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ESTRARRE A SORTE IL PARLAMENTO – AI MARGINI DELLA DEMOCRAZIA

Niente più elezioni, niente più partiti. Come cambierebbe il nostro sistema politico se i parlamentari venissero estratti a sorte tra i cittadini? A questa domanda si dedica il secondo appuntamento di “Ai margini della democrazia”, analizzando le falle della nostra democrazia rappresentativa e valutando come, estraendo a sorte gli “eletti”, le nostre scelte pubbliche potrebbero cambiare.

Qualcosa non va

Nello scorso appuntamento della rubrica abbiamo analizzato come negli ultimi anni la sfrenata ricerca del consenso e il populismo abbiano intaccato l’ideale di democrazia rappresentativa e come il nostro sistema politico non sia stato in grado di attutire il colpo e mitigare gli effetti dell’attacco. Siamo immersi nel paradosso di vivere sotto il miglior regime politico mai esistito e, al tempo stesso, di non riuscire ad evitare di vederne costantemente i fallimenti e le mancanze. Diversi eventi hanno reso manifesta la sub-ottimalità delle decisioni pubbliche che negli anni sono state compiute, in rapida accelerazione nel decennio passato. L’elezione di Donald Trump, l’esito del referendum sulla Brexit, o, senza andare troppo lontano, il rischiato tracollo delle nostre finanze pubbliche e il lento declino della nostra economia, sono tutti esempi di decisioni collettive sub-ottimali. Interrogarci sul sistema politico che le ha rese possibili, quello della democrazia rappresentativa, appare il minimo indispensabile 

In questo quadro, il Parlamento è l’organo costituzionale che meglio incarna il declino della qualità della deliberazione democratica. Camera e Senato hanno perso – o meglio, rinunciato – alle proprie prerogative costituzionali: a suon di decreti legge, questioni di fiducia e voti pilotati dalle segreterie di partito, il potere legislativo, formalmente detenuto dagli Onorevoli Deputati e Senatori, risiede ora nelle mani del Governo, spesso incarnato dai medesimi individui che controllano i voti dei gruppi parlamentari, ovvero i segretari di partito. Quanti di noi saprebbero citare un solo atto legislativo che, nel corso dell’ultima legislatura, sia nato, stato discusso e approvato in Parlamento, senza ingerenza alcuna del Governo o di manifesti interessi partitici? Anche per i più “patiti” di politica la domanda non è di facile risposta. Come può, dunque, il Parlamento, ritrovare la propria centralità e indipendenza, distaccandosi dalla partitocrazia che lo guida e dalle ingerenze governative che lo esautorano?

Estrarre i parlamentari

Interrogandoci sulle cause del declino del potere parlamentare, non abbiamo potuto che notare due grandi elefanti nella stanza: la ricerca del consenso e la partitocrazia. Il primo meccanismo opera guidando l’azione politica non verso il bene pubblico, ma verso quello di partito, ovvero il consenso. Nel primo appuntamento della rubrica, abbiamo visto come spesso i due fini siano in contrasto: ciò che è bene per il consenso immediato di un partito, non sempre è bene per il destino di lungo termine del Paese. Il secondo meccanismo garantisce alle parti politiche l’attuazione del primo, rendendo il parlamentare medio più simile ad un numero funzionale al superamento della soglia di maggioranza che a un effettivo decision maker

È proprio da questo punto che comincia la nostra valutazione di un sistema parlamentare “estrattivo” (e non elettivo). NOn è infatti difficile vedere come, in un sistema a sorteggio, il cittadino estratto torni a dare prestigio alla figura del Parlamentare, inteso come individuo indipendente e responsabile delle proprie scelte, che risponda alla propria coscienza e deliberi al meglio delle proprie capacità e competenze.

Si noti che la non elezione dei membri del Parlamento non comporta un perdita di rappresentatività politica. Non c’è alcun motivo per cui un migliaio di cittadini estratti a sorte (poco più di quanti sono oggi i Deputati e i Senatori) debbano essere meno rappresentativi di un migliaio di eletti. La probabilità che ciascun individuo-tipo venga estratto corrisponde esattamente al peso politico di tale individuo alle elezioni. È naturale però rimanere scettici. Siamo davvero disposti a rinunciare alle elezioni politiche per restituire al Parlamento la sua centralità? Forse non è necessario.

Eleggere il Governo

Una seconda possibile obiezione ai paragrafi precedenti è legata alle premesse poste a supporto della tesi della perdita di centralità e indipendenza del Parlamento. In fondo, si potrebbe obiettare, che male c’è se i parlamentari non deviano dalla linea del partito con cui sono stati eletti, pena la mancata rielezione alla tornata successiva? Dopo tutto sono stati votati per questo, no?

Se tali obiezioni appaiono a prima vista ragionevoli, un’analisi più approfondita dimostrerà che esse nascono da una sostanziale incomprensione del ruolo del Parlamento. Se il compito del parlamentare fosse esclusivamente quello di attenersi alla linea di partito, a cosa servirebbero i parlamentari stessi? Sarebbe sufficiente assegnare a ciascun partito un peso parlamentare e far votare le segreterie. Tali obiezioni ci conducono però alla realizzazione di un dato di fatto: le elezioni politiche, assieme all’organo che esse eleggono, sembrano aver perso il loro significato originario di elezione dei rappresentanti, in favore del crescente peso che oggi partiti politici e singoli leader possono vantare.

Il fattore della partitocrazia, unito alla crescente centralità dei leader politici, conferisce oggi alle elezioni nazionali valore governativo. Molti cittadini, nell’esprimere il proprio voto, de jure indicano la loro scelta in merito al proprio rappresentante parlamentare, ma de facto manifestano la propria preferenza per un candidato premier. In questo quadro il Parlamento, originariamente sede stessa del potere legislativo, è diventato un mero mezzo verso tale potere, oggi spartito tra esecutivo e segretari di partito di maggioranza, figure spesso addirittura incarnate dalla stessa persona.

Il passaggio da un parlamento elettivo ad uno estrattivo non comporta dunque necessariamente l’abbandono delle elezioni, ma al contrario offrirebbe la possibilità di renderle più fedeli al loro significato fattuale. L’elezione diretta del Capo di Governo, come avviene in altri Paesi, e l’estrazione del parlamento, porterebbe alla compiutezza di quella separazione dei poteri tanto ricercata quanto vacillante nelle odierne democrazie liberali.

Possiamo inoltre facilmente immaginare un sistema politico dove Esecutivo e Legislativo non siano legati da un vincolo di fiducia dal secondo verso il primo, ma entrambi operino congiuntamente nell’elaborazione delle decisioni pubbliche di diversa natura. In effetti, tale assetto istituzionale è molto simile a quello della (sedicente) maggior democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America, in cui il Presidente non è soggetto alla fiducia del Parlamento, e, pur avendo la possibilità di emanare alcuni atti legislativi (tramite gli Executive Orders) è costretto a dialogare e mediare con le due Camere sulle questioni di maggiore rilevanza, anche qualora queste dovessero essere di colore diverso dalla Presidenza. Non a caso molti Presidenti americani si sono espressi in toni di apprezzamento verso la pratica del compromesso e della mediazione e ne sono diventati maestri. Scelte pubbliche frutto di mediazione e dialogo si rivelano puntualmente più oculate di quelle loro controparti guidate dal cieco inseguimento della linea comunicativa del momento. In quest’ottica, un Parlamento estratto a sorte, meno polarizzato e più incline al dialogo potrebbe essere la svolta per una proficuo rapporto di mediazione, e non sottomissione, del Parlamento con la forza politica uscita vincente dalle elezioni presidenziali.

L’estrazione a sorte dei membri del Parlamento potrebbe dunque rappresentare la chiave per una deliberazione pubblica libera da interessi di parte (e di partito) e per un’effettiva separazione dei poteri nell’ambito della Democrazia Liberale. Che rimanga una pura utopia o che si faccia lentamente strada verso l’appetibile, dipenderà da quanto saremo disposti a mettere in discussione le nostre certezze politiche secolari.

2 Comments

  1. Resta solo un problema: se tiriamo a sorte il Parlamento, che risulterebbe sicuramente mediamente migliore di quello odierno, come faccio a votarti alle prossime elezioni? Ha….Giusto…. Potresti candidare direttamente come capo di Governo…. Pensaci…

    • Nessuno dice che sia desiderabile abolire le elezioni. Certo, il rischio che un’elezione governativa risulti nell’elezione del classico populista rimane, ma 1) ciò è di fatto quello che già oggi accade, e soprattutto 2) il ruolo di un parlamento non pilotato dagli stessi partiti che esprimono il Governo, ma indipendente e democratico, sarebbe proprio quello di arginare il potere governativo, e di fungere dunque da check/balance.

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