Mario Giordano si appresta a distruggere una zucca perchè odia Halloween - via YouTube

Il tele-populismo e i suoi segreti, spiegati bene

21 Dicembre 2022

Negli Stati Uniti, aprendo la strada, Fox News ne ha fatto la sua specialità. In Francia, ribollono le polemiche su Cyril Hanouna e sulla sua trasmissione “Touche pas à mon poste”, mentre il presentatore di CNews Jean Marc Morandini – specialista di televisione (spazzatura) – si prepara ad affrontare la prossima udienza di un processo per molestie sessuali su minori.

Paolo Del Debbio e Mario Giordano, nell’Italia che fu anche terra di Gianfranco Funari, “mobilitano le lingue” di giovani e anziani, purché assetati di semplicismo, disimpegnati e, soprattutto, in combutta col mondo intero.

Barbara d’Urso ne ha fatto la sua vita: è il “tele-populismo”. Critica non troppo elitista di un fenomeno mediatico apparentemente inestinguibile. 

Che la televisione sia stata condannata a un progressivo ridimensionamento della sua influenza nella vita pubblica già diversi anni fa, è un’idea ampiamente divulgata e non priva di fondamenta fattuali.

Il futuro è sul web, su Netflix, su Prime e via discorrendo” scrivono gli esperti.

È finita l’epoca di “Colpo grosso”

Tuttavia – potrebbe sembrare strano, ma tant’è – esistono ancora programmi televisivi che riescono a dominare il dibattito sui new media. In Italia, in Francia, negli Stati Uniti che sono stati fucina maledetta di tutta la vomitevole paccottiglia di orrori che egemonizza i nostri teleschermi. Queste trasmissioni hanno progressivamente soppiantato l’idea di “junk tv” che tanto era in voga negli anni Ottanta: gli spettacoli eroticamente scorretti come Colpo grosso e Le Journal du Hard, rassegna di tutto ciò che di meglio aveva a offrire il cinema pornografico.

Al giorno d’oggi, la coscienza femminile (e in generale quella pubblica) ha raggiunto un tale grado di maturazione che tali format sarebbero reputati di una scurrilità degna del sigillo censorio. Eppure, la sparizione di gran parte di queste creazioni, che oggi non potremmo mai recensire seriamente, è da considerarsi come vera e propria matrice dell’esecrabile e sempre più annichilente commistione fra informazione e intrattenimento cui oggi l’opinione pubblica è costantemente esposta.

Accade in televisione, ma non solo.

La tv di Berlusconi che ha fatto scuola

I casi italiani – non è un mistero – consegnano agli aspiranti del mestiere una vera e propria scuola di formazione. Che sia in preda a un pervicace accanimento sulle zucche di Halloween o a uno psicodramma in monopattino (elettrico), l’istrione meno gutturale d’Italia porta il solo nome di Mario Giordano.

Presenta tutti i martedì l’oramai celebre Fuori dal Coro, trasmissione nella quale si adopera più zelantemente di un guerrigliero vietnamita nell’arte di solleticare tutti i più grandi feticci della borghesia italiana. Adornato da ghiribizzi d’ogni sorte – da improbabili cartonati a comparse sottopagate per danze e canzonette – il diversamente baritonale Giordano adora esibirsi come un circense per infornare polemiche non di rado grottesche sulla seriosissima attualità.

Mario Giordano, veterano indiscusso dei tele-populisti

Arzille “nonne Luigine” con la pensione funestata dall’inflazione s’incatenano a sedicenti ristoratori con recensioni pessime, imprenditori indiavolati e altri riti mistici da Piove, governo ladro. Laddove, nella narrazione di Fuori dal Coro, le malefatte della “cattiva Europa” lasciano rimpiangere l’epopea dell’autarchia mussoliniana, ci permettiamo di porre una domanda al buon Giordano: chi potrebbe mai compensare lo charme di un Mussolini a petto nudo intento a falciare grano e sparare supercazzole?

Un solo fil rouge potrebbe forse legare i proclami del Duce con i fonemi del Diversamente Baritonale: la pericolosità per la credenza a vetri? No. Il pubblico. In gran parte analfabeta all’epoca, e non per colpa sua, oggi è tanto accecato dalla propria ira cagnesca da concedersi in visibilio a una telestar anziché a un agitatore pelato che ride delle sue stesse parole.

La linea editoriale della trasmissione, insomma, oscilla in altri termini fra un’interpretazione più o meno comica del pensiero di Camillo Langone e una televendita esoterica di Vanna Marchi. 

Non da meno è la trasmissione del giovedì che di Fuori dal Coro è vera e propria consorella: Dritto e Rovescio, altro funambolico talk-show della nuova Rete 4 e altro emblematico capitolo del nostro dizionario sul tele-populismo.

Timoniere del vascello è in questo caso Paolo Del Debbio, giornalista, ex collaboratore personale del Cavaliere e (udite udite) professore universitario.

“Dritto e Rovescio”… o come trasformare un ranch texano in una trasmissione tv

Le maestranze sono spesso in giovane età, e di fatti vengono prontamente impiegate come reggi-microfono durante inverecondi collegamenti con bocciofile, bar, sedi sindacali, collettivi. I toni sopra le righe sono una costante: ai permanenti cronachisti di destra, fra cui spiccano i nomi del polemista radiofonico anarco-libertario Giuseppe Cruciani e del diretur Maurizio Belpietro, si contrappongono puntualmente le carampane di una sinistra che esiste ancora forse soltanto nelle memorie dello zio Palmiro da Togliattigrad.

C’è l’onnipresente disegnatore Vauro, non giunto a capacitarsi non già della crisi di Budapest del 56, bensì dell’umiliante prestazione dell’Armata Rossa nella guerra di Finlandia; c’è Giorgio Cremaschi, dalla Russia con amore; c’è Marco Rizzo, l’uomo che tutti auspicano debba ancora digerire la bottiglia stappata in occasione della morte di Gorbaciov.

Stesso stile, stesso approccio editoriale all’attualità: molta immigrazione, molta economia terra terra, poca politica e nessuna attenzione alle questioni internazionali.

I dibattiti sui massimi sistemi, poi – che per Del Debbio e il suo pubblico coincidono quasi sempre con i diritti civili – non migliorano il parterre: rinomati editorialisti del calibro del pasdar Mario Adinolfi troveranno quasi sicuramente un valido contraltare nelle opinioni argute di Vladimir Luxuria.

Resta solo da capire a quando sarà rinviato il reclutamento di Elia, il latifondista bisbetico del noto film di Adriano Celentano, per una rubrica sugli usi terapeutici dell’ortica. La qualità dell’italiano parlato, e dal conduttore in particolare modo, in questo spettacolo non potrà che trarne giovamento. 

La filosofia del “sistema Mediaset”

Fuori dal Coro e Dritto e Rovescio sono due esempi plastici del successo strabiliante che il tele-populismo riscuote settimanalmente anche nell’epoca dei social. Il grande declino di Barbara d’Urso, che di questa scuola è stata pioniera e oggi trattiene solo lo slot di Pomeriggio Cinque, non ha fatto spazio a un ridimensionamento della sempre più preoccupante co-fusione fra informazione e intrattenimento, fra serio e faceto, fra esibizionismo guittesco e giornalismo.

Fusione al confronto della quale Gianfranco Funari, che se non altro aveva il merito della denuncia e non ambiva a fare di questioni annose e complesse l’oggetto di polemiche demagogiche, andrebbe rivoltandosi nella tomba.

Sacrosanto è difendere un’Italia ancora legata alle proprie tradizioni, ai propri usi e costumi iconici: deprecabile, di contro, invece, è l’abitudine di farne un drappello ideologico da mulinare in trasmissioni concepite come giornalistiche. Tuttavia, il palinsesto di gran parte delle reti Mediaset, oggi, ruota attorno al diktat di ritenere la mancata liquefazione del sangue di San Gennaro più importante di una grande consultazione politica in Europa.

Né prossimità, né denuncia

Per il giornalismo di prossimità, che invece andrebbe più spesso e nobilmente coltivato, sarebbe sufficiente ascoltare e prendere in esempio trasmissioni come Tout Terrain o buttare un occhio sul trentennale JT 13 Heures di Jean Pierre Pernaut, scomparso quest’anno.

“Attenzionare”, “raccontare” la vita quotidiana e “denunciare” i problemi delle persone comuni (sì, anche l’aumento del prezzo delle uova al mercato rionale, le nefandezze burocratiche o le spese per il cenone di Natale) non implica automaticamente di solleticarne i bassi istinti, come invece alcune trasmissioni televisive si prodigano spesso e volentieri a fare.

Al giorno d’oggi, la proposta del piccolo schermo nostrano vede contrapposti programmi su tematiche “metropolitane” che non interessano a nessuno – si veda il dibattito sulla riforma delle province di qualche anno orsono – e improperi tele-populisti in cui gli ortolani del mercato e le sfogline bolognesi (sante subito!), vere e propri polmoni dell’Italia vera che fa e produce, sembrano pronti per soppiantare la politica tutta e alleviare le sofferenze del mondo intero.

Il vero disegno dell’offensiva tele-populista

A chi persegue questo disegno mediatico e quest’idea di televisione, il costante imbarbarimento culturale degli italiani, l’impreparazione degli studenti e la crescente disaffezione verso la politica non possono che giovare. Statene certi: non vedrete mai sugli schermi Mediaset un sedicente opinionista evocare problematiche come il calo delle iscrizioni universitarie. It’s not their job.

Una popolazione sempre più apatica, passiva, indifferente e ignorante non può che andare a solo vantaggio loro (e del loro Auditel). 

Eppure, il tele-populismo non è certo soltanto, e purtroppo, un fenomeno italiano. Lo stesso termine con cui lo etichettiamo non è d’invenzione “alterthinkiana” ma viene da una copertina de L’Obs, che qualche settimana fa ha passato al setaccio prassi e strumenti del “sistema Hanouna”. Hanouna Cyril, ovviamente.

Il giovane è ricchissimo, anche se di origini umili. Oggi, oltreché un acclamato Bolloré-Boy, è il padrone in incognita di C8, canale gratuito acchiappa-pubblicità con cui Vivendi/Canal+, il gruppo di Vincent Bolloré, moltiplica la propria presenza anche in un settore storicamente lontano dal concetto di pay for quality di cui Canal è sempre stato alfiere.

Come AlterThink – primo e unico media in Italia a farlo – vi aveva già raccontato, Canal+ ha una storia gloriosa alle spalle. Da quando il nuovo patron si è installato sul dissestato lascito finanziario della gestione precedente, la pay tv ha visto sparire gran parte delle proprie trasmissioni d’informazione, di satira e d’inchiesta.

In “soli” sei anni, Bolloré è riuscito a purgare quasi tutti i servizi investigativi, i commentatori sportivi meno “lealisti” (a lui) e tutte le trasmissioni di attualità, salvo i fantastici e interminabili dibattiti costantemente trasmessi su CNews, piattaforma d’informazione che un tempo si chiamava I-Télé e oggi porta lo stigma di aver offerto per due anni una tribuna libera a Éric Zemmour.

Cyril “Baba” Hanouna, un uomo e il suo popolo?

Sulle frequenze di C8, uno dei frutti di questa strategia, va in onda tutte le sere Touche pas à mon poste (TPMP). Tre ore serali per parlare di tutto, purché in esso sia compreso anche il niente. Il principio di Touche pas à mon poste non è in fondo diverso da quello di Fuori dal Coro: offrire una voce alla Francia renitente, che vota Rassemblement National (Le Pen) o La France Insoumise (Mélénchon), e tentare di controbilanciare l’evidente stallo in cui versa la cavalcata politica di Zemmour dopo la duplice batosta alle Presidenziali e poi alle Legislative. 

Poliziotti, avvocati e medici no-vax, musulmani integralisti in preda al fanatismo del burqa, gilets jaunes e opinionisti tranchant sono i protagonisti della parte “actu”, corroborata da corredi di social media trash contents e lunari dibattiti su questa o quella foto sexy che elettrizza cervelli dissipati che non sanno metabolizzare altro, ergo gli influencer. Ogni puntata di TPMP potrebbe essere sintetizzata dall’occupazione disturbante, vorace e fine a se stessa di prezioso suolo catodico. Non meglio definibili latrati e ululati dal pubblico alimentano il clamore immotivato e il tenore ruvido degli scontri fra i chroniqueurs (pozzi d’opinione) più regolari.

Un programma che esiste “grazie” ai social per sfidare i social?

In altre parole, Touche pas à mon poste vive e si regge in piedi grazie all’agenda di Twitter e Instagram, da cui viene dettata la scaletta di ogni puntata e a cui, tutte le sere, Cyril tenta di imporre gli spezzoni più iconici del proprio programma. Una formula di successo, che raccoglie pubblico soprattutto fra una gioventù drogata di social media e un “popolo”, che si dice emarginato dai media tradizionali, nella stessa misura in cui da noi non s’invita presso gli studi di Giovanni Floris o Corrado Formigli, preferendovi le stravaganti prestazioni di Mario Giordano o la franca volgarità del noto agricol… conduttore di Dritto e Rovescio, Paolo del Debbio.

I quali – secondo gli studi – fanno breccia invece presso un pubblico grandemente anziano di ottuagenari, nondimeno “escluso” da un sistema mediatico che giudica incapace di captare, recepire le sue istanze.

“Touche pas à mon patron?”

Se poi qualche malcapitato oserà prender la parola in diretta per macchiarsi di leso berlusconesimo (o lèse-Bolloré), è cosa buona e giusta informarlo preventivamente che verrà redarguito con bacchettate degne della rieducazione maoista. “A me sul fascismo non mi dovete rompere il cazzo”, per citare un raffinatissimo Del Debbio. Per non parlare poi di quando un leader “amico” è ospite: a Salvini si permette di raccontare la qualunque e pure il suo contrario, mentre il Cavaliere è autorizzato a sciorinare tutte le sante volte l’aneddoto sul suo incontro con De Gasperi nel ’48 (aveva 12 anni, dettagli), le solfe della guerra fredda finita a Pratica di Mare e la stessa orrenda barzelletta sull’aereo con Putin, Biden, il Papa e l’uomo più intelligente del mondo (lui). “E questa è casa mia, qui comando io” direbbe qualcuno, con triste realismo. 

L’Auditel, bambino capriccioso da accontentare sempre e comunque

Una strategia che ha premiato gli ascolti: “TPMP” ha trattenuto regolarmente davanti allo schermo dai 950 mila a 1,7 milioni di telespettatori nella prima settimana di dicembre. L’Auditel sorride anche per Fuori dal Coro (828 mila telespettatori nella puntata di martedì 13 dicembre, 6,36 %) e Dritto e Rovescio, le  cui ultime due puntate totalizzano uno share fra il 7 e l’8 %, punteggio tutt’altro che banale per una rete non ammiraglia.

Dritto e Rovescio che, dal canto suo, mutua da TPMP (e in generale da tutte le altre trasmissioni di Hanouna) un tratto molto particolare: l’affinità elettiva dei ruoli stereotipicamente cuciti addosso agli ospiti.

L’attuale opposizione di sinistra invia sulle tv del Cavaliere le sue reclute più servili e impresentabili, laddove ogni singolo invitato incarna una precisa veste ideologica: “il” gay, “la” drag queen, “il” fascista, “il” vegano integralista, “il” comunista. Una tattica, quest’ultima, che illustra bene come il tele-populismo non individui nel proselitismo politico la sua mission principale, quanto piuttosto nel deterioramento dell’ecosistema culturale e mediatico.

Affinità elettive fra tele-populismi?

Trasmissioni come Dritto e Rovescio o “TPMP” intendono “aspirare” il dibattito pubblico e invilupparlo attorno all’idea di una vox populi ecumenica, quasi totalitaria per l’importanza di cui viene insignita. Tutto, in quei salotti mediatici, risponde a quest’esigenza primaria: le scelte tematiche, la semplificazione con cui s’inquinano problematiche toccanti, il livello culturale e la caratura intellettuale spesso inesistenti degli ospiti interpellati.  L’emergenza di veri e propri fenomeni da baraccone – presunti esperti di relazioni internazionali, come il sociologo Alessandro Orsini – spiega anche la totale generalizzazione e la scrematura cui si prestano tali format televisivi. Prima viene la “mediaticità”, poi solo dopo la conoscenza effettiva delle tematiche in gioco. 

Jean Marc Morandini, un affare di famiglia?

Un esempio? Facile. Prendiamo una discussione sulla guerra in Ucraina. Dietro gli ospiti “di sinistra” non si celano veri e propri difensori di quella che dovrebbe essere la diplomazia della pace, ma idolatri di Vladimir Putin più o meno esplicitamente noti, con rare eccezioni. “Rispetto tutte le oche, anche quelle che si mangiano” commenterebbe un brillante e compianto Philippe Daverio. 

Il fantasma de La Cinq e l’ambizione di Bolloré

La scelta di privilegiare, nella nostra analisi, l’esempio italo-francese non è casuale. La dimenticabile avventura di La Cinq, che neanche quel buonuomo di Jean Luc Lagardère riuscì a salvare dal morbo berlusconiano, ci racconta del fallito tentativo di esportare Oltralpe le ectoplastiche porcherie di Canale 5 e Rete 4. Tentativo oggi riuscito a Vincent Bolloré, che infatti ha cooptato e posizionato sulle sue reti gratuite molti degli ex volti de La Cinq: Patrick Sabatier nella gloriosa maison che fu Europe 1 (oggi ferma al 3,1 % di share, bravo Vincent!) e, soprattutto, Jean-Marc Morandini, già noto per essere stato uno dei primissimi giornalisti a “massificare” la critica televisiva in Francia, e oggi costantemente sulle pagine dei giornali per il processo che lo vede indagato per “corruzione di minori”.

Jean Marc Morandini, photo by Gyrostat (Wikimedia, CC-BY-SA 4.0), CC BY-SA 4.0 , attraverso Wikimedia Commons

Morandini, recentemente rinviato a giudizio per aver intimato a tre minorenni di accettare atti sessualmente molesti, pilota ancora oggi una trasmissione, Morandini Live, su CNews. Europe 1, che ospitava il suo Grand Direct des Médias fino al 2016, lo licenziò non appena esploso lo scandalo. Oggi, dopo esser finita nelle ferree mani di Bolloré dopo l’OPA di Vivendi su Lagardère, che ancora aspetta la convalida della Commissione Europea, la celebre stazione radiofonica starebbe lasciando trapelare rumors sull’opportunità di riportare Morandini ai suoi microfoni.  Opzione che non fa una piega dacché, giustamente, secondo le tradizioni di casa, tutto si crea e nulla si distrugge

La poco onorevole distinzione italiana

CNews si è oramai iscritta nelle fila delle cheerleader europee di Fox News, come per alcuni aspetti ha fatto Rete4 con la sua nuova programmazione basata sui talk show in prima serata. Quando un canale d’informazione si fonde con le premesse del trash – cosa che negli spettacoli di Barbara d’Urso e Mario Giordano ben si evince – si dà luogo a una fattispecie mai vista prima, poiché neanche i canali d’informazione apertamente schierati a destra (CNews, Fox News, GB News) sono davvero riusciti a emularla o ad intuirne le potenzialità sul mercato della pubblicità. Così, Tucker Carlson non sarà mai Mario Giordano, come Éric Zemmour non sarà mai Vittorio Feltri.

Tucker Carlson, timoniere di Fox News dove imperversa tutte le sere
Gage Skidmore from Peoria, AZ, United States of America, CC BY-SA 2.0 , attraverso Wikimedia Commons

All’elemento propagandistico manca dunque, in Francia e spesso anche negli USA, la mappatura trash che un certo riscontro assicura inevitabilmente all’offensiva tele-populista. Anche in questo, la specificità italiana è di nuovo lampante. D’altro canto, patria delle grida romanesche di Gianfranco Funari – peraltro “forgiato” dalla TV pubblica – e delle televendite modernamente intese – il Belpaese ha tante cose per cui illustrarsi, anche se non sempre in modo onorevole. 

Tutt’altro che “informazione pop”…

L’informazione “pop” è sempre esistita, sia su carta che via cavo nonché in radio o sul satellite: ne sono mirabili modelli i settimanali (Life, Time, Paris Match) che hanno raccontato il Novecento e non solo, cui mi riprometto di dedicare un prossimo scritto, o i late show statunitensi: David Letterman, Jimmy Fallon, Oprah Winfrey. Sicuramente, il tele-populismo informativo però non gioca più solo sulla compartecipazione emotiva delle persone, ma ambisce a penetrare nel dibattito pubblico attraverso la creazione di controversie, di polemiche “elettriche”, di modus operandi che in nulla agevolano la circolazione o il confronto delle idee, contribuendo invece a posizionare i pilastri di un’impresa ideologica che non vive senza i propri “avversari”. Analogamente a una mietitrebbia che gira a vuoto sull’asfalto, taluni programmi televisivi si nutrono della brodaglia ch’essi stessi iniettano nell’opinione pubblica.

Un pericolo? Forse. Soprattutto, il fenomeno qui lungamente analizzato sembra configurare un sintomo del simulacro di resistenza che alcuni network credono di poter forgiare contro l’oramai appurata egemonia del web e dei social.

Ciononostante, poco credibile è l’idea secondo cui si possa competere con la “mediaticità” (e lo squilibrio di personalità) di Elon Musk adottando i suoi metodi, i suoi strumenti e talune sue dottrine, non meno ideologiche di quelle ch’egli si ripromette di combattere. 

1 Comment

  1. Tutto perfetto. Peccato manchi un’analisi dei populismi televisivi iniziati da Santoro e proseguiti da Floris, Berlinguer, Gruber, Formigli, ecc.

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