La storia non è molto nota, ma il controverso pittore austriaco Egon Schiele è pure stato in carcere ventiquattro giorni. La sua – corta – vita «fu una strada fiancheggiata da fitte boscaglie dove i pregiudizi crescevano come erbacce», ha scritto nella prefazione al Diario dal carcere Arthur Roessler, saggista e critico d’arte, grande amico di Schiele, che ne ha curato gli scritti dopo la morte. Sebbene si abbiano dubbi sull’autenticità dell’opera, la lettura della stessa offre un’idea sulla vita in carcere del pittore. «I paesaggi possono essere ingannevoli» e «spesso i prati fioriti celano paludi»: una metafora perfetta per la vita di Schiele. Che nel 1912 a ventun anni venne arrestato a Neulengbach – a circa una mezz’oretta del treno da Vienna. All’epoca viveva con la compagna Wally Neuzil, sua amica, amante e musa. Come ricorda Federica Armiraglio nel Diario, il pittore fu arrestato per due accuse molto gravi.
La seduzione della quattordicenne Tatjana von Mossig, figlia di un alto dirigente del ministero della Marina asburgica. E l’esposizione della giovine a materiale pornografico – ovvero i suoi dipinti, noti per l’ampia esplorazione del nudo – in luogo accessibile ai minori. Secondo l’accusa, Egon e Wally avrebbero accompagnato la fanciulla da Neulengbach a Vienna. Ma Tatjana non avrebbe dormito con Schiele in albergo. Storicamente non è stata dimostrata alcuna violenza nei confronti dell’adolescente, che in sede di accertamenti nell’ambito del processo venne anche visitata da un medico. Condannato a poco meno di un mese di carcere a Neulengbach, a Schiele vennero confiscati anche 125 disegni “erotici”. L’erotismo era una mania del pittore austriaco. Da ragazzo sviluppò un rapporto ambiguo, per così dire, con la sorella Gertie Schiele, che fu la sua prima modella.
A Neulengbach – ma anche a Krumau, il paese materno dove fuggiva dal caos di Vienna – Schiele era guardato male. Scandalizzava il paese invitando ragazzini e ragazzine nel suo studio per ritirarli spesso seminudi. Il rapporto con la storia sessuale nell’Austria nei primi del Novecento era scandito dal L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud e dal potere della sessualità divenne il soggetto di innumerevoli opere d’arte. Schiele riusciva a trasporla sulle tele per mezzo e su corpi febbrili, sofferenti, emaciati. Ma nei quadri di Schiele l’amore è sempre presente. Eppure, se per Gustav Klimt, maestro di Schiele, la sessualità era gioia e piacere, per l’allievo, era tortura e punizione. Nel processo, ricorda Armiraglio, il pittore venne assolto dall’imputazione più grave, ma fu ritenuto colpevole per l’altra. La pena si trasformò in tre settimane di carcere preventivo anche grazie all’intervento di buoni avvocati viennesi che vennero pagati da un mecenate.
Fu Roessler a pubblicare il diario, di cui non sono mai stati trovati i manoscritti originali. È possibile che l’amico manipolò alcune memorie di Schiele che, pure esse, non sono mai state ritrovate. Per la seppure breve fortuna artistica di Schiele, l’affaire von Mossig non rappresentò uno scandalo enorme – il pittore non era ancora abbastanza famoso al tempo. Dal carcere di Neulengbach, il 16 aprile 1912, Schiele esultò: «Finalmente carta, matite, pelli, colori per scrivere, per disegnare». Le ore in carcere erano «uguali, informi, noiosamente grige». L’autore ha sofferto la prigionia; «sradicato con violenza dal mio terreno creativo», scrisse. Confidava nell’aiuto di Klimt e Roessler da quell’inferno. «Un inferno, non l’Inferno, ma un infame, miserabile, sporco, umiliante inferno nel quale sono stato scaraventato all’improvviso». In carcere Schiele – «solcato dagli incubi» – non sognava. Conviveva con i suoi escrementi, con la barba incolta, l’impossibilità di potersi lavare.
«L’Arte non può essere moderna, l’Arte appartiene all’eternità», avrebbe scritto il 22 aprile. Invoca anche Dio: «Volgiti a me, Padre Onnipotente». E: «Ti invoco: prestami ascolto, porgimi il Tuo orecchio sempre attento!» (23 aprile). Schiele non aveva permesso di scrivere nessuno. Ma questo non gli impedì di coltivare il suo amore per la vita. «Amo la vita. Amo penetrare nel profondo di tutti gli esseri viventi, ma detesto la coercizione che ostilmente mi incatena e vuol costringermi a una vita che non è la mia» (27 aprile). «Non ho corrotto bambini, perché non ho mostrato loro quei disegni, e gli adulti conoscono comunque benissimo queste cose». Uscito dal carcere, Schiele definì le indagini come vergognose. Difese ancora il diritto di rappresentare la sessualità. «Chi rinnega il sesso è un individuo sporco e offende nella maniera più spregevole i genitori che lo hanno concepito» (8 maggio).
Amedeo Gasparini