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NUCLEARE: SÌ O NO? INTERVISTA A ELEONORA EVI

5 Gennaio 2022

Negli ultimi tempi si è riaccesa la discussione pubblica sul nucleare, probabilmente a seguito delle parole del Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani che ha affermato di “non voler escludere nessuna fonte energetica, nemmeno il nucleare di nuova generazione”.

Questo tema così polarizzante ha però una valenza importantissima: al Parlamento Europeo si discute infatti di inserire l’energia atomica tra le fonti ambientalmente sostenibili, e ciò avrebbe non pochi effetti sul Green Deal, la strategia europea per arrivare a zero emissioni nel 2050.

Vediamo quindi cosa ne pensano i politici dei diversi schieramenti: oggi intervistiamo Eleonora Evi, eurodeputata e co-portavoce nazionale di Europa Verde.

Perché ritiene che il nucleare non sia una fonte energetica affidabile per la transizione ecologica?

La Transizione ecologica dovrebbe portare la nostra società a cambiare radicalmente il nostro modello produttivo e inquinante, i nostri consumi smodati di energia e risorse, il nostro impatto sul pianeta. Ecco perché pensare di intraprendere la “conversione” del nostro modello economico e sociale basandosi sul presupposto che nel futuro in Europa dovremo soddisfare gli stessi fabbisogni energetici è fuorviante. E infatti tutti i maggiori organismi mondiali che si occupano di energia e clima, dalla IEA (l’agenzia Internazionale per l’Energia, ndr) fino all’ IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ci indicano la via maestra: la riduzione dei consumi energetici, quindi efficienza energetica al primo posto. 

La Commissione Europea ha recentemente pubblicato la sua nuova proposta di revisione della Direttiva sull’Efficienza Energetica al 2030 e propone un taglio dei consumi del 36-38%, il Parlamento europeo dal canto suo si era già espresso in passato chiedendo un taglio del 40%. Noi Verdi chiediamo un taglio di almeno il 45%. Vedremo come andranno i negoziati che si svolgeranno quest’anno ma la sostanza è la seguente: nel 2030 dovremo tagliare parecchio i nostri consumi energetici e rendere questo impegno vincolante per gli Stati membri (cosa che fino ad oggi non era, tanto è vero che abbiamo centrato gli obiettivi del 2020 non certo perché la partita fosse stata giocata seriamente dai governi europei ma, piuttosto, per la forte riduzione registrata con il blocco delle attività produttive a causa della pandemia). 

Con questo non intendo dire che il nucleare non avrà alcun ruolo in futuro a livello globale. Ma lo stesso report “Net Zero by 2050” della IEA stima un aumento di centrali nucleari nel resto del mondo ma non in Europa, dove invece la quota di energia prodotta dal nucleare calerà significativamente. La sfida, complessa ma raggiungibile, è investire quindi in efficienza energetica in tutti i settori (abitazioni, trasporti, industria..) e coprire il fabbisogno con energia rinnovabile, decentralizzare la produzione di energia grazie alle comunità energetiche e trasformare le industrie che necessitano di alte potenze per le loro attività utilizzando idrogeno rigorosamente prodotto da fonti rinnovabili. Sono infatti diversi gli studi che confermano la visione di una Europa 100% rinnovabile.

Infine, il nucleare è un business morto. Parole pronunciarle dal numero uno del colosso energetico tedesco RWE. Si tratta ormai di una tecnologia superata, vecchia, e non è nemmeno vero che sia cosi affidabile, il rischio incidente rimane uno scenario che non viene escluso nemmeno dal JRC (Centro Comune di Ricerca della Commissione europea). Inoltre è una fonte di energia continua? Non proprio, molto spesso le centrali rimangono ferme a lungo proprio per interventi di manutenzione. E infine, producono scorie nucleari, rifiuti radioattivi che, ancora oggi non hanno uno smaltimento sicuro e definitivo. Che “transizione ecologica” è quella che continuerà a produrre rifiuti pericolosi?

Nonostante Cingolani si esprima costantemente a favore, è credibile un ritorno al Nucleare da parte dell’attuale governo? 

In politica tutto è possibile se c’è la volontà di agire. Nonostante gli italiani si siano espressi ben due volte con un referendum bocciando il nucleare nel nostro paese non è certo una assicurazione che le cose non possano cambiare. Basti pensare alle tantissime Leggi di Iniziativa Popolare tradite o altri referendum come quello sull’acqua pubblica, ancora oggi calpestati o chiusi in un cassetto. Per questo motivo la solerzia e l’attenzione non sono mai troppe nel monitorare le azioni del governo di turno. Questo, in particolare si è dimostrato, soprattuto nella figura di Cingolani, molto più interessato e attento alle esigenze e richieste di alcuni grandi settori industriali del paese, in particolare petrolio, gas e automotive, per far sopravvivere modelli di business che sono causa della crisi climatica in corso e rallentare quindi la transizione ecologica, che, se ben governata, può essere portatrice di grandi opportunità occupazionali e di sviluppo.

Sarebbe un grave errore se l’Italia tornasse sui suoi passi. Che senso avrebbe costruire centrali nel nostro paese, se mediamente sono necessari 10 anni per costruirne una, anche 20 in base ai recenti impianti in Francia, dove tra l’altro i costi sono lievitati in modo abnorme. Senza dimenticare che in Italia stiamo ancora aspettando la costruzione di infrastrutture necessarie come alcune tratte ferroviarie, specialmente al sud, e dove i cantieri durano in eterno, esempio per eccellenza la Salerno Reggio Calabria con i suoi 55 anni per la realizzazione. Infine l’Italia è un territorio sismico, l’ultimo terremoto di qualche giorno fa si è sentito anche a Milano. Davvero si intende tornare ad una tecnologia costosissima, che necessita decenni per entrare in funzione, in un territorio così fragile come il nostro? Sarebbe una follia.

Sono stati inseriti all’interno della tassonomia verde UE Gas e Nucleare, cosa significa nel concreto per la transizione ecologica (italiana ed europea)? 

In realtà la partita è ancora aperta. Dopo l’approvazione nel 2020 del Regolamento sulla Tassonomia la Commissione europea era chiamata a presentare i suoi “atti delegati” ovvero una normativa di secondo livello che mira a entrare nel dettaglio della decisione presa dai co-legislatori europei. L’atto delegato che riguarda il nucleare e il gas era previsto inizialmente molti mesi fa. Eppure, da un lato la presenza di posizioni contrapposte da parte degli organismi tecnici e scientifici della Commissione europea (JRC a favore del nucleare come investimento verde mentre lo SCHEER, il comitato per la Salute, l’Ambiente e i Rischi Emergenti, ha fornito un parere contrario) e dall’altra, la crescente pressione di quei governi europei, Francia in primis, che puntano a intercettare risorse economiche per foraggiare le loro centrali nucleari, in moltissimi casi vetuste, costosissime e piene di debiti, hanno avuto l’effetto di posticipare la pubblicazione di questa normativa, di cui ad oggi c’è una versione “leaked” ovvero trafugata dalla stampa, quindi non ufficiale né definitiva. 

Il contenuto va nella direzione sbagliata: pare che non solo il nucleare ma anche il gas, a determinate condizioni, potranno beneficiare della classificazione di investimento “verde”. E questo è molto grave perché rischia di orientare risorse pubbliche e private verso tecnologie impattanti e quindi drenarle ad altre tecnologie che possono aiutarci concretamente a contrastare la crisi climatica, e pertanto di minare alle fondamenta il percorso già avviato dalle istituzioni europee con ad esempio l’emissione dei green bond, per ripagare il debito comune contratto per superare la pandemia, e che non prevedono in alcun modo investimenti in fonti fossili o nucleare.

Si frammenta il quadro di cosa sia un investimento verde, generando confusione e innescando una vera e propria operazione di greenwashing. Ma come dicevo, la partita è ancora aperta. E quando l’atto delegato verrà pubblicato il Parlamento europeo ed il Consiglio UE potranno decidere di opporsi. Noi dei Verdi non staremo certo a guardare e daremo battaglia per bocciare l’atto delegato.

In Italia è ricorrente il problema delle scorie già presenti, con continui rimbalzi tra i comuni, qual è il piano per stoccarle a lungo termine? 

Non si tratta di un problema solo italiano ma di tutta Europa. Ad oggi quasi nessuno stato membro ha trovato una soluzione che sia efficace, sicura e soprattuto duratura. Esiste un Regolamento europeo che richiede a tutti gli Stati membri di individuare un unico deposito nazionale per lo stoccaggio delle scorie e dei rifiuti radioattivi. Il governo è in ritardo con la presentazione di un piano, e la decisione di quale territorio dovrà ospitare queste scorie è senza dubbio complessa. Il recente servizio della giornalista Milena Gabanelli nel suo Dataroom fa un quadro impietoso della situazione italiana.

In tutti questi anni non solo non abbiamo individuato il sito per il deposito nazionale ma non siamo stati in grado nemmeno di gestire correttamente le scorie provenienti dal breve periodo nucleare del nostro paese e i rifiuti radioattivi. L’operato della società incaricata della gestione degli attuali depositi disseminati sul territorio, la SOGIN, si è rivelato disastroso. In pochi sanno che gli italiani pagano 40 euro all’anno a famiglia per lo smantellamento delle vecchie centrali e la gestione delle scorie. 

Secondo lei come è da gestire il phase-out delle centrali nucleari in Europa? Questo è un tema importante perché il nuovo governo tedesco si oppone con forza, vista anche la presenza dei Verdi nell’esecutivo, alla creazione di nuove centrali atomiche.

Ogni Stato membro è libero di definire il proprio mix energetico, e quindi quali fonti utilizzare, purché rispetti, tra gli altri, i target di riduzione delle emissioni di gas serra, di efficienza energetica e di produzione di energie rinnovabili. Pertanto ad oggi non è in vista alcun “phase-out” europeo del nucleare. Ma alcuni Stati, come la Germania, ma anche Austria e Belgio ad esempio, stanno lavorando per chiuderle. La Germania in particolare ha deciso il suo piano di chiusura delle centrali nucleari già sotto la guida della cancelliera Merkel, fissando inizialmente per il 2035 la chiusura delle sue centrali. Il nuovo governo, con l’arrivo dei Verdi, ha deciso per una tabella di marcia più ambiziosa per chiuderle entro il 2030. La decisione si basa non soltanto su considerazioni di sicurezza ma anche su basi economiche. E infatti è la stessa azienda RWE a credere che l’atomo sia un “business morto”. Pertanto è evidente che anche considerazioni di costo abbiano convinto un paese come la Germania ad abbracciare pienamente la Transizione ecologica senza false soluzioni o chimere come il nucleare.

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