto facile per lui,seppur scalzo. Ed infatti verso il trentesimo chilometro Abebe va in testa. Ora impone lui il suo ritmo.
Abebe pare accarezzare l’asfalto tanto quanto Rhadi lo percuote con passi sempre più pesanti.
Per descrivere il finale mi rifaccio in toto alle parole di Riccardo Cucciolla, attore e voce narrante di quella gara storica.
“Manca un chilometro al traguardo. Adesso Rhadi deve lasciare che Abebe vada da solo, a vivere la fantastica notte.”
Ed eccolo tagliare il traguardo, acclamato come fosse l’eroe di casa. Con quelle braccia tese come a chiedere di non acclamarlo, di non osannarlo. Lui che quella corsa nemmeno doveva farla. E che la conclude col tempo di 2h15’16”. Praticamente quel tempo che nel momento della selezione era stato considerato troppo basso per essere vero.
Nel momento del trionfo Abebe mantiene eleganza e aplomb degne di un lord inglese. Il primo a congratularsi con gli avversari. I suoi occhi però raccontano di un ragazzo che sa di aver scritto una pagina indelebile della storia.
Abebe, ora stella, mai più gregario.