L’Art nouveau belga come opera d’arte totale

4 Agosto 2024

L’Art nouveau belga trova il suo apice nei quartieri di Bruxelles, una delle città europee in cui lo stile liberty è meglio rappresentato. La capitale belga presenta diverse opere d’arte “totali” dello stile nato tra il XIX e il XX secolo. Diversi architetti – su tutti Victor Horta e Paul Hankar – hanno qui dato vita ad un’architettura che ottenne presto una reputazione internazionale e che oggi attrae migliaia di turisti. Ma hanno anche concepito le loro creazioni come opere d’arte totali, esuberanti. L’Art nouveau belga era caratterizzata dall’uso dei materiali industriali come ferro e ghisa. Ma continuò ad affidarsi all’artigianato tradizionale per la lavorazione della pietra, legno e vetro, sfociando in temi floreali raffinati. Contrariamente a quello che si potrebbe credere, l’Art nouveau belga non era ad appannaggio solo dei ricchi. Sono molti i complessi in Art nouveau in periferia a Bruxelles.

Da Forest a Saint-Gilles, da Ixelles a Saint-Josse ten-Noode (SJTN), da Schaerbeek a Uccle, Bruxelles offre un mosaico ben conservato di opere in Art nouveau che oggi trasportano gli osservatori indietro di un secolo. Bruxelles Art Nouveau di Cécile Dubois è una guida sintetica agli edifici in Art nouveau belga e propone nove itinerari per la città. Dopo gli anni turbolenti dell’indipendenza nel 1830, a metà secolo Bruxelles visse un’intensa trasformazione culturale e artistica. L’Art nouveau belga si è identificata subito con la costituzione del nuovo Stato: progressista e tradizionale. Il Belgio stesso è stato, negli ultimi due secoli, un rifugio in cui diversi esuli hanno continuato la loro arte. Il crogiuolo culturale, parallelamente alla rivoluzione industriale, ha dato vita ad una nuova classe sociale desiderosa di esibire il proprio successo. Il quartiere di Saint-Gilles è il primo da cui cominciare il tour nell’Art nouveau belga a Bruxelles.

E non c’è forse opera più rappresentativa a livello mondiale dell’Hotel Solvay per rappresentare questo movimento artistico. Nel 1894, l’industriale Armand Solvay, figlio di Ernest Solvay, commissionò a Horta la progettazione della sua dimora privata sulla Avenue Louise. Il budget era quasi illimitato. Così Horta progettò una maestosa residenza fin nei minimi dettagli dell’arredamento. La costruzione iniziò nel 1895. Furono utilizzati ventitré tipi di marmo e diciassette di legno. Completato nel 1903, l’Hotel Solvay è un manifesto del pensiero di Horta, tra luci e struttura di un arredamento ricco, esagerato, sinuoso. Nel 1957, l’edificio fu acquistato dalla famiglia Wittamer, che lo salvò dalla demolizione. Insieme con la casa-museo Horta, l’Hotel Tassel e l’Hotel van Eetvelde, il Solvay è nella lista dell’UNESCO. Vi si accede dalla “entrée carrossable”, dove si è accolti da una scultura in marmo bianco di Pierre Braecke.

L’uso del ferro era rivoluzionario per l’epoca perché un tempo era riservato alla costruzione di ferrovie e fabbriche. Di fronte alla scala che porta al salone d’onore i visitatori rimangono estasiati dalla tela puntinista di Théo Van Rysselberghe “Lettura nel parco in un pomeriggio d’autunno”. Il maestoso mosaico di vetro colorato sul soffitto riprende i colori dell’autunno. Solvay Jr. riceveva uomini d’affari al piano terra. Sulla parte sinistra dell’ingresso c’è la cucina. Il tavolo è dell’artista Ado Chale. I campanelli alla porta sono collegati alle stanze. Salendo al primo piano si giunge al cuore della casa. La sala fumatori si apre sul balcone. Poi c’è la sala da biliardo, con il porta-stecche, le poltrone, il tavolo da gioco. Sul lato sinistro, la sala della musica. Il Solvay è stata la prima casa in Belgio ad avere l’illuminazione elettrica.

Nel cuore del quartiere di Saint-Gilles si osservano diversi lavori in Art nouveau, che però sono chiusi al pubblico in quanto privati. Il caso-scuola è il Tassel. La scala progettata da Horta appare su diverse copertine di libri sull’Art nouveau belga. L’architetto aveva progettato l’hotel a trentadue anni quando il Tassel divenne una sorta di manifesto di Horta. L’Hotel Ciamberlani ospita l’Ambasciata dell’Argentina. Costruita in uno stile più geometrico. Originariamente, la casa era per il pittore simbolista Albert Ciamberlani. I mattoni bianchi provengono dalla Slesia e sono arricchiti dalla pietra bianca di Euville. La raffigurazione visibile dall’esterno illustra figure allegoriche che simboleggiano le età della vita. L’Hotel Otlet è stato progettato dall’architetto Octave Van Rysselberghe su commissione del mecenate Paul Otlet, dottore in legge e attivista socialista. L’hotel dà su Rue Livourne, ma non lo si nota molto.

L’influsso che gli studi sul Rinascimento hanno avuto sull’architetto è visibile, così come quelli della Costa Azzurra. La casa-atelier di Hankar, purtroppo, non è visitabile. L’architetto veniva da una famiglia di artigiani specializzati della lavorazione della pietra, influenzati da Eugène Viollet-le-Duc. Nel 1893 Hankar costruì la propria casa e aprì la strada alla nuova architettura. La facciata dello studio è in mattoni rossi, arricchita da pietre bianche e blu. La casa-museo di Horta è la struttura in Art nouveau che attrae più visitatori in Belgio. E a buona ragione: è un inno alla sindrome di Stendhal. Nel 1898 Horta, la cui fama era ormai consolidata, firmò il progetto della sua casa. Impiegò sedici disegnatori, due pittori e due scultori. Nel 1961, il Comune acquistò la casa e la trasformò in un museo, aperto dal 1969. Gli interni sono esagerati. La bellezza è intatta.

Vetrate e mobili formano un insieme armonioso, fin nei minimi dettagli, dai mosaici alle maniglie. Padre del gotico moderno, Horta era nato a Gand. Studi all’Académie des Beaux-Arts, ha trascorso un anno a Parigi e poi a Bruxelles. Tirocinio da Alphonse Balat, architetto di re Leopoldo II e sostenitore della tradizione classica. Horta sviluppò un concetto spaziale originale e un nuovo linguaggio decorativo. Direttore dell’Académie nel 1913, nel 1945 bruciò la maggior parte dei suoi archivi e lasciò incompiute le sue memorie. È grazie all’allievo Jean Delhaye che la casa è stata preservata. E oggi ospita 65mila visitatori all’anno. Restaurata nel 1994, è un labirinto visivo dove a trionfare è l’arte del dettaglio, tra scale e volte. L’accesso avviene oggi attraverso la casa contigua, progettata da Jules Brunfaut. Entrare a casa Horta è un’esperienza immersiva. Porte decorate con vetrate americane, rampa in marmo bianco.

A sinistra, una colonna traforata nasconde un radiatore industriale. Sul primo pianerottolo, si trovano una consolle e una vetrata rossa. La sala da pranzo, spaziosa e accogliente, dispone di pareti con materiali semplici e delle fasce di frassino americano. Gli affreschi di Braecke, amico di Horta, adornano i soffitti. La veranda, si estende dalla sala, mentre prima della sua costruzione, la luce naturale si riflette sui mattoni smaltati. Horta, fervente amante della musica, utilizzava questa sala per accogliere gli ospiti. Il soggiorno, la sala da pranzo, il vano scala e i pianerottoli coesistono in armonia. Superando la sala fumatori, si ritorna nell’area dello studio. Qui Horta si isolava per lunghe sessioni di disegno. A fianco, lo studio dei designer. La stanza più piccola, sul lato del giardino, ospita oggi la documentazione sul restauro della casa. Salendo di un piano, si giunge alla camera da letto e al bagno.

La camera degli ospiti è in un soppalco e dispone di pareti in mogano. Salendo di un piano la rampa diventa più stretta, il che permette di massimizzare l’ingresso di luce naturale. In alto, un lucernaio multicolore che intensifica la luminosità. Si arriva così al soffitto della casa, dove c’era la camera da letto della figlia Simone Horta. Non era inusuale che gli architetti dell’Art nouveau fossero gli architetti della loro stessa casa o atelier. È il caso Adrien Blomme, che al 205 di Rue Americaine ha lasciato uno studio eclettico. La casa di Albert Roosenboom – disegnatore di Horta – pure presenta una facciata in mattoni bianchi slesiani, con una struttura in ferro battuto, con evidente richiamo alla Secessione viennese. Poco distante, la casa di Sander Pierron, progettata da Horta per il noto scrittore. Come nel caso dell’Hotel Solvay, Édouard Hannon – esteta, collezionista e fotografo – aveva risorse illimitate.

La sala da pranzo, il giardino d’inverno, la sala da fumo e il salotto sono disposti intorno al salone del primo piano. Una scala a chiocciola conduce al primo piano, dove si trovano camere da letto, bagno e guardaroba. Costruita da Brunfaut tra il 1902 e il 1904, la casa ha una storia travagliata. Occupata abusivamente, minacciata di demolizione, acquistata poi dal comune nel 1979, ha subito importanti ricostruzioni negli anni Ottanta, quando diventò anche un centro d’arte dedicato alla fotografia. Oggi è un museo e ospita il mobilio di Émile Gallé e Louis Majorelle. Il pezzo forte della casa è l’affresco del paesaggio di Paul Baudoüin. La sala è immersa in una luce dorata che riflette colori vivaci dal secondo piano e si riflette nell’imponente affresco. Come un arazzo, l’opera si srotola dando l’impressione di trovarsi in un bosco.

La pittura raffigura i coniugi Hannon come due pastori che osservano una figura femminile che sparge rose, simbolo delle gioie della vita. La sala da pranzo era un tempo riservata agli incontri intimi. Le pareti erano adornate da opere di Emile Claus e James Ensor. Oggi, mobili e ornamenti sono esposti al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. La serra rappresenta il cuore della casa. Si estende verso l’esterno e filtra la luce che inonda il salone. Raphaël Evaldre, allievo di Louis Comfort Tiffany, ha realizzato le vetrate della dimora e ha introdotto il vetro americano in Belgio. Un sistema di irrigazione in ardesia e radiatori integrati favorisce la crescita di piante esotiche. In Belgio è abituale trovare il salone principale al piano terra e il secondo al primo piano, accanto alla camera da letto. Dalla sala si vede l’Avenue Brugmann.

Su questa strada c’è la casa-atelier di Fernand Dubois, oggi occupata dall’Ambasciata di Cuba. L’Hotel Vandenbro risente delle influenze francesi di Paul Vizzavona, che si era formato presso l’École des Arts Décoratifs di Parigi sotto Charles Garnier, progettista dell’Opera. Vizzavona lavorò come disegnatore da Horta, che poi lo avrebbe citato in giudizio per plagio. La casa-atelier della pittrice e piastrellista di Ypres Louise De Hem ha una porta con gli infissi color caramello. L’abitazione di Jean-Baptist Dewin sulla Avenue Molière aveva subito nel 1922 trasformazioni interne in Art Déco. InRue Rodenbach e Rue Marconi, ci sono anche edifici operai in Art nouveau. Se si pensa che quest’arte era solo ad appannaggio dei più ricchi, a Bruxelles non è così. Nel 1901, la Société anonyme des habitations à bon marché incaricò tre architetti di redigere i progetti di tre case doppie, ciascuna destinata a otto famiglie.

Vicino al parco di Forest si trova Villa DeRooster. Qui lo stile Art nouveau si concentra sulla facciata anteriore, in particolare nella combinazione di materiali, legno e ferro battuto, nell’ornamento delle cornici delle finestre. La casa di Arthur Nelissen sulla Avenue du Mont Kemmel, con una finestra che si affaccia sulla loggia. Mentre in Avenue Jef Lambeaux si trovano la dimora costruita da Georges Peereboom – oggi suddivisa in appartamenti e quella dell’architetto Paul Hamesse, che qui lavorò. Le sue finestre allungate e il timpano ad arco rotondo rivelano l’influenza della Secessione viennese. Hamesse si era formato con Hankar e Alban Chambon e avrebbe in seguito progettato una serie di case in Art Déco. Casa De Bac, un edificio di Gustave Strauven, presenta una facciata che richiama ad un sottile gioco di mattoni bianchi, mattoni rossi, pietra blu e pietra bianca. Al primo piano si scorge una loggia trapezoidale.

L’architetto Georges Delcoigne si è costruito una casa tutta per sé con molte finestre. Ritorna la pietra asimmetrica di Euville. La linea vegetale delinea ogni elemento della facciata. Anche Camille Winssinger, stretto collaboratore di Solvay Sr., si rivolse a Horta per la costruzione di una dimora privata. Come al Solvay, anche qui si trovava un ingresso per le carrozze, mentre quattro colonnine in ghisa si estendono fino alla balaustra della terrazza. L’ultimo edificio in Art nouveau a Saint-Gilles è l’Aedigium, in rovina dal 1985. Un altro quartiere noto per ospitare diversi edifici del genere è Ixelles. Si parte dalla maison Simoens, in Rue Caroly 19. Una casa molto spaziosa, con una scala monumentale che conduce al primo piano. In Rue Solvay si trovano la casa di Victor Taelemans, ispirata dai lavori di Horta per l’uso della pietra bianca sulla facciata, quindi l’abitazione di Paul Saintenoy.

Curiosamente, la facciata di questa casa del 1872 non è in Art nouveau, ma ha riferimenti al Rinascimento e oggi appartiene alla Missione Cattolica Ungherese. Tra gli altri edifici della zona si annoverano la casa di Édouard Taymans, progettata da Hamesse. Ma anche l’Hotel Hallet, in pietra di Euville, con un grande cornicione. Fu commissionata dal politico socialista Max Hallet, amico di Horta. Al piano si trovano anticamera, studio, salotto e sala da pranzo. Horta trasformò anche l’attuale Musée Charlier. Nel 1889, Henri Van Cutsem, collezionista e mecenate, ereditò la casa in stile neoclassico e incaricò l’architetto di trasformare la parte posteriore dell’edificio in una galleria vetrata. Risalendo da Ixelles si arriva a Etterbeek e se si prosegue si arriva a SJTN. L’opera d’arte maggiore di Etterbeek, vicino al parco del Cinquantenario, è Casa Cauchie. Nel 1905, l’architetto e decoratore Paul Cauchie progettò la sua casa privata.

Lo stile della sua architettura si ispira alla Scuola di Glasgow ed è una combinazione di simmetria, verticalità e geometria. Cauchie era il mago dello sgraffito. La casa si può visitare partendo dal seminterrato, oggi uno spazio espositivo. Il quartiere di Etterbeek era spoglio ai primi del Novecento; uno dei motivi per cui Cauchie costruì la casa in questo stile era per attirare l’attenzione. Gli sgraffiti subirono l’influenza giapponese; i colori l’influenza della Secessione. Le muse dorate sul cornicione rappresentano le arti: architettura, bigiotteria, musica, pittura e scultura. Si entra dalla porta di destra; quella di sinistra è decorativa. Il salotto riprende la tematica delle muse, con la moquette grigia e molto legno decorativo. Nella sezione espositiva c’è anche una lettera di Hergé che accettava di far diventare la Maison il museo di Tin Tin, ma alla fine la cosa non si fece.

Se si passa attraverso il parco del Cinquantenario, si giunge alla collezione di Art nouveau belga Musée du Cinquantennaire. Tra i pezzi più importanti figurano una coppia di lampadari di Henry van de Velde e sculture dell’esposizione coloniale di Tervuren – dove oggi si trova il Museo dell’Africa Centrale – del 1897. Si giunge così alla casa di Edouard Remaekers. L’architetto era noto per le sue creazioni neogotiche. L’edificio combina l’architettura neogotica con elementi Art nouveau belga. È vivacemente policromo, grazie al mix di mattoni bianchi e rossi combinati con i colori dei graffiti e delle vetrate. Il pavimento dell’ingresso è ricoperto di mosaici, i rivestimenti dell’atrio e delle scale sono realizzati con piastrelle di ceramica e le porte sono decorate con vetrate. La casa-atelierdi Arthur Rogiers è in Rue Charles-Quint 103, costruita dal giovane Hamesse, che lavorava per Hankar, di cui ha assorbito lo stile geometrico.

La facciata è raffinata. La casa di Bracke è stata progettata da Horta, che in questo esemplare dà prova di saper fare anche opere modeste, sebbene la facciata sia arricchita da elementi in pietra blu. Anche Strauven aveva la sua casa in queste zone, in Rue Calvin 5. L’ingresso, chiuso da un cancello arabesco in ghisa, ricorda le case borghesi della costa belga. L’esagerazione cromatica dell’Art nouveau belga trova uno dei maggiori esempi nella maison Saint-Cyr, in Piazza Ambiorix. Eclettica, neorinascimentale, neogotica. Fu Strauven che realizzò il palazzo. Come scrive Dubois, forse questa casa è l’opera Art nouveau belga più fotografata di Bruxelles. Costruita per il pittore Georges Léonard de Saint Cyr, sorge su un terreno largo soli quattro metri. L’anello in alto non ha alcun ruolo strutturale; la terrazza offre un’imponente cresta in ferro battuto. La sala da pranzo è neorinascimentale-fiamminga, la tromba delle scale è neo-imperiale.

Anche Strauven fu allievo di Horta. Lavorò a Zurigo prima di mettersi in proprio nel 1899. Arruolato durante la Grande Guerra, morì di tubercolosi nel 1919. Proseguendo per piazza Ambiorix s’intravede la casa dei quaccheri. Ma il pezzo grosso ed ultimo dei quattro edifici protetti dall’UNESCO, è l’hotel van Eetvelde, in Avenue Palmerston. Progettata da Horta, l’ardita facciata al numero 4 ha una struttura metallica. Completato pochi anni dopo, l’ampliamento d’angolo l’edificio è avvolto dalla pietra chiara. Edmond van Eetvelde era un cliente atipico di Horta. Nominato da Leopoldo II amministratore degli affari esteri del Congo. Poi segretario di Stato in Congo. È responsabile dell’attuazione della politica congolese per l’organizzazione della raccolta di avorio e caucciù. Lo studio di van Eetvelde è il pezzo forte del primo edificio. Costruito nel 1899, lo studio rappresenta il culmine della sua carriera politica.

Mobili in mogano e acero; il camino è in marmo rosa e bronzo dorato. Sin dall’inizio della sua carriera, van Eetvelde ha mostrato un forte interesse per l’arte. Durante i soggiorni in Cina e India, ha collezionato vari oggetti, come vasi e arazzi. L’Art nouveau belga era uno stile che affascinava van Eetvelde. Nel 1895, affidò a Horta la realizzazione della sua residenza privata, pensata come una dimostrazione delle risorse coloniali per impressionare i suoi ospiti. Van Eetvelde cercò anche di affidare a Horta la progettazione del padiglione belga per l’Expo del 1900. Tuttavia, Leopoldo II, ostile all’Art nouveau e ancorato agli stili tradizionali, mise il veto. Il secondo edificio era destinato ai ricevimenti. Comprende un ampio salone che si affaccia sulla strada e una sala da pranzo di fronte al giardino d’inverno con una cupola multicolore, che filtra la luce e dà l’impressione di essere in una cattedrale.

Passando per SJTN, si arriva alla casa di Victor Taelemens. L’artista lavorò come disegnatore per Henri Beyaert, dove conobbe Hankar. Questo progetto ricorda l’Hotel Otlet, ma colpisce la sobrietà della geometria. Proseguendo verso Nord giunge alla casa-atelier di Michel Mayeres in Rue Potagère 150; quindi, alla casa di Léon Govaerts, famoso per le sue opere in Art Déco. Oggi l’edificio è stato ristrutturato dal Comune di SJTN ed ospita un centro ricreativo. Si giunge a Schaerbeek. A dominare, il complesso di alloggi per lavoratori, anch’essi in Art nouveau e a firma di Henri Jacobs. Sulla Rue Royale, sulla sinistra guardando la chiesa rotonda di Santa Maria, c’è l’ex hotel Cohn-Donnay. Che ospita un ristorante-birreria, De Ultieme Hallucinatie. Cantina con cabaret, elementi di modernità e terrazza con musica blues. Procedendo a Nord verso il cuore di Schaerbeek si giunge alla maison Autrique, commissionata a Horta da Eugène Autrique.

Come per il Solvay, anche per quest’opera Horta poteva contare su di un budget illimitato. La facciata è in pietra bianca con fughe rosse. La porta d’ingresso è in una cornice di pietra, un richiamo all’architettura neogotica. I contorni delle finestre sono decorati, cosa rara per Horta, con un graffito bicromatico lineare. Numerosi dettagli della facciata rimandano all’appartenenza massonica del committente. La casa è aperta al pubblico. Si entra dal salotto, oggi la reception. Un mosaico di marmo bianco e arancione adorna il pavimento dell’ingresso. La maison è la prima casa di città costruita da Horta. Gli interni sono sobri e confortevoli. Sono uno spaccato di come si viveva in una vecchia casa di Bruxelles nel XIX secolo. Nelle memorie, Horta ricorda la gioia che provò quando Autrique gli affidò la costruzione in una zona non convenzionale per le case in Art-Nouveau di lusso.

Schaerbeek era la sede di molti edifici operaie e diverse industrie. Distillerie, fabbriche di carte da gioco, di colle e vernici, di ferro, rame, gomma e cioccolato. I colori della casa sono tipici dell’atmosfera ottocentesca. In tutte le pareti sono presenti piccole finestre sulle aree dipinte: muri, porte, battiscopa, pavimenti. Il tour della casa parte dal piano sub, con la cave à vin e la lavanderia. Il primo piano era riservato alla vita familiare. Al secondo piano, le camere da letto per bambini e personale. Nel complesso, come nelle altre opere di Horta, viene rispettata una certa logica ornamentale, tra fiori ed alberi. Casa Verhaeghe si trova in Avenue Bertrand 43. La facciata è animata da un gioco di sporgenze e rientranze. Casa Dupont è invece tendente al modernismo tipico dello stile tra le due guerre. A Schaerbeek l’Art nouveau belga è al servizio delle esigenze quotidiane.

Casa Langbehn – dell’artista Roger Langbehn, caduto sulla Somme – comprendeva un piccolo negozio al piano terra. In Rue Josephat c’è anche un “palazzo scolastico”, rappresentante il culmine della carriera di Jacobs. Si tratta di un complesso di novanta stanze che arrivò ad ospitare fino a mille alunni. La stazione di Schaerbeek ospita il museo di treni Train World. L’edificio è classificato come Art nouveau, ma dispone di elementi neorinascimentali e fiamminghi. Da notare che gli elementi operaistici di Schaerbeek si incontrano anche nella parte Sud del comune di Bruxelles, a Marolles, vicino a Saint-Gilles, ma all’interno della corona della città. Negli anni Cinquanta dell’Ottocento, per far fronte al problema del sovraffollamento, al rischio di conflitti sociali e alle epidemie, le autorità si impegnarono a ripulire il quartiere e fecero costruire edifici popolari per duemila persone. Questo elemento è ben visibile nel comune di Bruxelles, nella corona della città.

Qui è ospitato il Palais du vin, di Rue des Tanneurs, vicino alla stazione Chapelle. Fu l’architetto Fernand Symons a trasformare i suoi magazzini in stile Art nouveau belga. La lunga facciata policroma è costituita da quindici campate simili. Sui cornicioni le città vinicole: Porto, Coblenza, Magonza, Cognac, Madeira, Malaga, Tours, Saumur, Vauvry, Beune, Bordeaux. Non lontano c’è la scuola materna di Rue Saint-Ghislain, progettata da Horta che qui costruì il primo edificio derivanti da un incarico pubblico. Dell’Art nouveau belga rimane solo qualcosa in questo edificio, così come la centralissima maison Frison. Anche questa è opera di Horta che ricevette la commissione dall’avvocato Maurice Frison per una casa che inglobasse i suoi uffici. Oggi è la sede della Fondazione Horta-Frison. Un’altra struttura rilevante di Horta in centro a Bruxelles sono gli ex magasins Waucquez, che oggi ospitano il musée de la Bande Dessinée.

All’apice della carriera nel 1903, Horta progettò nuovi negozi per Charles Waucquez, uomo d’affari e grossista di lenzuola, tessuti e stoffe. Inaugurati nel 1906, i magasins erano in un luogo di collegamento tra la parte alta e bassa della città. Progettato per abbagliare la clientela – e oggi i turisti – quando si entra nell’edificio si rimane estasiati dallo splendore dell’atrio e della scala monumentale, con la sua ringhiera in legno scolpito e le balaustre in ferro battuto. Anche qui Horta si ispirò alle piante, come dimostrano i motivi floreali sui capitelli. Ritornano i giochi di luci, ma anche mosaici. Strutture metalliche sorreggono il grande vetro colorato che diffonde luce. Nel 1984 sono stati acquistati dalla Régie des Bâtiments de l’État, con l’obiettivo di creare un centro di fumetti e preservare questo patrimonio.

Il progetto di ricostruzione è di Guy Dessicy, ex colorista di Hergé appassionato di Art nouveau belga e dall’architetto Jean Breydel. Il razzo di Tin-Tin, che si vede un po’ ovunque nei caffè di Bruxelles, accoglie i visitatori nell’atrio. La brasserie in simil-Art nouveau belga porta il nome di Horta. Nel centro di Bruxelles l’Art nouveau belga non è predominante. E anzi, essa è ravvisabile soprattutto nei gran caffè. Nella piazza della borsa, ad esempio, c’è Le Grand Cafè. Aperto nel 1874, Emile Jaulet lo aveva inizialmente chiamato Café de la Bourse. Il locale divenne famoso per le numerose feste e attività che vi si svolgevano. Classificato come monumento storico nel 1994, l’edificio unisce classicismo e modernità. Nel 2020, è stato ristrutturato con nuovi affreschi trasformando il locale in un pub colorato. Oggi offre una vasta gamma di specialità belghe. Discorso analogo per Le Cirio.

Il locale del 1886 ha mantenuto la sua atmosfera di fine Ottocento. Quando aprì era un negozio al dettaglio e salone di specialità alimentari italiane, su iniziativa di Francesco Cirio, fondatore dell’omonimo colosso alimentare italiano. L’arredamento è di ispirazione italiana, il che dà al locale il senso di autentica taverna brussellese per la sua offerta di birre. Oltre al palazzo della Borsa, in stile neoclassico, c’è il Falstaff, eretto nel 1903. Il nome è un omaggio al personaggio shakespeariano, dissoluto, insolente, vanaglorioso e bevitore, dipinto in una vetrata. Altri ristoranti Art nouveau belga, comprendono La Porteause d’Eau di Saint-Gilles, il Comme Chez Soi a Stalingrad e Le Perroquet a Marolles. Il Fin de Siècle a due passi dalla Borsa è tale solo di nome, mentre il Mokafè in Galerie du Roi non conserva più elementi in stile liberty.

Per quello che riguarda altri edifici in Art nouveau belga, l’ultima tappa è la Kunstberg, la collina dei musei. Un edifico che tutti i turisti fotografano è l’Old England, così chiamato perché un tempo era specializzato nella vendita di moda e specialità alimentari inglesi, aperto nel 1886. I negozi Old England erano ben radicati in Europa – Parigi, Roma, Bordeaux, Pau, Ginevra. Fu il commerciante James Reid che fondò la società. L’edificio fu progettato da Paul Saintenoy e Jules De Becker. Oggi ospita il Museo degli strumenti musicali, con oltre settemila pezzi di tutte le epoche. Gli interni sono in metallo. L’ultimo piano offre una vista sulla città di Bruxelles. Salendo per la collina si arriva al Museo su René Magritte. A sinistra c’è il Musée fin de Siècle all’Hotel Gresham, i cui interni sono stati progettati da Govaerts.

Nel 1967, lo Stato ha acquistato l’edificio per consentire l’ampliamento dei Musei delle Belle Arti. Il museo Fin de Siècle è stato inaugurato nel 2013. Esso ripercorre come l’Art nouveau ha influenzato tutti gli altri campi artistici. Ospita opere di Maurice Maeterlinck, Emile Verhaeren, Octave Maus, Maurice Kufferath, Guillaume Lekeu, Constantin Meunier, Henri Evenepoel, Fernand Khnopff, Léon Spilliaert, Georges Minne, Félicien Rops, Charles Hermans, Alfred Stevens, Pierre Monard, Jacques Majorelle, Vincent Van Gogh, Georges Seurat, Paul Gauguin, Auguste Rodin, Alphonse Mucha. Artisti tutti diversi tra loro, ma legati all’Art nouveau belga. L’edificio che più di tutti a Bruxelles marca la fine del periodo è il misterioso Palais Stoclet, costruito tra il 1905 e il 1911 dall’architetto austriaco Josef Hoffmann – nella lista dell’UNESCO dal 2009. Il Palais ha inaugurato l’Art Déco e ha decretato la fine dell’Art nouveau belga.

È curioso notare che molti centri urbani in Europa vantano una ricca eredità di Art Nouveau – su tutti, Praga e Vienna. A Bruxelles, invece, sono più i quartieri circostanti rispetto al centro. Lo stile Art nouveau è stato oggetto di varie reazioni nel tempo. Ridicolizzato, ammirato, criticato e proibito, per poi essere riscoperto negli anni Settanta e celebrato negli ultimi quattro decenni. Il mondo vegetale e animale ha fortemente ispirato gli artisti dell’Art nouveau belga in una vasta gamma di discipline. Dalla carta da parati alle vetrate, dai tessuti ai lavori in ferro, dall’oreficeria ai gioielli. Anche se l’elettricità fece la sua comparsa alla fine del XIX secolo, rimase un privilegio per pochi. Gli architetti del movimento, attraverso l’uso di lucernari e una rinnovata organizzazione degli spazi, favorirono l’ingresso di luce naturale.

L’Art nouveau belga è associata anche al Congo e allo sfruttamento del paese – alcuni parlano di “Stile Congo”. Ma sarebbe scorretto ridurre l’Art nouveau belga, “arte totale”, alla questione coloniale. Il suo sviluppo è stato accompagnato da rivalutazione delle arti minori, focalizzate sulla decorazione. A partire dalla fine del XIX secolo, settori come la lavorazione del ferro, la falegnameria, la ceramica, la vetreria, il ricamo e la falegnameria hanno conosciuto una nuova fase di sviluppo e sono stati fatti propri dagli architetti. L’arte totale comprende tutta l’arte: architettura, decorazione e arredamento, fin nei minimi dettagli. Il prodotto di una sapiente combinazione di materiali e innovazioni tecnologiche, tra arte e funzionalità. Le esposizioni internazionali e le fiere hanno contribuito a diffondere la maestria artistica a livello globale. Una visibilità che dura ancora oggi.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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