Ma se io volessi diventare una fascista intelligente? – Intervista a Claudio Giunta

4 Novembre 2021

Ma se io volessi diventare una fascista intelligente, perché mai la scuola e lo Stato dovrebbero impedirmelo?Claudio Giunta, scrittore e docente di letteratura italiana all’Università di Trento, se l’è sentito chiedere da una studentessa di un liceo di Milano al termine di una lezione.

Un quesito certamente non banale, a cui non è seguita però una risposta poiché considerato troppo “provocatorio” da un insegnante del liceo. 

Questo libro nasce dunque dal desiderio di dare una risposta all’aspirante fascista intelligente, o lo avrebbe scritto anche se la ragazza non le avesse posto quella domanda? E perché un libro sull’educazione civica e la scuola, come recita la copertina?

Per la verità non è proprio un libro, è un saggio seguìto da un’appendice lunga quasi quanto un saggio. Sì, l’avrei scritto lo stesso, anche se il filo narrativo regalatomi dalla ragazza è stato uno dei moventi principali. L’educazione civica (ma la scuola in generale) è un tema soporifero; ma a me pare che il modo in cui intendiamo l’educazione civica, e in generale l’educazione scolastica, rispecchi un certo modo italiano di intendere la vita associata, o la vita tout court. E quello è interessante. Perciò provo a partire dall’educazione civica per dire qualcosa di raggio più lungo, diciamo; e di più interessante.

Nel saggio scrive che dalla storia dell’educazione civica, dai vari nomi e obiettivi che le sono stati assegnati nel corso del tempo, è possibile dedurre qualcosa intorno all’idea che gli italiani hanno e hanno avuto dell’istruzione scolastica. Che idea abbiamo oggi dell’istruzione, e come è mutata dal DPR del 1958 con il quale la materia veniva introdotta nelle scuole?

Sì, questo è uno dei motivi, dei fili conduttori del saggio. Direi che rispetto al 1958 sono cambiate soprattutto due cose. Da un lato, tutto si è complicato. Educazione civica voleva dire allora ‘Costituzione e struttura dello Stato, delle istituzioni’; oggi vuol dire qualsiasi cosa, dal digitale al diritto, dal rispetto dell’ambiente alla tutela delle minoranze: è una forma di profilassi civile rivolta – per usare un’espressione orrenda – a 360 gradi. Dall’altro lato, e simmetricamente, è diminuita la fiducia nelle materie scolastiche, cioè nella loro forza civilizzatrice. Si pensava che studiare seriamente la matematica servisse anche a formare dei buoni cittadini; non lo si pensa più. In generale, è venuta meno la fiducia nella scuola come autonoma agenzia educativa. Forse è giusto così, ma certo è un cambiamento sensibile, e preoccupante.

Un altro tema che ricorre lungo tutto il saggio è la differenza tra sensibilizzare ed istruire. Per quale motivo oggi si dà tanto peso alla sensibilizzazione, nelle scuole e non solo?

Primo, perché è più facile: solo chi è istruito può istruire gli altri, e istruirsi costa fatica; per sensibilizzare non è così necessario studiare, basta credere. Secondo, perché in questo modo si è convinti di cavalcare, e far cavalcare agli studenti, l’onda del progresso. Ci vuole una certa sicurezza, una certa fiducia in sé stessi e nel proprio ruolo per insegnare pacatamente i paradigmi latini o le ossidoriduzioni: il rumore che sentiamo attorno a noi ci induce a credere che si tratti di cose un po’ inutili, con tante questioni più urgenti a cui pensare. E invece sensibilizzare, mobilitare, indicare dei Valori è subito gratificante, mette subito dalla parte del Bene, solletica la vanità. Gonfiare il petto è il più umano degli istinti, soprattutto se si è insicuri.

Nelle pagine in cui analizza le tematiche di riferimento dell’educazione civica secondo la legge del 2019 parla di oblio di un dato d’esperienza, ossia che l’apprendimento è un processo graduale. E si chiede “davvero si crede che obiettivi così ambiziosi – diventare civili – possano essere raggiunti da studenti che sono spesso digiuni delle nozioni delle materie di base? E allora non è su queste che converrebbe insistere magari ricalibrandole?”. Come risponde alla sua stessa domanda? 

Ovviamente rispondo che occorrerebbe insistere sulle materie curricolari cambiando i programmi e adattandoli (un po’) alla condivisibile esigenza di mostrare che queste materie parlano anche di questioni relative alla vita associata, e quindi che attraverso il loro studio si può affinare il nostro civismo.

“Non si può – scriveva Rodari educare i ragazzini in un’atmosfera artificiale e idilliaca. Educhiamo i ragazzi alla serenità ed alla fiducia, ma orientiamoli a conoscere la vita ed il mondo come sono”. Nel libro lei definisce l’educazione civica anche come “il buono dove lo si trova”: ma questo buono che orienti i ragazzi al mondo reale, nei nostri programmi scolastici, dove lo si trova?

«Il buono dove lo si trova» è un’espressione che uso per dire che la disciplina ‘educazione civica’ è una disciplina sfrangiata, caotica, in cui si è finito per mettere tutto e il contrario di tutto. E questo non va bene. Il buono nei programmi scolastici si trova nelle discipline curricolari ben intese e ben insegnate. Su questo sono quietamente conservatore – il buono si trova nella lettura di poesie, romanzi e saggi intelligenti, nella comprensione della storia, nella conoscenza del mondo, sia per come è fatto sia per come funziona… A me le materie scolastiche piacciono molto, mi sembrano buone, mi sembrano – per usare la parola che Pasolini una volta ha usato parlando delle istituzioni – addirittura commoventi.

Guido Calogero, a cui dedica l’appendice del saggio, scriveva “c’è qualcosa di forse più grave della scuola fascista: è la scuola prefascista […] che rende possibile il fascismo preparando una classe di uomini che non sanno riconoscerlo quando arriva”. Perché considera il saggio di Calogero attuale? E quali grandi temi del domani troveranno impreparati gli studenti di oggi?

Sì, uso una volta la parola attualità, parlando del libro di Calogero, e me ne pento. Non è una parola che mi piaccia, in realtà. I libri sono intelligenti o non intelligenti, ben scritti o scritti male. Se sono intelligenti e ben scritti sono attuali, anche se sono stati scritti nel quarto secolo avanti Cristo. Scuola sotto inchiesta è (uso la parola per l’ultima volta) attuale perché contiene idee intelligenti, alcune condivisibili altre meno, formulate in un italiano eccellente. È già molto: è già una ragione più che sufficiente per leggerlo, per ripubblicarlo. Non so su quali grandi temi gli studenti saranno impreparati domani. Ma non si leggono i libri per prepararsi al domani, si leggono i libri per diventare più intelligenti e per mettere alla prova le proprie convinzioni. Al domani ci pensiamo domani.

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