Giovedì 21 luglio la Bce ha aumentato i tassi di interesse per la prima volta dopo 11 anni. I mercati finanziari si attendevano un rialzo di 25 punti base ma l’Eurotower ha optato per un aumento di 50. Tuttavia, la stretta monetaria è stata accompagnata dall’annuncio dello scudo anti-spread. Un punto ai falchi, mezzo punto alle colombe, i mercati delusi.
La fine di un’era
L’ultima volta che la Bce ha aumentato i tassi di interesse risale al luglio 2011, quando alla presidenza vi era ancora Jean Claude Trichet, che avrebbe lasciato il testimone a Mario Draghi a novembre dello stesso anno. In quel periodo la Bce affrontava l’aumento dell’inflazione e le continue tensioni sui mercati finanziari. Il Consiglio direttivo aumentò i tassi di interesse di 25 punti base in aprile e di ulteriori 25 a luglio. A seguito del rallentamento della crescita economica, la Bce a guida Draghi annullò i due precedenti rialzi, riportando i tassi ai livelli precedenti. Da quel momento, e per i successivi 11 anni, l’orientamento della politica monetaria europea sarebbe stato sempre espansivo, almeno fino al 21 luglio 2022.
Un punto ai falchi
Alla vigilia dell’annuncio, tra gli analisti ci si attendeva un rialzo di 25 punti base. Nonostante l’inflazione nell’eurozona avesse registrato l’8,6% a giugno, si valutava che il rallentamento della crescita economica avrebbe condotto la Bce verso un aumento dei tassi più graduale, anche se già i verbali della riunione di giugno dell’Eurotower avevano mostrato la volontà di alcuni “falchi” del Consiglio direttivo di optare subito per un rialzo deciso. La Bce vuole normalizzare la politica monetaria e conseguire l’obiettivo inflazionistico del 2% nel medio termine e per settembre si prevede un ulteriore rialzo dei tassi. Il 21 luglio verrà ricordato come un giorno di svolta per quanto riguarda i tassi negativi. A partire dal 2014, la Bce ha portato il tasso di deposito sotto lo zero. Questo tasso consiste nel rendimento della liquidità in eccesso parcheggiata dalle banche commerciali presso la Bce. Il tasso negativo applicato in questi anni aveva l’obiettivo di incentivare le banche a immettere liquidità nell’economia reale, erogando prestiti a famiglie e imprese. Ora la musica è cambiata e Francoforte vuole adottare tutti gli strumenti necessari per ridurre la quantità di moneta in circolazione nel sistema. Il contenimento dell’inflazione ha la priorità sulla crescita dell’output. Un punto ai falchi.
Lo scudo anti-spread
La decisione di raddoppiare il rialzo dei tassi è legata all’introduzione dello scudo anti-spread di cui già avevamo parlato qui una maggiore stretta monetaria per la “felicità” dei frugali in cambio di una concessione ai paesi con più elevato debito pubblico. Il suo nome è Transmission Protection Instrument (TPI) e ha l’obiettivo di salvaguardare il funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutta l’area dell’euro, riducendo il rischio di frammentazione nel mercato dei titoli di Stato. La Bce ha indicato una serie di criteri di eleggibilità dei titoli, in relazione alla situazione macroeconomica dell’emittente che:
- non deve essere soggetto a una procedura per disavanzi eccessivi;
- non deve essere soggetto a una procedura per squilibri eccessivi;
- deve garantire la sostenibilità del debito, certificata dalle analisi di Commissione Europea, Meccanismo Europeo di Stabilità, Fondo Monetario Internazionale e altre istituzioni, unitamente all’analisi interna della Bce;
- deve rispettare gli impegni assunti nel PNRR e le raccomandazioni della Commissione Europea in ambito fiscale.
Il TPI entra a far parte della cassetta degli attrezzi della Bce in materia di contenimento degli spread, sommandosi alla flessibilità di reinvestimento del Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) che avrebbe potuto costituire già una prima forma di scudo anti-spread e alle Outright Monetary Transactions (OMT).
Mezzo punto alle colombe
Non si può parlare di una vera vittoria per le colombe, in quanto gli effetti sui mercati dell’annuncio del TPI sono imparagonabili rispetto a quelli del bazooka di Mario Draghi del 2012, quando annunciò l’introduzione delle OMT. Sui mercati c’è incertezza sull’efficacia del nuovo strumento. Ad aggravare la situazione è stata senz’altro la simultanea caduta del governo Draghi in Italia, con lo spread Btp-Bund che continua a viaggiare a ridosso di quota 250. Il TPI al momento rappresenta un’incognita: la Bce si impegna ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario emessi da paesi “che subiscono un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali”. Innanzitutto, l’attivazione richiede il rispetto delle condizionalità descritte e non avverrà subito, ma soprattutto può essere disposta secondo una certa discrezionalità da parte della banca centrale. Fino a che punto lo spread può considerarsi giustificato dai fondamentali? Il discrimine può essere di non facile determinazione e qui entrano in gioco valutazioni di carattere non solo tecnico ma politico. Inoltre, la Bce precisa che il TPI verrebbe disattivato nel momento in cui si valutasse il livello dello spread come giustificato. Ma il punto è: e se un paese registrasse uno spread insostenibile perché in crisi economica (con conseguente aumento del rapporto debito/PIL e logoramento della qualità del credito) o per indisciplina fiscale di un governo poco responsabile?
A quel punto la Bce lascerebbe fallire quel paese?