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WHATEVER IT TAKES 2.0

24 Agosto 2020

Il discorso dell’ex Presidente della BCE Mario Draghi al meeting di Rimini è stato un accorato appello alla nostra classe politica e dirigente, una sorta di whatever it takes 2.0 per finalmente intraprendere un cambio di rotta decisivo per il Paese. Tre punti chiave: giovani, istruzione e “debito buono”

La crisi dell’Eurozona e il primo whatever it takes

Era il luglio 2012. L’Europa sembrava sull’orlo della dissoluzione. Dopo la crisi del 2008 partita dagli USA e poi diffusasi in tutto il mondo occidentale, i principali paesi dell’Eurozona avevano intrapreso un percorso di risanamento e di rinnovata crescita. Stessa cosa non stava accadendo per i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Italia, Spagna, Grecia, Irlanda). Paesi schiacciati da gravi storture dei conti pubblici, sistemi bancari decotti e debito pubblici e privati alle stelle. I mercati vedevano sempre più probabile il fallimento di interi comparti di queste economie e il conseguente tracollo dell’intera Eurozona. Questo causava un allargamento dello spread tra i tassi di interessi dei bund tedeschi e i tassi dei vari titoli dei paesi del Sud, mettendo a rischio la tenuta della moneta unica.

Fino a quel momento la BCE nella persona di Mario Draghi aveva giocato un ruolo di non protagonista. La situazione, però, richiedeva una soluzione diversa e straordinaria. Ed è per questo che il discorso tenuto il 26 luglio di quell’anno assume un connotato storico importante. Con quelle parole “within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough …”, Draghi è di fatto entrato nella storia. La BCE iniziò un massiccio programma di acquisti sul mercato secondario di titoli di stato, azioni immettendo liquidità praticamente illimitata nel sistema bancario Europeo. La reazione più immediata fu la rapida discesa dei tassi di interesse dei titoli di stato dei PIIGS e una rinnovata stabilità dell’Eurozona.

Con quel discorso, Draghi ha di fatto salvato l’euro e l’Italia. Potrà fare lo stesso con il suo ultimo discorso al meeting di Rimini?

La lezione di Rimini

Come detto dal diretto interessato, la sua non voleva essere una lezione di politica economica, ma l’obiettivo era dare un messaggio più di natura etica. Cioè su quali basi, su quali valori porre la ricostruzione e la rinascita che sia l’italia che l’Europa intera dovranno affrontare nei prossimi anni.

Un appello alla responsabilità che spesso la nostra classe dirigente e politica ha tradito o disatteso. Le sue parole sono state dirette e chiarissime, anche per il peggiore dei sordi. Fare debito in una crisi del genere va bene. Vanno bene anche i sussidi a lavoratori e imprese, ma questo deve essere l’eccezione, non la regola. Usciremo sicuramente da questa crisi con livelli di indebitamento enormemente maggiori di quelli già stellari con cui abbiamo convissuto in questi ultimi decenni. Ed è per questo che al centro di questo nuovo progetto di rilancio del Paese, devono esserci i giovani, giudicati dall’economista come vittime e spesso elementi marginali di ogni azione e provvedimento di governo.

Questo debito sarà sulle loro spalle e dovrà essere “buono”, destinato ad investimenti sull’istruzione e sul capitale umano come motore di sviluppo sociale ed economico, non impiegati in politiche elettorali, in sussidi a pioggia a tutti senza distinzione, in politiche stataliste che ingessino la già ingessata economia italiana. A tutto questo vanno aggiunte le solite riforme che ormai da anni rimangono scritte sull’acqua.

Un punto di non ritorno?

Questo è il succo del discorso dell’ex governatore della BCE. Una sorta di nuovo “whatever it takes 2.0”, questa volta per l’Italia. Siamo arrivati,come nel 2012, ad un punto di non ritorno e la strada da seguire, proprio come allora, la sta indicando l’ex banchiere centrale. L’Europa all’epoca e il Belpaese adesso, ha bisogno di uno shock politico ed economico. Una presa di posizione forte in primis della classe dirigente e poi delle parti sociali è necessaria, partendo dalla pioggia di miliardi messi a disposizione dai nostri partner europei che ridisegni un paese fermo da trent’anni di non governo e mancette elettorali, che attui un piano definito e strutturato nel solco di tre parole: investimenti, giovani e istruzione.

Non è un caso, che il discorso è suonato come una chiara bocciatura verso le iniziative e i provvedimenti del governo Conte, impantanato su sussidi e blocchi di licenziamento da paese sovietico, bonus tra i più strani e disparati (do you know bonus monopattino?) e nessun piano serio di investimenti per istruzione e capitale umano.

Possiamo considerarlo più che un programma di governo, un invito da fratello maggiore a cogliere questo momento di crisi come opportunità per stoppare il declino a cui questo paese sembra ormai essere destinato ed invertire finalmente la rotta. Ci sarà qualcuno disposto ad accettare la sfida o queste parole verranno portate via dal vento?

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