Fino a Buchenwald: coraggio e tenerezza di Mafalda di Savoia

28 Agosto 2024

La notizia del martirio di Mafalda di Savoia a Buchenwald il 28 agosto 1944 fece il giro del mondo. La figlia del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, riconosciuta da tutti come solare, riservata, silenziosa, fu inghiottita nel sistema concentrazionario nazista per amore della sua famiglia. Nella sua biografia, Cristina Siccardi la ricorda come una principessa briosa e mite. Una donna colta, intelligente, amabile e indulgente. Ha pagato con la vita la visita al funerale dello zar Boris III di Bulgaria, marito della sorella, Giovanna di Savoia. E anche a Buchenwald, dove le sue ultime parole furono: «Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa, ma come una vostra sorella italiana», Mafalda ha sempre messo al primo posto gli altri. La sua vita cambiò radicalmente quando sposò il principe Filippo d’Assia. E con l’8 settembre 1943 la principessa di Villa Polissena dimostrò un coraggio notevole.

Mafalda di Savoia era figlia della Regina Elena del Montenegro, una madre molto affezionata ai suoi figli. Siccardi la ricorda come ubbidiente e generosa in gioventù. Non era bella quanto la madre, ma coltivava le passioni attorno le arti, la letteratura, la musica. Nel 1922 conobbe il suo idolo Giacomo Puccini. Appassionata anche di balletto classico e poesia, durante la Grande Guerra – il Re non era mai stato un triplicista convinto e si vociferava di una sua personale antipatia per Guglielmo II – Mafalda faceva la volontaria negli ospedali. Non si occupò mai di politica. Amava viaggiare e occuparsi dei quattro figli. Il principe d’Assia, d’altra parte, era un appassionato di sport e automobilismo. In passato, la famiglia aveva fornito in passato soldati all’esercito sabaudo. Prima della Grande Guerra aveva studiato architettura; poi si recò a Roma.

I due si sposarono nel settembre del 1925. Benito Mussolini non era entusiasta di collegare la nobiltà italiana con quella tedesca. Poi superò il suo astio antigermanico. La famiglia d’Assia non partecipò al matrimonio a Roma, tenutosi con rito cattolico. Il Re regalò alla coppia Villa Polissena che, ricorda Siccardi, fu anche un’occasione per liberare la creatività artistica della principessa. Mafalda adorava stare con i propri figli. Era tenera, premurosa, allegra. Nell’ottobre 1930 la sorella si sposò con lo zar bulgaro. Il distacco da Giovanna che si trasferiva in Bulgaria fu doloroso per Mafalda, ma la zarina si sarebbe salvata assieme con i figli dopo la guerra – Simeone II di Bulgaria fu zar dei bulgari dal 1943 e 1946, poi Primo ministro dal 2001 al 2005. Il distacco di Giovanna segnò la fine di un’epoca per Mafalda. Iniziò un’epoca di nuove responsabilità.

Se Maria José del Belgio, moglie del fratello Umberto II fosse più addentro alle questioni politiche, Mafalda curava i figli, gli amici e i suoi interessi culturali. Il figlio Enrico d’Assia ricorda come la madre fosse dolcissima. A Berlino per le Olimpiadi del 1936, Mafalda di Savoia incontrò Hermann Göring, che si presentò a Karinhall con un leone. I legami con la Germania si fecero più intensi prima della nuova guerra tra i Savoia e il governo italiano, mentre Filippo scalava i vertici dello Stato tedesco. Assieme con Augusto Guglielmo di Prussia, figlio di Guglielmo II, rientrò nel nuovo scenario politico tedesco con l’arrivo al potere dei nazisti. Adolf Hitler voleva riservargli un alto rango tra le SA e Göring gli offrì il posto di Oberpräsident dell’Assia-Nassau. Siccardi ricorda che il principe è stato ambasciatore privilegiato tra Germania e Italia.

La lettera con cui Hitler informò Mussolini che stava entrando in Austria venne consegnata a Filippo. Fu poi questi ad informare Mussolini che l’anno dopo la Cecoslovacchia cessava di esistere. Fu poi Filippo che comunicò a Hitler la decisione dei Savoia che l’Italia avrebbe negoziato con gli Alleati. Prima della guerra, tutta l’Europa era convinta che l’Italia si sarebbe schierata con la Francia. Ma il patto d’acciaio tra Hitler e Mussolini cambiò la Storia europea. Il Duce voleva fare l’arbitro in Europa e accrescere il prestigio internazionale. D’altra parte, il Re era ostile a Hitler. Lo considerò sempre un parvenu, arrogante e villano. Pessimi anche i rapporti tra Vaticano e Cancelliere. Al cui arrivo a Roma, Papa Pio XI si ritirò a Castel Gandolfo e fece chiudere i Musei Vaticani che Hitler voleva visitare.

Nell’agosto 1939, Hitler disse generali che c’erano tre grandi statisti del mondo: lui, Stalin e Mussolini. Ma quest’ultimo era il più debole perché non era capace di spezzare il potere né della corona né della Chiesa. La Germania nazista era anticattolica, cosa che non piaceva ai Savoia. L’Italia rimase sconvolta dalla sconfitta della Francia e il Duce decise opportunisticamente di entrare in guerra. Con la sfiducia del Gran Consiglio del Fascismo nel luglio 1943 Dino Grandi disse che l’Italia era serva dell’hitlerismo. Pietro Badoglio assunse le redini del governo. Convocato Mussolini a Villa Savoia, il Re assicurò il dittatore la sua incolumità personale. Sciolte tutte le organizzazioni fasciste, Mussolini fu poi liberato il 12 settembre 1943. Andò a Monaco per poi fondare la RSI. Iniziò la guerra partigiana. Mafalda di Savoia detestava Hitler. Le ripugnava tutto di lui.

Dal canto suo, Joseph Goebbels scrisse nel diario che la principessa era “un animale intrigante”. Mafalda era poco apprezzata in Germania. In Italia invece era popolare. Sempre più vicino a Hitler, Filippo veniva svegliato di notte perché il Führer soffriva d’insonnia e voleva conversare con lui. Siccardi ricorda che il langravio trovava Hitler sempre agitato. Non tanto per la guerra, ma per i progetti della futura Linz, che nell’ottica del dittatore doveva diventare il centro culturale del Reich. Hitler aveva amichevole attenzione per il principe. Gli serviva per influenzare la Bulgaria, legata ai Savoia. Boris III fece opposizione a Hitler, che nutriva disprezzo per le monarchie sin dai tempi degli Asburgo. Lo zar gli ricordò che si trovava in una situazione difficile: i suoi generali erano germanofili, i diplomatici anglofili, la regina italiana, il popolo russofono.

Voleva restare neutrale, ma nel 1941 la Bulgaria fu costretta a aderire all’Asse e a consentire l’ingresso sul territorio dei tedeschi. Mussolini chiese allo zar un aiuto nella campagna di Grecia nell’ottobre 1940. I misteri legati alla morte nel 1943 di Boris III sono legati all’opposizione che questi tentò di fare Hitler. Poco prima di morire a presidiare la sua stanza c’erano un medico berlinese e uno viennese. Radio Londra accusò Hitler di essere il mandante. La risposta di Berlino fu sorprendente: lo zar bulgaro era stato assassinato dalla cognata, la principessa Mafalda di Savoia! La quale andò in Bulgaria per i funerali. Partì il 27 agosto 1943 nella stessa carrozza in cui aveva viaggiato Hitler nella sua visita in Italia nel 1938. Dopo ottantasette ore, Mafalda arrivò a Sofia per le esequie alla cattedrale Nevskij. Qui ricevette l’ultima lettera di Filippo.

Che le chiese di raggiungerlo in Germania con i figli che erano a Roma. Prima di partire per l’Europa occidentale confidò alla sorella Giovanna: «Se mi succede qualcosa pensa tu ai miei figli». Era a Sinaia quando apprese dell’armistizio dell’Italia. Passò da Budapest, dunque arrivò a Roma, dove venne a sapere che i figli erano al sicuro in Vaticano. Siccardi ricorda come a Chieti la principessa rimase senza soldi. Raffaele Grilli, allora responsabile della sede locale della Banca d’Italia le fece un prestito senza garanzia. Mentre Alessandro Pavolini annunciava l’istituzione del Partito Fascista Repubblicano e Mussolini dichiarava decaduta la monarchia, la principessa arrivava a Villa Polissena. Il 21 settembre, magra e sciupata, incontrò il futuro Papa Paolo VI, responsabile della tutela dei figli. La sera volle tornare a casa, poi in Vaticano a riprendere i figli.

Non li avrebbe più rivisti. Era scattata l’Operazione Abeba, ovvero la cattura e la deportazione in Germania della principessa, affidata Herbert Kappler, l’occhio di Heinrich Himmler in Italia. Kappler era il capo del SD e a Roma da tempo ingrassava il dossier Mafalda. Dall’8 settembre 1943 Hitler aveva ordinato alla Gestapo di catturare la principessa e mandarla a Buchenwald. Nell’estate del 1926 Mafalda aveva accompagnato il marito da Kassel a Weimar: l’automobile si era fermata per un cambio di pneumatico. Lì aveva scorto il bosco dei faggi, dove c’era la famosa quercia sotto cui Wolfgang Goethe amava leggere. L’albero fu poi inglobato nel campo di Buchenwald tra la lavanderia e i bagni. Mafalda trascorse tre settimane in prigionia a Berlino sotto custodia della Gestapo, poi fu portata in Turingia.

Nel 1938 era già 20mila e nel 1944 si arrivò a 97mila. “Jedem das Seine”, recita la scritta di ferro alla porta del campo. Qui Mafalda di Savoia alloggiava alla baracca 15, divisa con l’ex deputato socialdemocratico Rudolf Breitscheid. Ufficialmente veniva chiamata Frau Emy von Weber. Il nomignolo fu voluto da Himmler mentre le SS la chiamavano Frau Abeba, “fiore” in aramaico, per non destare sospetti. Maria Ruhnau le stette vicino fino all’ultimo. La signora era una testimone di Geova ed era passata da Ravensbrück a Buchenwald. Le SS pensarono che mettendola vicino a Mafalda, questa le avrebbe fatto delle confidenze. Durante i bombardamenti alleati del 1944 la principessa venne ferita al braccio sinistro, bruciato fino all’osso. Bisognava amputarlo. Acconsentì all’amputazione. Morì dissanguata tra il 26 e il 27 agosto 1944. I testimoni ricordano come la principessa distribuisse spesso il proprio rancio ai bisognosi.

Il bombardamento alleato aveva distrutto gli ospedali di Weimar e di Buchenwald e l’infermeria era stracolma. Mafalda fu trasportata al Sonderbau, ovvero il postribolo, con stufe e letti comodi, ma comunque un luogo lugubre. Fu un’umiliazione pesante. Il dottor Fausto Pecorari arrivò a Weimar nel settembre 1944 e inviò da qui il rapporto sulla morte al Re e Papa Pio XII. Anche gli internati italiani antimonarchici e comunisti erano toccati dall’altruismo di Mafalda di Savoia. Negli ultimi giorni la principessa soffriva di disturbi gastrici e dimagrì. Sul vestito aveva un triangolo rosso con la lettera “I”, per i prigionieri italiani. L’avambraccio le andò in cancrena e il capo chirurgo del campo Witezslav Horn intenzionalmente volle ritardare l’operazione. Fu letale. Seppellita a Weimar, nel 1951 venne trasferita nel cimitero degli Assia a Kronberg. Liberato nel maggio 1945 Filippo venne a conoscenza solo allora della morte della moglie.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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