Edvard Beneš, nato il 28 maggio 1884, è stato una figura centrale nella politica centroeuropea del suo tempo. Annoverato tra i padri della Prima e della Terza Repubblica Cecoslovacca, era figlio di contadini. Spese gran parte della giovinezza nel quartiere di Vinohrady, a Praga. Giocatore amateur nello Slavia, studi di storia e letteratura alla Sorbona, dottore in legge, poi accademico all’Università Carlo. Ferventemente antiasburgico, discepolo di Tomáš G. Masaryk – del quale, tuttavia, non aveva il calore umano e il carisma – espatriò durante la Grande Guerra. Prima in Svizzera, poi in Francia, dove si coordinò per la fondazione dello Stato cecoslovacco. Credeva che dopo la guerra la Cecoslovacchia si sarebbe bilanciata tra comunismo ad Est e capitalismo ad Ovest. Fu lui a rappresentare il nuovo Stato a Versailles nel 1919. Non considerava cechi e slovacchi popoli diversi e approcciò valori pan-slavisti, mischiando illuminismo e democrazia.
Prese parte a tutti i consessi internazionali della Società delle Nazioni, da Genova (1922) a Losanna (1923), da Locarno (1925) all’Aia (1930). Detestato dai nazisti, ascesi al potere in Germania, e succeduto al Masaryk alla presidenza della Repubblica nel 1935, venne escluso dagli accordi di Monaco del 1938. Era contro la cessione del territorio dei Sudeti – alle cui minoranze germanofone, avrebbe sostenuto in seguito, aveva fatto diverse concessioni. Gli accordi di Monaco travolsero il paese. Beneš e il paese vennero scaricati dagli alleati occidentali. Mutilata ed umiliata, la neonata Seconda Repubblica (ottobre 1938-marzo 1939) era stata indebolita a favore di promesse della Germania. Nel marzo 1939, Beneš era a Chicago per una lezione sulla democrazia. L’invasione nazista sancì la rottura con Emil Hácha, per breve tempo presidente del paese (novembre 1938-marzo 1939), dunque presidente del Protettorato di Boemia e Moravia, fino al maggio 1945.
A Londra, Beneš costituì un governo in esilio. Il 12 maggio 1943 venne ricevuto alla Casa Bianca e si offrì come ambasciatore tra Mosca e Washington. Proprio in quel tempo, un piccolo paese dell’Illinois benne chiamato Lidice in onore al villaggio distrutto dai nazisti a seguito dell’omicidio di Reinhard Heydrich – che tra l’altro vedeva lo zampino di Beneš. Il 23 novembre 1943 Beneš andò da Stalin, che gli fece fare anche un lungo tour per i teatri, gli istituti scientifici e militari di Mosca. A differenza di Masaryk, Beneš era convinto che l’URSS sarebbe durata a lungo. Il 12 dicembre 1943 i due firmarono un trattato di amicizia per vent’anni. Edvard Beneš tornò in patria sul finire della guerra. Socialdemocratico a favore del controllo statale delle industrie, non era favorevole l’applicazione del Comunismo in Cecoslovacchia.
D’altra parte, a differenza del suo maestro, Beneš non prese le distanze nette dal totalitarismo sovietico – l’Armata Rossa aveva “liberato” oltre la metà del paese. Gli accordi di Yalta prevedevano che Praga cadesse sotto le sfere di controllo sovietico. Nacque a Košice la Terza Repubblica (1945-1948). Il governo di coalizione – il Partito Socialdemocratico Cecoslovacco, il Partito Nazionale Sociale Ceco e il KSČ – varò i decreti Beneš, che contemplarono l’espulsione dopo la guerra di tre milioni di tedeschi. Le cui proprietà furono confiscate, mentre le loro terre furono distribuite ai contadini. Nell’ambito dei decreti fu impossibile valutare il comportamento di ogni singolo individuo, a meno che le credenziali antinaziste non fossero davvero comprovate. Tale politica fu in antitesi rispetto ad una precedente funzione di Beneš, che aveva contribuito alle protezioni legali nei confronti delle minoranze nell’ambito della costruzione della Lega delle Nazioni. Molti innocenti furono ingiustamente puniti per effetto dei decreti.
I provvedimenti di clemenza non vennero contemplati, perché le esecuzioni sommarie dei tribunali non lasciavano il tempo per entrare nel merito di tantissimi casi individuali. I decreti furono una anche una risposta legale e una risposta ai metodi dei nazisti, che nei confronti dei cechi condannati a morte garantivano un minuto e mezzo per la difesa di fronte alla Corte. La nuova Cecoslovacchia aveva fretta di lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare nell’idea di Beneš di fungere come “ponte” tra l’Europa orientale e occidentale. Ma Klement Gottwald, capo del KSČ, aveva piani diversi, mirando a un avvicinamento a Mosca tramite un’ascesa democratica al potere. Alle elezioni del 1946, il KSČ ottenne il 38 per cento dei voti. A seguito del colpo di Stato del febbraio 1948, Beneš non intervenne per timore dell’intervento militare sovietico. Si dimise il 7 giugno 1948, morendo poco dopo per un’emorragia cerebrale.
Amedeo Gasparini