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ALLA RICERCA DELLA UBISOFT PERDUTA

17 Novembre 2021

Proprio in questi giorni giorni si festeggia il 35° anniversario di una delle principali aziende nell’industria di videogiochi, la Ubisoft. Dalla sua nascita ad oggi, con alti e bassi ha prodotto una miriade di titoli. Ma negli ultimi anni sembra avere perso quasi totalmente lo smalto, la passione e quell’artigianalità nel creare i propri prodotti. Quindi senza ulteriori indugi indossiamo il visore notturno, armiamoci di lama celata e partiamo in una retrospettiva alla ricerca di una Ubisoft smarrita nel tempo.

Origins

Ma prima, facciamo un salto indietro di ben trentacinque anni. Era il 1986 quando i fratelli Guillemot danno i natali alla loro compagnia di produzione di videogiochi: la Ubi Soft. Nel corso degli anni ’90 l’azienda cresce e si afferma, distribuendo prima i titoli di Electronic Arts e Sierra in Francia all’acquisizione di filiali sparse in Europa. Tra i protagonisti dell’azienda figura anche un giovanissimo animatore e programmatore: Michel Ancèl, creatore di quella che si poteva considerare a tutti gli effetti la mascotte della casa francese (prima dell’avvento dei Rabbids) ovvero Rayman. Da allora ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti, o per meglio dire di giochi sotto i “Joystick” dei giocatori. Serie di successo come i titoli su licenza Tom Clancy’s, Prince of Persia, Far Cry, Assassin’s Creed sono gli esempi più emblematici da analizzare.

Brotherhood

Siamo nel 1996 quando lo scrittore Tom Clancy decide di espandere il proprio operato nel mondo dei videogiochi. Nasce quindi lo studio chiamato Red Storm Enterteinment che si occuperà di trasporre in game alcuni libri come SSN o Politika. La svolta arriverà nel 1999 quando lo studio capitanato da Clancy creerà con Ubisoft Rainbow Six.

La “fratellanza” con la casa di Montruìl si rivela essere vincente tanto da portare Red Storm ad essere acquisita l’anno seguente. Il successo del gioco ha portato allo sviluppo di vari sequel, ma anche alla nascita di veri e propri filoni narrativi ben distinti basati sui vari romanzi dello scrittore americano che si concretizzeranno con le serie di Ghost Recon (2001) e Splinter Cell (2002). Facendo un salto ad oggi nel 2021 la situazione che ci troviamo davanti è sensibilmente diversa a quella del passato. Nel corso di questi vent’anni le serie citate poco sopra si sono espanse con nuove IP: End War, Hawks e The Division adattandosi ai nuovi giocatori e i nuovi modi di giocare.

Rainbow Six: Siege nato dalle ceneri di R6: Patriots era stato concepito inizialmente come ripartenza della serie e da ciò che lo aveva contraddistinto alle origini ovvero la tatticità di stampo realistico, il tutto reso in un contesto solo multiplayer. Il gioco uscito nel novembre del 2015, il primo dopo la morte dello scrittore avvenuta nel 2013, non riscuote il successo sperato non attecchendo al pubblico di riferimento. R6 non era l’unica IP a marchio Tom Clancy in fase di rilancio negli studi di Ubisoft.

L’anno seguente sarà infatti la volta di The Division prima nuova IP dal 2009, e l’anno dopo ancora nel 2017 sarà la volta di Ghost Recon: Wildlands. Entrambi i titoli riscuotono un discreto successo di pubblico e critica facendo ben sperare per una eventuale rimozione dalla naftalina di Splinter Cell.

La trasformazione di Siege e dei brand Tom Clancy’s

Ritorniamo un attimo a Siege che nel corso di questi due anni si è trasformato completamente seguendo la scia di altri sparatutto vincenti sul mercato, ad esempio Overwatch di Blizzard. La sua radicale trasformazione ad hero-shooter lo ha portato ad essere oggi uno dei punti di riferimento dagli amanti degli e-sports e ben lontano dalla filosofia che il titolo portava avanti, sacrificio necessario per salvare capra e cavoli da parte di Ubisoft.

Nel frattempo ci siamo visti consegnare in breve tempo i sequel di The Division e Ghost Recon, il primo con un riscontro sul mercato non troppo soddisfacente mentre il secondo un fiasco totale, portano a rivedere completamente i piani per i giochi su licenza Tom Clancy’s. Ghost Recon: Breakpoint è solo il primo di una serie di flop della casa francese.

Gli annunci avvenuti quest’anno riguardanti tre nuovi giochi free-to-play a marchio ovvero: The Division: Heartland, XDefiant (caliamo un velo pietoso su quest’ultimo ndr) e Ghost Recon: Frontline e la loro repentina sparizione dai radar avvenuta dopo i tiepidissimi feedback da parte dell’utenza, non fanno ben sperare per il futuro di questi brand storici amati da tantissimi giocatori.

Liberation

Parlando di titoli spariti dai radar da fin troppo, non possiamo ovviamente non citare forse una delle saghe iconiche di Ubisoft: Prince of Persia.

La saga creata nei leggendari anni ’80 dal mitico Jordan Mechner e sbocciata con la trilogia dedicata alle sabbie del tempo ha avuto: un rilancio avvenuto nel 2008, con lo sfortunato quanto stilisticamente meraviglioso reboot, e nel 2010 uno spin-off della saga storica principale, che aveva il compito di accompagnare l’uscita della trasposizione cinematografica.

Da allora i rumors su eventuali nuovi capitoli si sono susseguiti nel corso di tutti questi anni fino a quando nel 2020 durante l’UbisoftForward di settembre finalmente assistiamo all’annuncio ufficiale del remake di Prince of Persia: Le sabbie del tempo: un disastro. Il gioco viene presentato in una forma indecorosa, con un comparto grafico non all’altezza e stilisticamente abbozzato con la data d’uscita fissata nel breve termine. Questi elementi non hanno fatto altro che smascherare la chiara natura prettamente commerciale del prodotto, gioco che da avere la data di uscita fissata per il mese di marzo del 2021 si nascosto in un generico 2022, a dimostrazione del fatto che forse le cose potevano sicuramente essere fatte meglio. Se non altro ciò che c’è di buono è la “liberazione” di questo storico brand dalle “catene” che ormai per troppo tempo lo tenevano.

Valhalla

Passare da Prince of Persia ad Assassin’s Creed viene quasi naturale. Sarà che la serie creata da Patrice Dèsilets nel ormai lontano 2007 poneva le basi sul mai realizzato spin-off Prince of Persia Assassins. A differenza della saga legata al principe, l’epopea degli assassini e il loro credo nel corso dei secoli, ha avuto un riscontro e incidenza sulla cultura pop senza eguali.

Parlare di videogiochi senza citare Assassin’s Creed sarebbe come parlare di cinema senza nominare E.T.

I personaggi iconici, le ambientazioni storiche accurate e ricche di dettagli sono da sempre state il marchio di fabbrica di una serie che con alti e bassi è entrata di peso nell’immaginario collettivo. Dopo quasi quindici anni però si ha la sensazione che le lame celate non siano più ben oleate e scattanti come un tempo.

Dopo il secondo ed immenso capitolo la serie diventò annuale fino a quando nel 2017 con AC: Origins non subisce, dopo una pausa di un’anno dal precedente Syndicate, il primo sostanziale rinnovamento ovvero il passaggio da action-adventure a titolo con una componente RPG molto marcata.

La nuova formula si rivela un successo, tanto da far uscire già l’anno successivo il sequel/prequel: Odissey. I due titoli ad onor del vero sembravano e sembrano molto simili l’uno con l’altro. Con i due titoli si sperimenta un sistema di Season Pass molto più massiccio rispetto ai capitoli del passato tanto che per avere il vero finale completo per Odissey servirà completare le due espansioni a loro volta suddivise in due parti. L’arrivo della nuova e odierna generazione di console porta con se il quasi inevitabile reveal di Assassin’s Creed: Valhalla, il terzo ed ultimo capitolo della sotto-trilogia dedicata a Layla Hassan (la protagonista del presente), questa volta con ambientazione norrena, è contraddistinto anch’esso da un corposissimo supporto post-lancio (il più lungo mai avuto da un capitolo della serie).

Si iniziano già delineare le fondamenta per il futuro della saga ovvero nome in codice AC: Infinity. Il nuovo corso porterà il gioco a diventare un GAme-As-Service una piattaforma da arricchire successivamente in futuro con nuove avventure e contenuti, andando ad abbandonare così il concetto di sequel a se stanti ed iniziando ad accettare il concetto di abbonamento ad un nostro Animus personale.

Piccola menzione a Watch Dogs, serie di Ubisoft sempre sottintesa come parte integrante dell’universo Abstergo di AC, aveva iniziato ad intervallarsi con le uscite della saga degli assassini di nuovo corso, ma dopo un Watch Dogs: Legion abbastanza tiepido le probabilità per dei nuovi capitoli non sono delle migliori.

Freedom Cry

Stando alle parole degli insider su internet, Assassin’s Creed non sarà l’unico brand della casa transalpina ha subire un sostanziale cambiamento, si parla di un possibile stravolgimento pure di Far Cry. Nasce nel 2004 su PC plasmato dalla Crytek dei fratelli Yerli, per spingere le potenzialità del loro nuovissimo motore grafico: il CryEngine. Non a caso saranno sempre loro che in futuro daranno i natali a Crysis, ma questo è un altro discorso. Il titolo si rivela essere apprezzato tanto che nel 2004 prima e nel 2005 dopo sarà trasposto pure su console di vecchia e nuova generazione per l’epoca.

La serie continuerà poi nel 2008 con il secondo capitolo sviluppato e prodotto questa volta totalmente da Ubisoft. Ma sarà nel 2012 che avverrà la vera consacrazione della saga, con un terzo capitolo fresco ma che aveva con se anche quel sapore un pò nostalgico degli inizi della saga. Un vero e proprio villain totalmente sopra le righe e con una caratterizzazione non indifferente è la vera ciliegina sulla torta, che diventerà per gli altri tre capitoli usciti dopo il vero marchio di fabbrica della serie Far Cry arrivata oggi al sesto capitolo numerato, senza contare gli spin-off.

L’ultimo capitolo porta con se un ambientazione che ricorda Cuba, il villain Antòn Castillo questa volta porta il volto di Giancarlo Esposito (il Gus Fring di Breaking Bad o Moff Gideon di The Mandalorian) con un’interpretazione molto ispirata, così come l’ambientazione di Yara. A discapito però di quanto c’è di buono in Far Cry 6, il gioco sembra però portare con se un’aria un po affaticata. Un comparto tecnico, che è certamente denota fortemente la nutura cross-gen del titolo, almeno su console, il solito sistema di missioni e sotto-missioni ormai rodato donano al titolo un che di vecchio. Le novità introdotte come il passaggio (facoltativo) dalla visuale in prima alla terza persona o la possibilità di scegliere il protagonista non bastano a svecchiare una formula che nel corso degli anni sembra aver dato tutto ciò che poteva.

Odissey

Nell’introduzione avevamo parlato di Michel Ancèl, creatore tra gli altri di Beyond Good & Evil uscito nel lontano 2003 su GameCube, PS2, Xbox e PC. Il gioco sembrava pronto ad accogliere il seguito, ma una serie di vicissitudini dovute (stando alle parole dello stesso Ancèl) ai limiti tecnici delle console di quella che era l’attuale generazione di console ovvero PlayStation 3 ed Xbox360, che non avrebbero permesso lo sviluppo al pieno di quella che era la visione originale. Il tempo passa ed il gioco insieme ad altri diventa un pò il sinonimo di vaporware, fino a quando durante l’E3 2017 con un trailer a dir poco maestoso il gioco riappare. Tutto ok se il gioco non fosse scomparso nuovamente dai radar.

Ad oggi, il creatore della serie ha lasciato la compagnia e la stessa Ubisoft continua a rimarcare come il titolo sia in sviluppo e il tutto proceda bene, ma appare chiaro come il gioco abbia e stia vivendo un odissea degna delle avventure dei suoi personaggi.

Piccolissima menzione per un altro titolo Ubisoft finito a suo malgrado nel cosiddetto “development hell“, Skull and Bones. Titolo votato al multiplayer a tema piratesco sviluppato dalla sussidiaria di Singapore, viene annunciato anch’esso durante l’E3 del 2017 e farà perdere le proprie tracce da li a poco. Le accuse per molestie unite alle affermazioni di clima di lavoro tossico all’interno dello stesso team di Singapore, non hanno di certo e non stanno rendendo vita facile al titolo.

Revelation

Quello che appare evidente è che quelli che erano i marchi iconici che hanno reso grande l’azienda di Yives Guillemot, potrebbero essere diventati a loro volta la zavorra.

Il volere continuamente rinnovare e riadattare saghe nate oramai decenni fa per le nuove generazioni, porta ad un’inevitabile snaturamento delle meccaniche che hanno reso un titolo celebre, non accontentando in primis il fan di vecchia data che non trova ciò che lo aveva fatto avvicinare a quel gioco, e scontentando magari il nuovo giocatore che non trova gli elementi necessari per avvicinarsi. Facendo un esempio se Splinter Cell dovesse tornare, e lo facesse nelle vesti di un titolo votato al multiplayer per accontentare il nuovo corso di giocatori, non accontenterebbe nessuno.

Un’altra problematica che potrebbe affligere la casa francese è la tentazione ogni volta di saturare un marchio che ha successo senza applicare un’ottica di lungimiranza sul lungo termine. Rendere annuale Assassin’s Creed prima e Far Cry dopo non era di certo la scelta ottimale.

Infinity

Scongiurata anche l’acquisizione di azioni di maggioranza da parte di Vivendi, la voglia di ribadire la propria indipendenza non manca di certo così come i progetti per il futuro, da Avatar Frontiers of Pandora ad un nuovo titolo basato su Star Wars, passando per Mario Rabbids Sparks of Hope, senza contare gli appena usciti Just Dance 22, Far Cry 6, Riders Republic e il prossimo R6: Extraction previsto in uscita il prossimo 20 Gennaio.

Ribadendo comunque che oggi uno dei focus dell’azienda è la creazione di giochi a supporto continuo e free to play.

L’invito per il futuro Ubisoft è quindi quello di usare le sabbie del tempo, mettersi il cappuccio e partire in compagnia di una maiale spaziale ed una scimmia verso nuovi e infiniti universi.

Buon 35°Anniversario Ubisoft!!!

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