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MATTARELLA BIS, TRA PARLAMENTO ESANGUE E SEGRETERIE ESAUTORATE

3 Febbraio 2022

Alla fine Mattarella dovrà svuotare nuovamente gli scatoloni e tornare al Quirinale. La richiesta di aiuto del Parlamento non poteva rimanere inascoltata, una volta trovata la formula adeguata per supplicarlo. Era stato chiaro il Presidente: la sua permanenza al Colle non era opportuna, a risentirne sarebbe stata la Costituzione. Mattarella non mentiva, né, probabilmente, ha cambiato idea. È stato messo all’angolo banda di leader senza arte né parte e una mandria di peones senza Dio al di fuori del proprio ego.

Una destra senza classe dirigente

Il centrodestra ha iniziato la settimana ribadendo la propria prerogativa a proporre i nomi per primo. Sarebbe stato ineccepibile, se non avessero addirittura provato a imporre i propri candidati. La coalizione rappresentata da Salvini nelle trattative aveva effettivamente la maggioranza relativa, ma era comunque molto lontana dalla maggioranza assoluta dei 505 voti. Anche perché altrimenti ora avremmo un governo di quel colore.

Anziché provare a intavolare un dialogo con il campo avversario, hanno scelto di offrire una rosa di tre candidati su cui non si poteva contrattare. Tra Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera, tra l’altro, solo quest’ultimo aveva lo standing adeguato. È incredibile che dal 1994 non siano riusciti a formare una classe dirigente che offrisse di meglio.

Poi Salvini ha iniziato a girare Roma, si dice con Conte, per provinare professori universitari e giuristi all’ultimo istante. Dopo aver bruciato Frattini, Presidente del Consiglio di Stato, è stato il turno di Massolo, ex direttore del DIS e presidente di Fincantieri, e Sabino Cassese, costituzionalista di primo livello. Poi ha mandato nella fossa dei leoni Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato. Per la prima volta nella storia della Repubblica la seconda carica dello Stato è stata usata per una conta interna, peraltro finita malissimo. Tra l’altro la debacle era assolutamente preventivabile, visto che la presidenza Casellati è nata in una faida con Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia al Senato, e che non è mai stata apprezzata dai colleghi di tutti i partiti. È stato un suicidio, dovuto al fatto che il leader della Lega frequenta sporadicamente il Senato e si è rifiutato di ascoltare gli esperti del suo partito.

Come Egitto e Russia

Salvini ha poi fatto una mossa inaspettata: si è coordinato con Conte, Bettini (PD) e Meloni per imporre Elisabetta Belloni, attuale direttrice del DIS . Il capo dei servizi segreti è diventato capo dello Stato in due paesi di recente: Russia ed Egitto. È servito l’intervento a gamba tesa del ministro degli Esteri, Di Maio, e del ministro della Difesa, Guerini, per sventare questa opzione, anche grazie alla durezza di Renzi, alla solerzia di Berlusconi e all’aiuto di Liberi e Uguali. Il fronte anti-Belloni è effettivamente variegato, ma è stato assurdo anche solo arrivare a ipotizzare la candidatura di chi ricopre un ruolo simile.

Le donne usate come specchio per le allodole

Alcuni protagonisti, in particolare Renzi e Di Maio, hanno un rapporto personale e professionale duraturo con Elisabetta Belloni e hanno spiegato che il problema fosse il suo ruolo, nonostante un curriculum di livello. Questa candidatura, proposta da Conte, era diventata fortissima nel momento in cui Salvini e lo stesso capo politico del M5S si erano esposti pubblicamente dicendo che stavano “lavorando per avere una Presidente donna”. Addirittura avevano fatto delle uscite social coordinate. Poco dopo era arrivato un imprudente tweet di Grillo, che dava addirittura l’impressione che la trattativa fosse conclusa.

L’obiettivo era forzare le correnti ostili del PD e sfidare Renzi. Ovviamente l’annuncio prematuro ha bruciato ogni remota ipotesi di approvazione.

Questo triste spettacolo arrivava poche ore dopo che il centrodestra aveva provato a contarsi sulla Casellati. La tesi traballante era che la seconda carica dello Stato, soprattutto in quanto donna, non poteva non essere votata dall’opposizione. Non importava che non fosse all’altezza. Per rendere ridicola e anche un po’ offensiva questa mossa, Salvini ha indetto una conferenza stampa durante le votazioni. La deputata Laura Ravetto alla sua destra si è detta “orgogliosa di avere un leader che ha candidato una donna”, la ministra Erika Stefani ha fatto un comizio sul suo ruolo nel governo. Imbarazzante.

Le donne sono state usate come slogan, come mezzo per posizionarsi politicamente. A nessuno è interessato valorizzare le carriere delle tante donne di valore del nostro Paese.

Segreterie esautorate a sinistra

Letta non ha mai contato nulla durante le trattative, rappresentava praticamente solo se stesso. È vero che ha messo molti veti graditi al partito, ma è stato impossibilitato a essere propositivo. Le correnti tiravano in direzioni opposte. Mentre lui sperava di mandare Draghi, Franceschini sperava di tenere Mattarella per essere candidato tra due anni. Come se non bastasse, lo stesso ministro della cultura e il ministro del lavoro, Orlando, si opponevano in modo categorico all’opzione Draghi. Quando Letta si è spinto in là su Belloni, i capi corrente hanno minacciato di metterlo sotto in assemblea.

Il segretario del PD non ha proposto nomi anche perché il principale alleato, il M5S, era spaccato in due e aveva due linee inconciliabili. I gruppi parlamentari avevano inizialmente indicato la preferenza per un bis di Mattarella, poi la situazione era cambiata pur non escludendo tale ipotesi. Conte ha cercato un’asse con i sovranisti, mentre Di Maio lavorava per Draghi. Quando il capo politico e il garante hanno bruciato Belloni, sono stati attaccati in modo durissimo dal ministro degli Esteri. Nei giorni dopo la convergenza su Mattarella è iniziato un fuoco di fila tra l’esercito di Conte, Fatto Quotidiano incluso, e le truppe di Di Maio. È solo l’inizio.

Alleanza sbriciolata a destra

Tenere insieme una coalizione per due terzi al governo e per un terzo all’opposizione non era possibile, infatti si è rotto tutto. Berlusconi ha rinunciato a esercitare ogni influenza, probabilmente deluso per la propria candidatura, fino alla fuga in avanti gialloverde di venerdì sera. A quel punto sembrava che ci fossero due blocchi: popolari (FI, CI, NCI, UDC) e sovranisti (Lega, FDI). La situazione era però più articolata.

La classe dirigente della Lega, incarnata da Giorgetti e dai governatori ma non solo, non è mai stata antieuropeista e tendenzialmente preferisce il governo all’opposizione. Per loro la prima opzione era Draghi, su cui Salvini aveva un veto, ma ripiegare su Mattarella per loro è stato accettabile. A quel punto però l’ormai ex coalizione si è rotta in tre pezzi e, come se non bastasse, la parte più a destra della Lega ha votato di fatto insieme a Fratelli d’Italia.

La strategia iniziale è stato un fallimento totale, anche nel Caroccio la resa dei conti si avvicina. Nel frattempo diverse amministrazioni locali, Liguria e Arezzo in primis, rischiano di cadere proprio a causa degli strascichi dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ad oggi non è più scontato che il centrodestra si presenterà unito alle elezioni politiche del 2022.

Parlamento esangue

Nelle sette votazioni antecedenti a quella decisiva il tasso di astensione è stato altissimo, a turno i grandi elettori di centrodestra e centrosinistra andavano in aula e rifiutavano la scheda. Contestualmente l’indicazione dei leader dei partiti non astenuti è stato quasi sempre di votare scheda bianca, infatti i voti per i candidati di bandiera sono stati rarissimi. Questa combinazione di scelte era dovuta al fatto che altrimenti Mattarella sarebbe stato eletto senza nemmeno una dichiarazione formale di qualche leader.

I membri del gruppo misto, il più sostanzioso della storia, si sono mossi da subito in quella direzione. Ampie frange dei partiti di centrosinistra hanno spinto da subito per la rielezione, così come dei segmenti non trascurabili di centrodestra. Franchi tiratori e peones recalcitranti ci sono sempre stati, sarebbe erroneo asserire il contrario. Ma questa è la prima volta in assoluto in cui la presa di tutti i leader principali sui gruppi parlamentari è praticamente nulla.

La storia della Repubblica ci insegna che più i partiti sono stati deboli, più il Presidente della Repubblica è diventato rilevante. Soprattutto perché il Parlamento continua a indebolirsi in favore del governo e i partiti non sono in grado di accordarsi da soli per formarne uno, si veda la genesi del governo Draghi. Questo doveva essere un ulteriore disincentivo al Mattarella bis, quattordici anni filati rischiano di imprimere un segno indelebile sia sul ruolo della massima carica dello Stato sia sulla forma di governo.

In conclusione

Il Presidente Mattarella merita il supporto e il rispetto di tutti, soprattutto dopo aver visto lo stato in cui versano i partiti: chissà che follie ha dovuto gestire negli ultimi quattro anni. Tuttavia non è De Gaulle, Churchill né Kohl. Non essere riusciti a trovare un’alternativa è grave, anche perché non mancavano le possibilità. Un coacervo di veti incrociati, ambizioni personali, inadeguatezza e cialtronaggine purissima, invece, ha incartato l’elezione.

Ciò che più colpisce, tuttavia, non è la dinamica con cui i partiti si sono arenati prima di implorare Mattarella, bensì la loro narrazione. Soprattutto a sinistra (ma non solo), sono apparsi festanti e gioiosi, fieri e soddisfatti. La casa brucia e loro esultano. La nave affonda e loro suonano. Indeboliscono le istituzioni e loro giubilano.

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