Canzoni e amore: l’immortale Jacques Brel in fondazione

11 Luglio 2024

È stato il cantante più famoso del Belgio: e la fondazione che porta il suo nome, in Place de la Vieille Halle aux Blés 11 a Bruxelles, ricorda il grande Jacques Brel in un viaggio multi-sonoro e multi-visivo tra estratti dalle sue memorabili canzoni, video e fotografie. La tappa nella capitale belga è imprescindibile per gli appassionati del cantautore. Tuttavia, quattordici euro per visitare tre stanze (con zero cimeli originali) sono troppi. La sala d’accoglienza propone cartoline e santini del cantante, tipico del culto delle star. Analisi dei brani, testi e commenti, biografie e album fotografici di “Jacky”, il soprannome dato al piccolo Jacques dai famigliari. Lo ricorda la figlia, Isabelle Brel, in un cortometraggio di Philippe Marouani proiettato nella prima stanza a destra. Lo scopo della fondazione, fondata nel 1981, è ricordare e promuovere Brel.

Nella prima sala dell’esposizione (“Brel chanteur”) si viene subito a contatto con la voce suadente del Nostro, non estraneo ad interviste ed interventi che hanno cementificato nell’immaginario collettivo l’idea del bell’uomo che era ed è tuttora l’icona di un tempo particolarmente felice in Europa, quello del boom economico. Lo sguardo penetrante, intenso; la voce profonda, i denti sempre bianchissimi stampati dietro a labbra che spesso tenevano una sigaretta. Un simbolo d’epoca, come per Georges Brassens (suo amico) lo era la pipa. Jacques Brel era un Frank Sinatra europeo. La gestualità quasi esagerata era tipica dei cantanti di allora. E Brel amava accompagnare le sue performance con chitarra o fisarmonica e pianoforte. Mescolava rime perfette nella lingua musicale per eccellenza, il francese; e talvolta pure in fiammingo. Brel era impeccabile nei filmati dell’epoca, giunti fino a noi in qualità quasi perfetta.

I dodici cortometraggi ripercorrono l’infanzia brussellese dell’artista. Bruxelles, la sua amata, è anche il titolo di una canzone del 1962, in cui la città si fa addirittura verbo. «C’était au temps où Bruxelles chantait / C’était au temps du cinéma muet / C’était au temps où Bruxelles rêvait / C’était au temps où Bruxelles bruxellait». La seconda stanza espositiva (“Brel auteur”) propone pannelli con foto e una sezione archivio con i 45 giri del cantautore. Presenti anche le schede interattive con la storia dei dischi – poco valore aggiunto. La fondazione conserva i programmi dei concerti, gli estratti dei diari e le locandine dei film. Circa sessanta testimoni, tra cui familiari, amici e musicisti, raccontano i loro incontri con Jacques Brel. I jukebox mandano a ripetizione ottanta versioni in lingue diverse di due “must” del cantautore. Ovvero, “Ne me quitte pas” e “Quand on a que l’amour”.

La terza sala è ospita un cinema con poltroncine rosse e sipario. Alle parete, un estratto: «La chanson, c’est un acte d’amour, un acte de tendresse». Canzone e amore sono due parole chiave nell’opera di Jacques Brel. Il documentario parte da un famoso concerto a Parigi nel 1966. Fa un certo effetto vedere un cantante esibirsi in giacca e cravatta. Incurante del sudore in volto, espressione della performance impegnata, Brel metteva anima e corpo nel suo lavoro. Per una spesa extra si può anche fare il tour brussellese di Brel, ovvero ripercorrere con le tappe chiave nella capitale belga. A Bruxelles, i fan possono visitare la casa dove è nato (138 Avenue du Diamant), la sua residenza tra i due e i sei anni (66 Boulevard d’Ypres), l’abitazione dove ha vissuto dai sei ai tredici anni (26 Boulevard Belgica), tra i tredici e i ventuno (Rue Jacques Manne 7).

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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