Disinformazione tv
Karolina Grabowska/Pexels
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L’ABISSO TRA PLURALISMO E DISINFORMAZIONE

Quando frequentavo il liceo non mi perdevo una puntata di Virus – Il contagio delle idee, il talk show condotto da Nicola Porro su Rai2, per nessun motivo al mondo. La trasmissione non era male, anche se con il senno di poi la linea editoriale aveva dei tratti discutibili, e il conduttore era incalzante. Tuttavia, ricordo lo smarrimento durante una puntata sui vaccini nel 2016. A Roberto Burioni, noto virologo che stava acquistando visibilità, vennero contrapposti il dj Red Ronnie, l’attrice Eleonora Brigliadori e il padre di un bambino autistico. Lo spazio per la scienza fu poco, quello per la disinformazione fu troppo.

Oltre a percepire per la prima volta una sensazione di disgusto verso il sistema di informazione italiano, in special modo quello televisivo, mi resi conto che il pluralismo nell’informazione non può essere un dogma. La crisi dell’europeismo, la pandemia e la recente guerra in Ucraina hanno evidenziato questo fatto in modo sempre più netto.

L’importanza della consapevolezza

Le reti televisive hanno forgiato una serie di personaggi, pseudo-intellettuali con ambizioni da politici-influencer, che sostengono tesi improponibili con toni accesi per alzare lo share e per avere l’etichetta di trasmissioni democratiche. Allo stesso tempo, rispettabilissimi giornali hanno ospitato le tesi più strampalate mostrandole come autorevoli.

Il problema di questo approccio all’informazione è che non considera a chi queste trasmissioni e questi articoli si rivolgono. Chi è davvero competente di geopolitica, virologia e politica monetaria sicuramente non si informa in questo modo. Il pubblico e i lettori di cui stiamo parlando sono semplici cittadini che, privi di conoscenze settoriali specifiche, cercano di informarsi attraverso i mezzi che reputano migliori. Queste persone spesso non sono in grado di distinguere un’opinione ancorata ai fatti da una supercazzola, né di capire quanto un’analisi sia puntuale. È così che nasce la disinformazione.

Questa riflessione non ha l’obiettivo di colpevolizzare costoro, tutt’altro. Non tutti hanno il tempo e gli strumenti per informarsi in modo preciso. Ma è qui che entra in gioco la responsabilità dei giornalisti.

Prima i fatti, poi le opinioni

Personalmente non credo che tutte le opinioni debbano avere la stessa visibilità a ogni costo. Faccio un esempio pratico che esula dalla baruffa politica di questi tempi. A metà dello scorso decennio scoprimmo che la Xylella stava decimando gli ulivi in Puglia. Ne scaturirono anche strane posizioni, come quella di Vandana Shiva, guru ambientalista consulente del governo Conte II, per la quale la guarigione degli alberi sarebbe avvenuta grazie a un abbraccio ai tronchi malati. Non mancarono i sostenitori del “complotto delle multinazionali” o quelli che negavano ogni elemento fattuale.

Gli organi di informazione, o presunta tale, diedero visibilità a queste tesi presentandole come uno dei differenti punti di vista della questione. Così vagonate di fake news sono state dato in pasto a un pubblico incapace di interpretarle. Presunta invasione dei migranti, matrice del terrorismo islamico, TAP, vaccini, regole europee, concorrenza del settore balneare. Questa è solo una parte dei temi che sono stati presentati con la lente deformante della battaglia tra clan.

Questa impostazione deriva dall’idea che i fatti possano essere contestati, ma non è così. Un’analisi può essere contestata, ma non un fatto. Facciamo un altro esempio, stavolta di natura economica. La componente del sostegno al reddito della misura bandiera del M5S, il reddito di cittadinanza, ha funzionato, almeno in parte, mentre quella delle politiche attive del lavoro è stata un fallimento. Questo non è contestabile, ogni valutazione di impatto fatta restituisce più o meno questo responso. Possiamo discutere sull’opportunità di mantenere il provvedimento così com’è, sulla possibilità di modificarlo, delle implicazioni etiche di un sussidio simile e via discorrendo. I fatti non si discutono, le opinioni sì.

La disinformazione si fa in tanti modi

Certo è che non sono mancate nemmeno le mistificazioni dei fatti, basti pensare ai servizi taglia e cuci di Report redatti per fare sensazionalismo o le verità parziali raccontate dal Fatto Quotidiano su pressoché ogni argomento.

Prima di proseguire, anticipo un’obiezione a cui il lettore avrà sicuramente pensato: non voglio invocare la censura di nessuna posizione. Tuttavia, esigo che venga contestualizzata. Francesca Donato, europarlamentare fuoriuscita dalla Lega conosciuta per tesi no-euro, no-vax e filorusse, non dovrebbe essere messa sullo stesso piano di Elsa Fornero o di Roberto Burioni. Se proprio la si vuole coinvolgere, è auspicabile introdurla con il suo curriculum, se dice falsità va interrotta e smentita. Comportarsi altrimenti significa fare disinformazione, significa fare indirettamente l’apologia di posizioni inaccettabili. Il punto ovviamente non è ostracizzare Francesca Donato, lanciata da Dimartedì, ma contestare un processo di disinformazione sistematico di cui lei è solo un sintomo.

Perché ora è necessaria questa riflessione

Alcuni dei lettori staranno certamente pensando dove fossi fino ieri e che questa mia riflessione ha poco di nuovo: li capisco. Ma ci sono due ma. Il primo è che ribadire l’importanza e la rilevanza dell’informazione non è mai del tutto inutile. Il secondo è inerente all’invasione dell’Ucraina per mano della Russia.

Lo schema cancerogeno che ha reso i mezzi d’informazione una stand-up tragedy si sta ripetendo puntualmente, ma stavolta deve essere diverso. Quando sono minacciati i valori occidentali, le libertà fondamentali e la vita di cittadini innocenti non ci devono essere “verità scomode”, che poi non sono altro che mistificazioni, da contrapporre all’ineluttabile realtà.

I miti del momento sono la filosofa Donatella Di Cesare e il professor Alessandro Orsini. Entrambi lanciati da Piazzapulita, si sono destreggiati nel dibattito presentando le esatte posizioni della Russia come “verità scomode”, invitando Zelensky alla resa per tutelare la pace, mentendo e omettendo informazioni sulle esercitazioni NATO e, addirittura, strumentalizzando e manipolando uno scritto di Primo Levi. Orsini ha incredibilmente chiesto a un giornalista ucraino collegato da remoto se parlasse a nome dei bambini del suo Paese quando invocava la resistenza anziché la resa incondizionata.

Non esistono libertà e pluralismo senza responsabilità

Sui social sono state moltissime e durissime le critiche nei confronti di Corrado Formigli, conduttore del programma di La7. Il giornalista ha risposto con un lungo post pubblicato su Facebook e Twitter.

Giovedì scorso, in seguito ai loro interventi a Piazzapulita, il professor Alessandro Orsini e la professoressa Donatella Di Cesare sono stati bersagliati, trattati da quinte colonne sovietiche. Non è possibile, questa è una barbarie culturale. […] L’opinione pubblica si forma non restringendo il dibattito bensì allargandolo anche alle posizioni più radicali. Trattare i telespettatori da bambini è un vecchio riflesso che speravamo scomparso. Per questo, giovedì a Piazzapulita, ospiteremo nuovamente Donatella Di Cesare e Alessandro Orsini.

Corrado Formigli

Questo estratto è emblematico di quanto i concetti di libertà e responsabilità, intrinsecamente legati tra loro, siano sconosciuti per l’autore. Gli ospiti devono avere la libertà di dire qualsiasi cosa, ma non di subirne le conseguenze. Il conduttore deve essere libero di invitare chi desidera, ma gli spettatori non possono osare criticarlo se nemmeno sottolinea le falsità ribadite dagli ospiti. Sta sostanzialmente dicendo che lui è lì solo per per reggere il microfono dell’intervistato di turno. Anche le posizioni radicali vanno riportate? Certo, ma non bisogna eccedere e, soprattutto, vanno presentate come tali.

Il problema non sono (solo) Formigli e Piazzapulita, contro i quali non ho nulla di personale, ma è quel modo di (non) fare informazione piegando la realtà fattuale alla necessità di intrattenere.

Qualche possibile antidoto alla disinformazione

Ma quindi cosa possono fare le persone per evitare di essere travolte dalla disinformazione? Scegliere contenuti realizzati con esperti veri, a prescindere dal loro orientamento, come Omnibus su La7, è un buon inizio. Prediligere trasmissioni che danno spazio all’analisi dei dati da parte di redazioni competenti, come nel caso di SkyTg24, è un’altra buona pratica. È consigliato leggere gli spiegoni (lunghi articoli in cui si riportano solo fatti) prima delle analisi, in modo da avere più strumenti per valutarle. Diffidare di tutti coloro che parlano di “verità scomode” e “cose che nessuno dice”, ma anche di chi ripete le tesi della propaganda di dittature sanguinarie, è un ottimo punto di partenza.

Infine va ricordato che non esiste solo la televisione, i mezzi informativi sono vari e facilmente fruibili. Ci sono ottime trasmissioni radiofoniche, ad esempio Zapping su RaiRadio1 e Nessun luogo è lontano su Radio24, ci sono podcast di qualità, come Don Chisciotte o Chora. Esistono canali YouTube che fanno buona informazione, Breaking Italy e Liberi Oltre ne sono una testimonianza, ma anche canali Twitch come quello di Ivan Grieco. Questi prodotti, tra l’altro, si possono seguire anche in differita.

I tempi sono cambiati, non è più come quando il meglio dell’informazione era in televisione. Certo, qualche programma si salva: non è tutto da buttare. Ma per informarsi bene serve diversificare le proprie fonti, anche se sembra più faticoso. Eppure non lo è nemmeno così tanto, occorre essere selettivi coi programmi tradizionali e collegare il PC alla tv con un cavo HDMI.

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