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I risultati delle prove Invalsi sono un po’ bruttini

12 Luglio 2022

La settimana scorsa sono stati pubblicati i risultati delle prove Invalsi, le prove di italiano, matematica e inglese che gli studenti delle classi previste dalla normativa svolgono annualmente, e che servono a rilevare il grado degli apprendimenti fornendo un quadro dello stato in cui versa la scuola italiana.

Prima di addentrarci nell’analisi dei risultati, occorre fare una precisazione. Ogni anno si alzano voci critiche nei confronti delle prove Invalsi: molti le ritengono uno strumento inadeguato, una perfida vessazione che lo Stato impone ai ragazzi, trascurando la loro soggettività e trattandoli come fossero dei numeri, degli ingranaggi di un sistema. Queste critiche riflettono una visione del mondo nostalgicamente anacronistica, sono riconducibili a quella postura intellettuale che contribuisce attivamente al declino italiano e, soprattutto, sono del tutto infondate.

Gli argomenti messi sul tavolo dai critici delle prove Invalsi rappresentano proprio i punti di forza di questo strumento. Infatti, la somministrazione di prove uguali per tutti è l’unico modo per misurare oggettivamente le competenze degli studenti e per fare una comparazione tra scuole, aree geografiche e anni scolastici diversi, evidenziando le cose che non vanno e che, dunque, bisogna migliorare. Se il metro di misura non fosse omogeneo, i risultati che otterremmo sarebbero autoreferenziali e completamente inutili ai fini d’indagine. Tra l’altro, queste rilevazioni avvengono in quasi tutti i paesi europei, dove ci sono degli enti analoghi all’Invalsi che forniscono prove standardizzate agli studenti.

Chi scrive le domande dei test? Alle domande lavorano per due anni gruppi di insegnanti, dirigenti ed esperti nazionali e internazionali: le prove con i quesiti che hanno passato la prima selezione vengono testate su migliaia di ragazzi, corrette, infine testate nuovamente. Insomma, prima di arrivare ai fascicoli forniti a tutti gli studenti c’è un lavoro puntuale e certosino che permette di ottenere un’elevata precisione ed equità nella rilevazione, fornendo una preziosa risorsa per il miglioramento del sistema scolastico.

Le prove Invalsi 2022 sono state svolte da oltre 920.000 studenti della scuola primaria (la seconda e la quinta elementare, per capirci), circa 545.000 studenti della scuola secondaria di primo grado (la terza media) e poco più di 953.000 studenti della scuola secondaria di secondo grado (la seconda e la quinta superiore). L’anno scolastico 2021-22 ha visto il ritorno delle lezioni in presenza, dopo due anni travagliati dalla pandemia. Gli alunni positivi che ogni tanto emergevano e una gestione non proprio ottimale del sistema di quarantene e isolamenti in classe hanno reso necessario un parziale ricorso alla Dad durante l’anno, ma va riconosciuto il successo nell’evitare la Dad generalizzata, come era avvenuto nei due precedenti anni scolastici. Utilizzando una parola piuttosto abusata, potremmo dire che abbiamo avuto una quasi-normalità.

Andiamo ora ad analizzare i dati, partendo dalla scuola primaria. La situazione per la scuola primaria è abbastanza stabile e i risultati sono simili a quelli del 2019 e del 2021 (nel 2020 le prove Invalsi sono state annullate per tutti a causa della pandemia). Le classi della scuola primaria che hanno svolto le prove sono la seconda e la quinta: vediamole separatamente.

Per la II primaria, in italiano circa 3 allievi su 4 (72%) raggiungono almeno il livello base. Anche in matematica abbiamo cifre simili, e il 70% degli allievi raggiunge almeno il livello base. Ricordiamo che le seconde primarie non hanno la prova d’inglese.

Nella V primaria, l’80% degli studenti raggiunge almeno il livello base in italiano, facendo segnare un aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2019. In matematica abbiamo numeri un po’ peggiori: il 66% degli studenti raggiunge almeno il livello base, con un calo di 6 punti nei confronti del 2019. Nella V primaria c’è anche la prova di inglese, che fa registrare buoni risultati: il 94% degli allievi (+2 punti rispetto al 2018) raggiunge il livello adeguato A1 nel reading (prova di lettura), mentre nel listening (prova di ascolto) l’85% degli allievi (+6 punti rispetto al 2018) raggiunge il livello A1. Notiamo alcune differenze territoriali: gli alunni del nord e del centro che raggiungono il livello A1 di reading sono il 95-96%, mentre al sud circa il 92%; per il listening la differenza è ancora più ampia, con un 85-90% al nord e al centro e soltanto un 75% al sud.

La scuola elementare ha sostanzialmente tenuto nonostante la pandemia. Le differenze territoriali sono poche e non così significative, ma ci sono alcuni dati da tenere d’occhio, come la maggior differenza dei risultati tra scuole e tra classi nelle regioni meridionali. In sostanza significa che nelle scuole primarie del sud non tutti hanno uguali opportunità. Questo è soltanto il preludio di un fenomeno di ampia portata che si manifesterà nelle scuole secondarie.

Passiamo ora alla scuola secondaria di primo grado, quella che molti conoscono ancora come scuola media. La classe tenuta a svolgere le prove Invalsi è la terza, l’ultima e quella che ha anche l’esame di Stato. Da questa classe in poi le prove Invalsi vengono svolte al computer e non in formato cartaceo.

Per la III media, gli studenti che raggiungono risultati almeno adeguati sono: il 61% in italiano, il 56% in matematica, il 78% nel reading di inglese (il risultato adeguato per l’inglese è il livello A2) e il 62% nel listening di inglese. Per quanto riguarda i dati nazionali, osserviamo un’interruzione del calo di apprendimento in italiano e matematica che era stato riscontrato tra il 2019 e il 2021, e anche per inglese i dati sono stabili o in leggero miglioramento.

Analizzando meglio i dati, notiamo che gli studenti più in difficoltà sono quelli che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli, i quali subiscono perdite maggiori di apprendimento e riescono sempre meno a raggiungere risultati elevati. I divari territoriali aumentano e sono piuttosto preoccupanti: in alcune regioni del sud e delle isole (in particolare Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna) circa il 50% degli studenti ottiene risultati non adeguati in italiano, il 55-60% in matematica, il 35-40% nel reading e il 55-60% nel listening. Sempre nel Mezzogiorno, c’è una disuguaglianza educativa particolarmente accentuata, che riguarda la capacità della scuola di permettere a tutti di godere delle stesse opportunità, in modo tale che anche i ragazzi provenienti da contesti più svantaggiati possano ottenere gli stessi risultati di quelli più avvantaggiati. Inoltre, come accade per le scuole primarie, riscontriamo anche qui, ma in maniera più marcata, una grande differenza tra scuole e tra classi della stessa scuola nelle regioni del sud e delle isole.

Arriviamo, infine, alla scuola secondaria di secondo grado (le superiori). Le classi che svolgono le prove Invalsi sono le seconde e le quinte, con una differenza: le seconde hanno soltanto le prove di italiano e matematica, mentre le quinte hanno anche la prova di inglese. Ricordiamo che le quinte sono le classi dei maturandi (a questo punto maturi, congratulazioni!).

Torniamo a noi, e partiamo dalla II superiore, l’unica classe che aveva visto un’interruzione delle prove Invalsi per ben due anni a causa della pandemia – nel 2020 erano state annullate per tutti, nel 2021 le hanno fatte tutti tranne loro. Nella II superiore, il 66% degli allievi (-4% rispetto al 2019) raggiunge almeno il livello base in italiano e il 54% (-8% rispetto al 2019) in matematica. Dopo due anni di pausa dalle rilevazioni è molto interessante osservare i dati di questa classe che, purtroppo, indicano un calo significativo delle competenze. In sei regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) l’esito medio rimane al di sotto della soglia attesa di adeguatezza dopo dieci anni di scuola. Anche in questo caso aumentano le differenze territoriali: in tutte le regioni del Mezzogiorno (tranne l’Abruzzo) più del 40% degli studenti non raggiunge il livello base in italiano e tra il 55% e il 60% non raggiunge il livello base in matematica, con un allarmante picco del 70% in Sardegna.

Siamo giunti all’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, la quinta superiore, i ragazzi che hanno appena terminato gli esami di maturità. Prima di illustrare gli esiti delle prove Invalsi, diamo un’occhiata a un altro dato: le percentuali di non ammessi e di bocciati alla maturità. Disponiamo solamente dei dati degli anni passati ma, poiché le cifre sono stabili, possiamo considerarle in linea anche con l’anno corrente. L’anno scorso, i bocciati all’esame di maturità sono stati lo 0,2% e per gli anni precedenti il dato oscilla tra lo 0,3% e lo 0,5%. I non ammessi all’esame di maturità, invece, sono pari a circa il 4% degli studenti per gli ultimi cinque anni. Dunque, sommando i non ammessi e i bocciati, abbiamo che circa il 4,5% degli studenti non riesce a diplomarsi, mentre il restante 95,5% diventa, come si dice, maturo.

Ora, si presuppone che i ragazzi maturi, appena diplomati, possiedano un bagaglio culturale e di competenze adeguato. D’altronde questo è il loro tredicesimo anno di scuola, sono stati ammessi all’esame, hanno sostenuto due prove scritte e una prova orale e le hanno superate.

Andiamo ora a osservare i risultati delle prove Invalsi. Gli esiti lasciano di stucco: in V superiore soltanto uno studente su due raggiunge il livello base in italiano e in matematica, rispettivamente il 52% e il 50% del totale. In inglese il 52% degli studenti raggiunge il livello adeguato (B2) nella prova di reading e il 38% in quella di listening. Anche qui i divari territoriali sono enormi: in sei regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) l’esito medio in italiano e matematica è al di sotto del livello base. A queste va aggiunto il Lazio, il cui esito medio in matematica è minore della soglia di adeguatezza. In inglese soltanto nelle regioni del nord (tranne Piemonte e Liguria) l’esito medio è in linea con le attese. In Campania, Calabria e Sicilia più del 60% degli allievi non raggiunge il livello base in italiano. Nelle stesse regioni, più la Sardegna, il 70% degli allievi non raggiunge il livello base in matematica. Sempre nelle stesse regioni del Mezzogiorno, il 60% degli alunni non raggiunge il livello adeguato nel reading di inglese, e addirittura uno sconcertante 80% non lo raggiunge nel listening.

Un fenomeno molto interessante è quello della cosiddetta dispersione implicita, che coinvolge quegli studenti i quali, nonostante abbiano terminato il percorso di studi, non possiedono le competenze di base necessarie. Perciò, benché non compaiano nelle statistiche sulla dispersione scolastica vera e propria (che presuppone l’abbandono della scuola), potrebbero faticare comunque a inserirsi nella società, a entrare nel mondo del lavoro e a costruirsi un futuro. La dispersione implicita nel 2022 è pari al 9,7%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al 2021 (9,8%), ma stabilmente più alta rispetto a prima della pandemia (nel 2019 era al 7,5%). Anche in questo caso il divario territoriale è elevato: in Campania siamo al 19,8% di dispersione implicita, in Sardegna al 18,7%, in Calabria al 18% e in Sicilia al 16%. Va tuttavia registrata una positiva inversione di tendenza in Puglia, con un calo del 4,3% di dispersione implicita (attualmente al 12,2%) e in Calabria, dove è diminuita del 3,8%.

Un’altra rilevazione degna di nota è quella sugli studenti eccellenti al termine delle scuole superiori. Si può notare che il calo delle eccellenze si è finalmente arrestato e, in alcune regioni, accenna una piccola ripresa. Anche qui, però, c’è il solito dato sconfortante sul divario territoriale: in sostanza, nelle regioni del nord ci sono più studenti eccellenti rispetto alle regioni del sud, con differenze che, in alcuni casi, superano i 15 punti percentuali.

La famiglia da cui si proviene non dovrebbe avere una rilevanza significativa in un sistema scolastico efficiente. In Italia, purtroppo, non è così. I rendimenti degli studenti, per esempio, sono correlati al titolo di studio della famiglia da cui provengono: il figlio di genitori con licenza elementare rende meno del figlio di genitori con licenza media, che a sua volta rende meno del figlio di diplomati, che rende meno del figlio di laureati. Inoltre, la maggior parte degli allievi eccellenti proviene da contesti familiari più avvantaggiati: in percentuale sono più del doppio rispetto a chi proviene da famiglie svantaggiate, e quasi otto volte di più rispetto a chi proviene da famiglie di cui non si conosce il background. Anche la dispersione implicita interessa maggiormente gli studenti con famiglie svantaggiate: 5,6% per chi proviene da un contesto avvantaggiato, 12% da un contesto svantaggiato e 19,8% per quelli di cui non conosciamo il background familiare.

Per concludere, dovrebbe apparire chiaro che la scuola italiana non svolge la funzione di ascensore sociale che le spetterebbe e che accentua le disuguaglianze piuttosto che ridurle. Sicuramente la pandemia e la Dad hanno contribuito ad aggravare ancor di più questo effetto, ma è un problema che viene da lontano. Le prove Invalsi, lo abbiamo visto, sono una risorsa utile per evidenziare i problemi della scuola. Sta alla politica, però, studiarli, cercare le cause e prendere decisioni per provare a invertire la rotta.

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