Stefano Bonaccini durante la cerimonia in occasione della ricorrenza del 10° anniversario del sisma in Emilia - via Wikimedia Commons

Bonaccini da Campogalliano: l’uomo del fare bene

15 Dicembre 2022

Quando si parla di Stefano Bonaccini è facile farsi trasportare dalle sue recenti trasformazioni. Anche da quelle estetiche: da quando nel 2019 si fece cogliere dagli ultimi barlumi dell’hipsterismo per scoprire barba-e-occhiale-a-goccia.

Ma quello è entertainment. Vanità.

Oltre troviamo il presidente di una delle regioni più prospere d’Europa, fattosi dal nulla nella culla della “buona amministrazione di sinistra“.

Idealista pragmatico, come il PCI del dopoguerra, è uno degli ultimi figli della schiatta dirigenziale cresciuta a pane, militanza e governo delle città. Bonaccini ha saputo interpretare il cambio dei tempi grazie ad un contatto profondo, quasi simbiotico, con i territori.

Si è fatto contro-interprete dello Zeitgeist del pieno salvinismo, fermando l’avanzata della Lega con quello che i territori sapevano e potevano offrire – ricorderete le Sardine e il leitmotiv della Bestia “dietro la Sardina spunta la barbina”: trasformò quello che doveva essere un test per vincere le elezioni in Toscana (secondo i sondaggisti molto più in bilico di quelle emiliano-romagnole), nell’inizio della parabola discendente di Matteo Salvini.

Dopo le sconfitte in Liguria e in Umbria – in quest’ultima complice l’inchiesta sulla sanità regionale – Bonaccini ha tenuto in piedi la “roccaforte rossa“. Ma l’onda “spese pazze“, che nel 2014 poteva mettere in crisi il Partito Democratico emiliano-romagnolo per un dildo (e dire che una volta alle amanti Craxi regalava le emittenti televisive: come a dire che a sinistra si è sempre gaudenti, ma un po’ più poracci), Bonaccini si è fatto presidente per la prima volta, su richiesta di Pierluigi Bersani e Vasco Errani.

Non di Matteo Renzi. Di Bersani, Errani e del patto di ferro tra imprenditori e sinistra vera: l’elettorato ha votato Bonaccini presidente per ben due volte anche per la sua provenienza dalla classe operaia, concreta e laboriosa.

Bonaccini di umili origini, Bonaccini di Campogalliano, che proprio dal circolo di Campogalliano ha fatto partire la sua campagna per diventare segretario del PD.

Non dopo la vittoria travolgente in Emilia-Romagna, quando poteva anche ambire a far cadere Zingaretti fra gli applausi scroscianti – evitando poi a Franceschini il viaggio a Parigi col cappelluccio in mano per richiamare Letta a salvare la patria – ma ora, nel momento più nero per il PD, prendendo per mano il sogno antico di un PD dei sindaci, “squalificato” in questi giorni come “partito degli eletti“, come da definizione di Elly Schlein al circolo del PD della Bolognina.

Tutto parte dal Patto per il Lavoro e per il Clima, lo strumento che Bonaccini ha scelto per concertare una transizione ecologica giusta, partendo dal presupposto che la svolta verde deve coinvolgere tutti, soprattutto chi non se la può permettere. Lo ha messo in mano a Vincenzo Colla, un sindacalista ex vicesegretario generale CGIL nazionale, che ha scelto come punto fisso della sua Giunta, e a Elly Schlein, pigliatutto di preferenze, non organica al PD, concedendole comunque la vicepresidenza della Regione. Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, parecchio di rosso per uno tacciato dai detrattori come aquila bianca della sinistra.

Lavoro e Clima: i capisaldi della sinistra che vuole cambiare il nome al PD sono già nel DNA del profilo politico di Bonaccini.

Quello che è stato fatto nel laboratorio perpetuo dell’Emilia-Romagna, Bonaccini lo vuole portare a livello nazionale, con un processo down-top che parta dagli amministratori locali verso i palazzi romani: un ascensore politico.

E non è un caso che proprio Bonaccini abbia “rispolverato” il concetto di “ascensore sociale”, applicandolo all’istruzione e alla formazione, che nella retorica bonacciniana hanno lo stesso peso specifico del lavoro.

Bonaccini è sostenuto da Base riformista. Elly Schlein da AreaDem (Franceschini). Marco Damilano è stato il primo a dire che Bonaccini è l’anticorrente che è stato in tutte le correnti. Ma la realtà è che, organicamente, il PD sconfitto sistematicamente sul piano nazionale si è radicato sulle federazioni territoriali che hanno vinto. Bonaccini è l’anticorrente perché come Emiliano, come De Luca, come Sala, come Decaro, come Ricci è il leader di un territorio politico, non di un’area ideologica. E questo gli permette di bypassare le correnti. Esattamente come ha intuito il già citato sindaco di Pesaro Ricci quando ha scelto di supportarlo: “sarò la sinistra di Bonaccini“.

Bonaccini è un uomo del fare. E la crescita esponenziale della qualità della vita in Emilia-Romagna, nonostante una pandemia particolarmente inflessibile sulla regione, dimostra che è un uomo del fare bene.

I suoi capisaldi ha iniziato a fissarli sul QN in questi giorni: legge sul salario minimo, taglio delle tasse sul lavoro per le buste paga più pesanti, limite ai contratti a termine per combattere il precariato, una nuova legge sulla rappresentanza per cancellare i contratti “pirata” come richiesto dai sindacati e attenzione al popolo delle partite IVA.

Su una delle sue battaglie storiche, quella dell’autonomia regionale differenziata, Bonaccini sta segnando un punto di svolta non scontato: complice anche la proposta del ministro Calderoli, Bonaccini con la sua di proposta, che prevede prima i Livelli essenziali di prestazioni da garantire allo stesso modo in tutto il Paese, perequazione di risorse e investimenti che non danneggi alcuna regione e legge quadro col pieno coinvolgimento del Parlamento, ha convinto Emiliano in Puglia e pure l’irriducibile De Luca in Campania: due regioni strategiche per il Congresso imminente, vista soprattutto la presenza di Provenzano in Sicilia in appoggio a Schlein.

Per ora lui e la sua ex vicepresidente hanno scelto di duellare senza il primo sangue – anche se Schlein negli ultimi giorni qualche colpetto indiretto inizia a darlo (ad esempio con il posizionamento sullo Jobs Act, sul rigetto dell’autonomia differenziata… ) – ma è da capire quanto durerà questa tregua.

Di certo entrambe le mozioni hanno bisogno di una messa a punto, ma il tema del presidente della Regione Emilia-Romagna è chiaro: superare l’identità per arrivare ad una vera e propria appartenenza alla comunità-PD attraverso le esperienze di governo, di amministrazione e di attivismo da esaltare e portare dalle frazioni alle poltrone del Parlamento.

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