Il ddl Zan – inutile negarlo, anche per merito dell’attenzione rivoltagli da Fedez – in queste ultime settimane è stato uno dei temi al centro del dibattito pubblico italiano. Nonostante la proposta sembri godere di un forte appoggio popolare, gli scettici sul disegno di legge non sono certo mancati. C’è chi ne mette in dubbio l’utilità giuridica pur condividendone le motivazioni, chi teme per la propria libertà di espressione riguardo i temi in questione e chi si interroga sulle definizioni di concetti come “sesso” ed “orientamento sessuale”. Per capire se effettivamente queste critiche possano definirsi giuridicamente fondate Martino Biondani ha intervistato Vitalba Azzollini, giurista e giornalista.
Cosa comporterebbe l’introduzione del DDL Zan a livello legislativo? Quali articoli andrebbe a modificare?
«Il ddl Zan prevede la modifica di sei disposizioni:
- art. 604-bis del codice penale;
- articolo 604-ter del codice penale;
- decreto-legge 122/1993 convertito con modificazioni;
- articolo 90-quater del codice di procedura penale;
- decreto legislativo 215/2003;
- articolo 105-quater del decreto-legge 34/2020 convertito con modificazioni.»
Cosa cambierebbe concretamente con una sua eventuale introduzione? In quali fattispecie reali vi sarebbero delle modifiche rispetto ad ora?
«Il ddl Zan prevede sanzioni per chi commette atti di discriminazione fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità”; per chi istiga a commettere o commette violenza oppure atti di provocazione alla violenza per gli stessi motivi; per chi partecipa o assiste organizzazioni aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza sempre per tali motivi. Inoltre, per qualsiasi reato commesso per le finalità di discriminazione o di odio la pena viene aumentata fino alla metà. Si prevede anche l’istituzione di una giornata nazionale per promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione, nonché per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere; nonché programmi di sensibilizzazione su questi temi nell’offerta formativa delle scuole. L’Istat farà indagini con cadenza almeno triennale su discriminazioni e violenze contemplate dal ddl Zan. Nel provvedimento c’è anche uno stanziamento annuale per i centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere.»
In questi ultimi giorni alcune personalità, fra cui Cerasa su “Il Foglio”, hanno espresso la loro titubanza sul DDL Zan. La loro tesi è che le categorie citate siano già tutelate dalla legge e che la sua eventuale approvazione costituirebbe solamente una formalità simbolica che, anzi, potrebbe mettere a rischio la possibilità di esprimere una semplice opinione più “conservatrice” sui temi in questione. Giuridicamente le critiche le sembrano fondate?
«Alcune condotte previste dalla proposta di legge potrebbero essere punite facendo ricorso a norme incriminatrici vigenti – ad esempio, per i reati contro la vita, l’incolumità personale, la libertà personale e morale – semmai aggravate dalla circostanza dei “motivi abietti o futili” (art. 61, n. 1 c.p.). Tuttavia, premesso che questa circostanza aggravante non sempre potrebbe essere applicata, il fine del disegno di legge è – come spiegato – quello di dare riconoscimento giuridico a certe situazioni personali le quali costituiscono la causa, il movente, di determinate condotte, mediante una particolare protezione e specifiche sanzioni. Tali condotte, motivate da pregiudizi contro caratteristiche soggettive, possono ledere non solo l’incolumità personale o la libertà personale e morale, ma anche l’uguaglianza e la stessa dignità umana. Non c’è, quindi, sovrapposizione con altre normative esistenti. Un esempio può spiegare meglio. La legge quadro sulla disabilità (l. n. 104/1992), aggrava la pena prevista per taluni reati quando gli stessi siano commessi a danno di persone disabili. Invece, il ddl Zan colpisce discriminazioni e violenze commesse su individui con disabilità “in quanto disabili”, cioè per ciò che essi “sono”.»
Sempre a livello giuridico, lei ritiene che il testo potrebbe essere migliorato? Se sì, come?
«Sul piano applicativo sorgeranno problemi, come per altri temi innovativi nel corso degli anni, e in questo senso una zona grigia esiste, inutile negarlo. La giurisprudenza aiuterà a capire e a mettere meglio a punto le fattispecie contemplate, com’è sempre stato per novità dell’ordinamento. Il testo potrebbe senza dubbio essere migliorato, ad esempio integrandolo con la definizione di discriminazione come condotta esattamente individuata nell’ambito della disciplina in questione, mentre essa è diversamente declinata in varie discipline vigenti, ognuna a fini diversi. La norma che fa salva la libertà di espressione, voluta da una parte politica per ribadire che le opinioni non sono oggetto di sanzione, sta ricevendo commenti che la interpretano in senso opposto: di fatto, potrebbe essere eliminata e la libertà in questione resterebbe salva comunque, incontrando in ogni caso un limite in altri valori tutelati costituzionalmente.
Quanto alle critiche perché la legge accomuna nella tutela sia il sesso sia altre situazioni, i temi oggetto del ddl Zan toccano sensibilità diverse, ognuna delle quali va rispettata. Detto ciò, l’estensione della portata della normativa non intende negare l’unicità fisica e mentale di ciascuno, ma vuole fornire tutela contro manifestazioni odiose che accadono al fine di colpire alcuni individui per ciò che sono, come se essere in un certo modo fosse una colpa. Ogni modo di essere è unico, a sé stante e meritevole di riconoscimento, anche se ciò avviene mediante l’unico e ampio ombrello protettivo offerto dalla stessa legge.»
Tracciando un bilancio generale e tralasciando il più possibile la questione etica, lei ritiene che il DDL Zan sia una misura utile per gli intenti su cui è basato o rischia di creare più problemi di quanti ne risolverebbe?
«Come accennavo, il disegno di legge è senz’altro migliorabile. Bisogna tuttavia essere consapevoli che, qualora il testo fosse modificato, dovrebbe tornare alla Camera, i tempi si allungherebbero e si rischierebbe di non riuscire ad approvarlo entro la fine della legislatura. Rinunciare a una normativa che rappresenta un passo in avanti nel riconoscimento giuridico, e quindi nella tutela, di certe situazioni personali potrebbe essere un’occasione persa, e chissà per quanto tempo.
Grazie per questo articolo, finalmente un po’ di chiarezza dal punto di vista giuridico su questa legge di cui si sente dire di tutto e di più