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God takes the Queen: Carlo III e le difficoltà del nuovo sovrano

15 Settembre 2022

Ci sono attimi, seppure brevi, in cui percepiamo l’ombra della storia scorrere davanti a noi: in un batter d’occhio vengono consacrati al tempo.

Nella giornata di giovedì 8 settembre, la Regina Elisabetta II d’Inghilterra è deceduta. Se n’è andato l’ultimo baluardo del secolo scorso, una regina amata e rispettata non solo in Gran Bretagna e nei Paesi del Commonwealth. Una protagonista del Novecento, una testimone dei più importanti avvenimenti del secolo scorso.

Giovedì pomeriggio i media avevano riportato la notizia dell’aggravarsi delle condizioni di salute della regina, poi erano arrivati i parenti più stretti a Balmoral, in Scozia, dove Elisabetta si trovava a trascorrere l’estate. Sui social qualcuno parlava già dei primi steps dell’operazione “London Bridge is down”, nome in codice della delicata operazione da seguire dopo la morte della sovrana. Tra questi: la BBC che interrompe le trasmissioni ordinarie per dare la notizia del vacillare della salute della Regina, i giornalisti vestiti di nero.

L’annuncio del decesso, infatti, arriva intorno alle 19.30 (ora italiana). In un attimo le immagini della bandiera di Buckingham Palace a mezz’asta inizia a correre sui social: da ogni parte del mondo arrivano commenti, foto, ricordi e parole. Il denominatore comune è l’incredulità.

Abbiamo sempre associato la Gran Bretagna alla corona, alla Royal Family con le sue luci e le sue ombre. In particolare, per le ultime due generazioni, Elisabetta era la Gran Bretagna. Da molti è stata considerata un alto esempio di senso del dovere e amore per il suo Paese che giurò di servire fino alla fine. E, di fatto, non si è mai smentita: appena due giorni prima della sua morte, le immagini la immortalano mentre stringe la mano alla neo-premier Liz Truss, visibilmente stanca ma sorridente.

Nei suoi 70 anni di regno ha visto 15 Primi Ministri a partire da Winston Churchill nel 1952. Per la sovrana più longeva della storia della Gran Bretagna non sono però mancate le critiche. È il 1986: i The Smiths cantano, in polemica con la corona inglese, “The Queen is dead” (“La Regina è morta”).

È il 1997 quando, alla morte di Lady Diana, la Regina esita ad esporsi, pronunciando un discorso alla nazione solo diversi giorni dopo.

Carlo le succede al trono all’età di 73 anni, dopo una vita passata ad aspettare di essere incoronato, dopo una lunga formazione e dopo aver cominciato a sostituire Elisabetta agli eventi ufficiali, soprattutto negli ultimi anni. Certo non si può dire che non sia stato educato a dovere. Tuttavia, non gode della stessa popolarità della madre.

In primo luogo, l’opinione pubblica lo contrappone alla figura della defunta moglie Diana: a Carlo non si perdonano i tradimenti e soprattutto il popolo non sembra vedere di buon occhio la figura della nuova regina consorte Camilla. In questi ultimi giorni, dopo la morte della regina, sui social ed in particolare su Twitter, sono stati molti i post di ricordo nei confronti di Diana, a dimostrazione dell’affetto che ancora, a distanza di 25 anni dalla sua scomparsa, tutto il mondo nutre nei suoi confronti. Nonostante ciò, a Carlo si riconosce soprattutto un impegno costante nei confronti dell’ambiente: risale al 1970 il primo discorso dell’allora principe di Galles sul tema; è invece dello scorso anno l’iniziativa “Terra Carta” che, ispirata alla Magna Carta (la carta dei diritti fondamentali del 1215), prevede delle linee guida da seguire da parte delle aziende per ridurre le emissioni e limitare l’inquinamento.

Potrebbe essere questa la chiave da usare per entrare nel cuore della popolazione e soprattutto dei giovani. Sono, infatti, proprio questi ultimi i più scettici verso la monarchia. A rivelarlo è un sondaggio YouGov dello scorso anno, pubblicato da The Indipendent, il quale attesta che tra le persone di età compresa tra i 18 e i 24 anni il sostegno alla monarchia non raggiunge il 50%.

Ci si chiede ora se la scarsa popolarità del nuovo sovrano possa contribuire allo sviluppo di un sentimento antimonarchico. In realtà, alla luce degli ultimi avvenimenti, possiamo dare una risposta almeno parziale. Il premier di Antigua e Barbuda, Gaston Browne, ha annunciato alla BBC che le isole entro tre anni potranno decidere se diventare una repubblica. In diversi territori del Commonwealth il dissenso verso la corona è dettato soprattutto dal fatto che non venga né perdonato né dimenticato il passato colonialista e schiavista della Gran Bretagna. Questo sentimento potrebbe sicuramente crescere nel corso del tempo e potrebbe portare alcuni territori a diventare repubbliche, come già è accaduto lo scorso anno nelle isole Barbados. Per quanto riguarda invece Canada e Nuova Zelanda, i primi ministri negano un cambiamento imminente. Anche in Gran Bretagna, nonostante in questi giorni la popolazione sarà impegnata a ricordare la sovrana defunta, non mancano voci di dissenso nei confronti della monarchia. È il caso di un giovane che avrebbe urlato contro il Principe Andrea, durante la processione del feretro di Elisabetta, e di una giovane che ha espresso il suo dissenso verso la monarchia con un cartello. Entrambi sono stati arrestati.

Insomma, i prossimi mesi non saranno facili per la Gran Bretagna: da una parte alla neo-premier Liz Truss spetterà l’arduo compito di traghettare la Nazione nella difficile era post-Brexit, dall’altra il sovrano dovrà fare i conti con i venti, seppur ancora deboli, antimonarchici. God save the king?

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