“Ma se io volessi diventare una fascista intelligente, perché mai la scuola e lo Stato dovrebbero impedirmelo?” Claudio Giunta, scrittore e docente di letteratura italiana all’Università di Trento, se l’è sentito chiedere da una studentessa di un liceo di Milano al termine di una lezione.
Un quesito certamente non banale, a cui non è seguita però una risposta poiché considerato troppo “provocatorio” da un insegnante del liceo.
Questo libro nasce dunque dal desiderio di dare una risposta all’aspirante fascista intelligente, o lo avrebbe scritto anche se la ragazza non le avesse posto quella domanda? E perché un libro sull’educazione civica e la scuola, come recita la copertina?
Per la verità non è proprio un libro, è un saggio seguìto da un’appendice lunga quasi quanto un saggio. Sì, l’avrei scritto lo stesso, anche se il filo narrativo regalatomi dalla ragazza è stato uno dei moventi principali. L’educazione civica (ma la scuola in generale) è un tema soporifero; ma a me pare che il modo in cui intendiamo l’educazione civica, e in generale l’educazione scolastica, rispecchi un certo modo italiano di intendere la vita associata, o la vita tout court. E quello è interessante. Perciò provo a partire dall’educazione civica per dire qualcosa di raggio più lungo, diciamo; e di più interessante.
Nel saggio scrive che dalla storia dell’educazione civica, dai vari nomi e obiettivi che le sono stati assegnati nel corso del tempo, è possibile dedurre qualcosa intorno all’idea che gli italiani hanno e hanno avuto dell’istruzione scolastica. Che idea abbiamo oggi dell’istruzione, e come è mutata dal DPR del 1958 con il quale la materia veniva introdotta nelle scuole?
Sì, questo è uno dei motivi, dei fili conduttori del saggio. Direi che rispetto al 1958 sono cambiate soprattutto due cose. Da un lato, tutto si è complicato. Educazione civica voleva dire allora ‘Costituzione e struttura dello Stato, delle istituzioni’; oggi vuol dire qualsiasi cosa, dal digitale al diritto, dal rispetto dell’ambiente alla tutela delle minoranze: è una forma di profilassi civile rivolta – per usare un’espressione orrenda – a 360 gradi. Dall’altro lato, e simmetricamente, è diminuita la fiducia nelle materie scolastiche, cioè nella loro forza civilizzatrice. Si pensava che studiare seriamente la matematica servisse anche a formare dei buoni cittadini; non lo si pensa più. In generale, è venuta meno la fiducia nella scuola come autonoma agenzia educativa. Forse è giusto così, ma certo è un cambiamento sensibile, e preoccupante.
Un altro tema che ricorre lungo tutto il saggio è la differenza tra sensibilizzare ed istruire. Per quale motivo oggi si dà tanto peso alla sensibilizzazione, nelle scuole e non solo?
Primo, perché è più facile: solo chi è istruito può istruire gli altri, e istruirsi costa fatica; per sensibilizzare non è così necessario studiare, basta credere. Secondo, perché in questo modo si è convinti di cavalcare, e far cavalcare agli studenti, l’onda del progresso. Ci vuole una certa sicurezza, una certa fiducia in sé stessi e nel proprio ruolo per insegnare pacatamente i paradigmi latini o le ossidoriduzioni: il rumore che sentiamo attorno a noi ci induce a credere che si tratti di cose un po’ inutili, con tante questioni più urgenti a cui pensare. E invece sensibilizzare, mobilitare, indicare dei Valori è subito gratificante, mette subito dalla parte del Bene, solletica la vanità. Gonfiare il petto è il più umano degli istinti, soprattutto se si è insicuri.
Nelle pagine in cui analizza le tematiche di riferimento dell’educazione civica secondo la legge del 2019 parla di oblio di un dato d’esperienza, ossia che l’apprendimento è un processo graduale. E si chiede “davvero si crede che obiettivi così ambiziosi – diventare civili – possano essere raggiunti da studenti che sono spesso digiuni delle nozioni delle materie di base? E allora non è su queste che converrebbe insistere magari ricalibrandole?”. Come risponde alla sua stessa domanda?
Ovviamente rispondo che occorrerebbe insistere sulle materie curricolari cambiando i programmi e adattandoli (un po’) alla condivisibile esigenza di mostrare che queste materie parlano anche di questioni relative alla vita associata, e quindi che attraverso il loro studio si può affinare il nostro civismo.
“Non si può – scriveva Rodari – educare i ragazzini in un’atmosfera artificiale e idilliaca. Educhiamo i ragazzi alla serenità ed alla fiducia, ma orientiamoli a conoscere la vita ed il mondo come sono”. Nel libro lei definisce l’educazione civica anche come “il buono dove lo si trova”: ma questo buono che orienti i ragazzi al mondo reale, nei nostri programmi scolastici, dove lo si trova?
«Il buono dove lo si trova» è un’espressione che uso per dire che la disciplina ‘educazione civica’ è una disciplina sfrangiata, caotica, in cui si è finito per mettere tutto e il contrario di tutto. E questo non va bene. Il buono nei programmi scolastici si trova nelle discipline curricolari ben intese e ben insegnate. Su questo sono quietamente conservatore – il buono si trova nella lettura di poesie, romanzi e saggi intelligenti, nella comprensione della storia, nella conoscenza del mondo, sia per come è fatto sia per come funziona… A me le materie scolastiche piacciono molto, mi sembrano buone, mi sembrano – per usare la parola che Pasolini una volta ha usato parlando delle istituzioni – addirittura commoventi.
Guido Calogero, a cui dedica l’appendice del saggio, scriveva “c’è qualcosa di forse più grave della scuola fascista: è la scuola prefascista […] che rende possibile il fascismo preparando una classe di uomini che non sanno riconoscerlo quando arriva”. Perché considera il saggio di Calogero attuale? E quali grandi temi del domani troveranno impreparati gli studenti di oggi?
Sì, uso una volta la parola attualità, parlando del libro di Calogero, e me ne pento. Non è una parola che mi piaccia, in realtà. I libri sono intelligenti o non intelligenti, ben scritti o scritti male. Se sono intelligenti e ben scritti sono attuali, anche se sono stati scritti nel quarto secolo avanti Cristo. Scuola sotto inchiesta è (uso la parola per l’ultima volta) attuale perché contiene idee intelligenti, alcune condivisibili altre meno, formulate in un italiano eccellente. È già molto: è già una ragione più che sufficiente per leggerlo, per ripubblicarlo. Non so su quali grandi temi gli studenti saranno impreparati domani. Ma non si leggono i libri per prepararsi al domani, si leggono i libri per diventare più intelligenti e per mettere alla prova le proprie convinzioni. Al domani ci pensiamo domani.
This book was therefore born from the desire to give an answer to the intelligent aspiring fascist, or would she have written it even if the girl had not asked her that question? And why a book on civic education and school, as the cover states?
Regard Telkom University