Dopo più di cento giorni senza pioggia il Nord Italia può sperare di mettere fine alla siccità. Ma perché si possano limitarne gli effetti negativi serviranno piogge moderate e costanti, uno scenario che diventa sempre meno probabile in un futuro di riscaldamento globale carico di implicazioni per gli ecosistemi e l’agricoltura.
Per dirla Rossofuoco: “Piove, finalmente piove”. Dopo più di tre mesi in cui al Nord non si vedeva una goccia, l’aria fredda e umida dall’artico è tornata a soffiare sulla Penisola spazzando via gli ultimi rimasugli di un inverno troppo secco. L’origine del cosiddetto “cattivo tempo” è chiara: come previsto dai modelli meteo, le correnti atmosferiche provenienti dal Polo hanno seguito una traiettoria curva sopra all’Atlantico. Parte delle masse d’aria si sono quindi dirette verso il Nord Africa, proseguendo poi in direzione settentrionale, da cui la sabbia del Sahara che aleggiava nell’aria del Sud Italia negli scorsi giorni; parte delle correnti a bassa temperatura invece, sono giunte più direttamente, portando con sé l’umidità “pescata” dall’oceano. Di conseguenza, le tanto auspicate perturbazioni: calo della temperatura e precipitazioni. Uno dei classici meccanismi di instabilità atmosferica nel Mediterraneo.
Ma allora perché abbiamo dovuto attendere fino ad ora? Un anticiclone, ossia una conformazione di bassa pressione atmosferica associata allo spiraleggiare in verso antiorario di aria calda e secca, sinonimo di belle giornate, si era bloccato in maniera piuttosto anomala sullo stivale. In questo modo aveva impedito all’aria ricca di umidità di giungere fino a noi, con il risultato di mesi di siccità.
L’emergenza siccità
Il deficit medio di precipitazioni per questi ultimi mesi ha allora toccato il -65% nell’Italia Nord-Occidentale, con valori che alcuni fisici dell’atmosfera definiscono “da aree desertiche”. E sfortunatamente, questo non è un caso isolato. Come spiega Ramona Magno, coordinatrice dell’Osservatorio Siccità dell’Ibe-Cnr a “La Repubblica” : <<Lo storico degli ultimi anni ci dice che dal 2000 a oggi abbiamo avuto ogni tre o quattro anni una siccità importante>>. La siccità, inoltre, è una condizione climatica delicata, perché è particolarmente difficile uscirne. Le piogge di questi giorni, infatti, se pure sono una buona notizia non sono sufficienti ad allentare l’allerta. Per contrastare la siccità servono precipitazioni moderate ma continue: dopo mesi senza pioggia il terreno è duro e secco e non riuscirebbe ad assorbire quantitativi sufficienti di acqua. Queste condizioni si dovrebbero poi ripetere più volte prima dell’arrivo dell’estate, diversamente da quanto è accaduto tra autunno e inverno.
La siccità degli scorsi mesi è giunta in seguito ad un periodo di carenza di piogge tra gli scorsi Ottobre e Novembre, che ha concorso a creare un deficit nell’accumulo di neve sulle Alpi. In primavera ciò si è tradotto quindi in penuria d’acqua per molti laghi e fiumi, situazione acuita dall’assenza di piogge. Con la portata ai minimi storici rispetto a quanto osservato per diversi decenni, alcune centrali idroelettriche sono state costrette al fermo, in una situazione di già difficile approvvigionamento energetico.
Il Fiume Po in secca

La situazione più drammatica, con secche giunte al punto di far riaffiorare persino relitti di guerra rimasti sott’acqua per decenni, si ha nel distretto del Fiume Po, la cui portata ha raggiunto valori minimi dal 1972. Si tratta di una vera e propria emergenza, che in alcune zone del Piemontese ha reso necessaria la mobilitazione di autobotti per l’approvvigionamento di acqua potabile. La gravità della situazione è acuita dalla problema delle escavazioni abusive di sabbia e dalle conseguenze della pessima gestione idraulica degli ultimi anni. Questo si riflette nei danni all’agricoltura dati dalla penuria d’acqua e dal conseguente innalzamento del cuneo salino in prossimità del Delta e che durante l’ultima grande siccità nel 2017 si sono misurati in miliardi di Euro.
Il rapporto IPCC
È proprio sugli impatti e i rischi, in particolare nel settore agricolo, che si è focalizzato il sesto rapporto IPCC, di cui l’ultimo capitolo è atteso per lunedì 4 aprile. Infatti, con l’innalzamento delle temperature medie, che nella regione del Mediterraneo è maggiore alla media globale (anomalia di +2°C rispetto ai valori preindustriali), si prevede che i periodi di penuria di precipitazione siano più frequenti e che il livello di siccità sia più intenso. Quindi, anche se i volumi totali di acqua delle precipitazioni, in linea con quanto osservato negli ultimi anni, non dovessero cambiare, si prevede una distribuzione meno regolare delle piogge durante l’anno. Ciò si accompagna ai già citati danni all’agricoltura, come anche ai rischi in termini di sopravvivenza degli ecosistemi terrestri e di aumento degli incendi estivi, di cui abbiamo avuto un amaro assaggio durante la scorsa estate.
Incendi e siccità, temperature in aumento, agricoltura che fa i conti con salinizzazione, penuria di acqua potabile e limiti alla produzione di energia rinnovabile. Sono solo alcuni degli effetti che vediamo ora coi nostri occhi, evidenze dell’arrivo del cambiamento climatico, con un impatto enorme sul nostro territorio, che ci devono portare a una sola conclusione: è passato il tempo di ignorare le sue conseguenze, così come quello per rimandare le nostre azioni.