Mattarella resta al Quirinale
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QUIRINALE, ECCO TUTTE LE PAGELLE

1 Febbraio 2022

Le elezioni del Presidente della Repubblica sono state emblematiche delle difficoltà dei partiti, finora riverberate soltanto, si fa per dire, nell’impasse perenne di parlamento e governo. Come sempre c’è chi si è mosso meglio di altri, ma in questo i voti positivi in questa corsa al Quirinale sono davvero pochi.

Conte: 0-. Conferma di avere una sensibilità instituzionale pari a quella di Grillo: inesistente. Prova ad accoltellare gli alleati del PD almeno tre volte, tessendo la tela con Meloni e Salvini con cui fa dei casting in giro per gli hotel di Roma durante le votazioni. Essendo un capo politico scadente è anche poco influente nei gruppi parlamento: non controlla i grandi elettori, che gli preferiscono Di Maio. Usa le donne per motivi propagandistici e porta avanti Belloni, mettendoci sul piano democratico di Russia ed Egitto. Alla fine di tutto il delirio, ha la faccia tosta di negare ogni sua azione. Pericoloso per le istituzioni.

Casellati: 0. Impone la propria candidatura al centrodestra indebolendolo, mettendo in pericolo la persistenza del governo che il suo partito voleva tutelare e sfregiando l’istituzione che rappresenta. Mai la seconda carica dello Stato era stata usata per una conta o era scesa in campo con scarse probabilità di vittoria. Ha inondato i parlamentari di messaggi per essere sostenuta, è stata al telefono durante tutto lo scrutinio, pretendeva di essere ricandidata alla sesta votazione dopo il bagno di sangue della precedente. Evidentemente c’è un motivo se pure in Forza Italia non è amata. Fuoriposto.

Salvini: 2. Vuole fare il kingmaker, ma sbaglia ogni mossa possibile. Brucia più nomilui in cinque giorni che il centrosinistra nella sua storia, tra cui le più importanti personalità del Paese, buttando alle ortiche una chance storica per la sua coalizione. Non riesce a tener testa alla Casellati e la candida senza conoscerne la storia, mette a repentaglio il governo più volte e insiste su un asse improbabile con Conte. Usa le donne per tornaconto personale. Prova a intestarsi Mattarella, ma è troppo tardi. Confuso.

Meloni: 5. Tutti la danno per vincitrice, visto che la sua posizione all’opposizione è stata rafforzata nell’anno pre elettorale. La verità è che ha contribuito a bruciare un’opportunità storica per il centrodestra e ha ottenuto una saldatura della coalizione di governo che avrà diverse conseguenze inclusa la legge elettorale proporzionale che la condannerà all’irrilevanza. Assurda la difesa della candidatura della Belloni in quanto donna, metodo Cirinnà, ignora la sgrammaticatura nell’ascesa del capo dei servizi segreti. Marginale.

Berlusconi: 5,5. Inaugura il dibattito sull’elezione con l’improbabile Operazione Scoiattolo, si ritira poco prima dell’inizio perché non ha i numeri anche se dice che “è per il bene del Paese”. Potrebbe intestarsi Draghi ma non lo fa per motivi strettamente personali: i rapporti si sono deteriorati nell’ultimo anno. Forza Italia si inceppa sulla Casellati e lui non impedisce il frontale: sembra quasi che non gli interessi più. All’ennesimo errore di Salvini rinsavisce e prova ad avere una linea autonoma insieme a Coraggio Italia, chissà che questo schema venga replicato. Affaticato.

Letta: 6-. Il segretario del PD non ha mai rappresentato il PD, spaccato in correnti con obiettivi molto diversi tra loro infatti non ha mai presentato dei nomi. Tra i veti aprioristici, tradimenti contiani e l’errore marchiano sulla Belloni, approvata prima di sondare le correnti che invece erano scettiche, anche lui trova normale che la Direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza possa diventare capo dello Stato e lo ribadisce in tv. Alla fine vince uno dei suoi due nomi più per incapacità strategica degli avversari che per le sue abilità. Festeggia il Mattarella Bis come l’orchestra del Titanic suonava le sue ultime note, fingendo che la Costituzione non ne risenta. Fortunato.

Renzi: 6. Poteva essere l’ago della bilancia, ma non dipendeva da lui. Ha ripetuto diverse volte che “Salvini aveva l’asso nella manica” riferendosi a Giorgetti (quindi a Draghi). Sovrastima le capacità del leader della Lega e contraddice le sue dure parole contro il Mattarella Bis. È perentoreo nella difesa delle istituzioni sul caso Belloni, anche grazie all’inedito asse con Di Maio, Guerini, Berlusconi e Liberi e Uguali. Galleggia.

Giorgetti e i governatori leghisti: 6. I draghiani nel Caroccio non riescono a colpire l’obiettivo dichiarato, ma evitano guai peggiori. Sono infastiditi dalla stretegia folle di Salvini, non la condividono e di fatto gli impognono Mattarella. Viene da chiedersi perché l’hanno sopportato finora e se questi sei giorni imbarazzanti permetteranno loro di imprimere una svolta. Entrare o meno nella coalizione Ursula sarà un tema decisivo per la loro credibilità. Bloccati.

Di Maio: 7. Pur non essendo il kingmaker, è nettamente il migliore in campo (a parte il Presidente). Ha imparato a muoversi in modo efficace: poche dichiarazioni, inviti alla prudenza e fatti inequivocaboli. Evidenzia la debolezza di Conte prima votando Mattarella, per contare la sua pattuglia e lanciare un avvertimento, poi stoppando la candidatura della Belloni con un comunicato durissimo contro Conte e Grillo. Il giorno dopo ha dichiarato di aver lavorato con Guerini, ministro della difesa del PD, per smontare tale inopportuna candidatura e che il M5S avrebbe dovuto aprire una riflessione interna: bye bye, Giuseppi. Ottiene una reprimenda di Travaglio anziché l’elezione di Draghi. Decisivo.

Draghi: 6+. Le sue manifeste ambizioni quirinalizie terremotano i partiti, che si spaccano puntualmente. La sua superiorità lo fa odiare tanto dai peones misto mare, quanto dai colonnelli di partito (Franceschini incluso). Nel momento decisivo aiuta il pressing per Mattarella e salvare la baracca. Tenere insieme questa maggioranza dev’essere un’impresa titanica, farlo in queste ore ancora di più. Resistente.

Mattarella: 8. Avere a che fare con partiti e leader di questa legislatura dev’essere stato un incubo, infatti voleva andarsene. Ha la colpa di non aver chiuso la porta del tutto al suo ritorno, ma forse era inevitabile considerato lo stato pietoso della politica italiana. Certo è che una presidenza di quattordici anni assomiglia molto a un regno. Al di là delle opinioni personali, è un uomo di Stato che merita il rispetto di tutti. Solido.

2 Comments

  1. Analisi molto profonda chr mette in luce quali e tali sono i grandissimi problemi del nostro stato e governo, problemi dovuti sopratutto sllo spasmodico desiderio dei politici non tanto fi fare il bene della nazione ma assicurarsi i posti migliori e la garanzia dei loro privilegi .Non c’e’ altro da aggiungere se non: proveranno un po di vergogna ???!!!!!

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MATTARELLA È STATO IL VERO KINGMAKER

Su “A thousand small sanities. The moral adventure of liberalism” di Adam Gopnik