Per raccontare la candidatura di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico dobbiamo tornare indietro di qualche mese. È il 23 settembre: in Piazza del Popolo a Roma il PD chiude la sua campagna elettorale. Breve e poco intensa.
Dai volti del pubblico s’intuisce il clima: molti hanno un sorriso di circostanza che lascia però intravedere la preoccupazione. Alcuni sono indecisi, altri molto attenti, specialmente i più anziani che di campagne elettorali ne hanno viste tante. In un’ora si susseguono una serie di oratori sul palco, alcuni in grado di scaldare la folla, altri meno. Fra i primi c’è sicuramente Stefano Bonaccini, uno dei pochi che riesce a far alzare tutti per applaudire o urlare bravo!: non è certo un segreto il suo grande carisma.
L’ultima a parlare prima di Enrico Letta è un volto nuovo nelle liste democratiche: è Elly Schlein, è alla sua prima candidatura alle politiche, anche se è già stata europarlamentare nel 2014. Questa volta si presenta come indipendente, pur avendo avuto la tessera di quel partito da quando era giovane fino al 2015, a causa di alcune riforme che l’allontanarono dall’allora segretario Matteo Renzi. Il Jobs Act, l’Italicum approvato con la fiducia non facevano parte della sua visione di Paese.
Davanti alla platea parla di redistribuzione della ricchezza, di diritti civili e sociali, d’intelligenza collettiva: il pubblico si accende dopo tanto tempo grazie al suo entusiasmo. Lo stesso che ha messo quando si è occupata delle Agorà Democratiche, il momento in cui si è riavvicinata al PD e il momento in cui ha capito che non era estranea alla sua comunità, che erano più i dirigenti che i militanti a considerarla aliena.
Subito dopo quella piazza, il 25 settembre, la sconfitta elettorale. Il centro-destra va al governo e per la prima volta dal 2011 un esecutivo politico riesce a governare senza l’aiuto di altre forze. Una catastrofe. Per il centro-sinistra, s’intende.
Ma anche nelle catastrofi si può trovare un’opportunità, se si è disposti a cercarla. Obama (per cui Elly Schlein ha fatto volontariato nel 2008) in un suo discorso disse: “Il cambiamento non verrà se aspettiamo qualcun altro o un’altra occasione. Siamo noi quelli che abbiamo aspettato. Siamo noi il cambiamento che cerchiamo”. Non c’è frase migliore per descrivere l’animo con cui l’ex Vice-Presidente dell’Emilia-Romagna si è candidata al Congresso: portare il cambiamento tanto discusso ma raramente applicato nel PD.
Da quella piazza arriviamo all’evento romano al MONK di domenica. Quei pochissimi grandi dirigenti del Partito fra la platea, come Provenzano o Boldrini, si trovano li per curiosità.
La sinistra del PD non ha ancora un candidato, mentre Base Riformista, la corrente d’ispirazione liberal-democratica, ha già individuato in Bonaccini il suo uomo. C’è chi propone Ricci e chi propone Cuperlo (grande classico). Molti considerano Schlein come una fastidiosa intromissione negli affari interni del partito, non capendo che solo una figura esterna, come è stata lei in questi anni, ha la credibilità per guidare una mozione congressuale di sinistra.
Non c’è Orlando fra il pubblico ma ci sono gli orlandiani, che pare abbiano deciso prima del loro capo corrente chi appoggiare questa volta. C’è Michela Di Biase in rappresentanza dei franceschiniani. Troviamo anche qualche neo-deputato come il giovane Marco Furfaro, in collegamento c’è anche Brando Benifei. Tutte queste figure non erano lì per chissà quali accordi sottobanco: anche gli appoggi di peso, più o meno espliciti, sono arrivati in modo spontaneo. Lei stessa ha tenuto a sottolinearlo dicendo: “venite liberi o non venite affatto”.
Ma tutti i politici di cui si è appena detto sono quasi insignificanti di fronte alle centinaia di persone riunitesi lì, molte delle quali neanche iscritte al PD. C’era chi si aspettava poche decine di persone, visto anche il meteo avverso. Se lo aspettavano soprattutto i capi corrente che, senza alcun appoggio esplicito alla sua candidatura, pensavano di vedere semplicemente qualche amico e parente. Invece Elly Schlein porta con sé associazioni, militanti, semplici elettori del centro-sinistra: quella che viene chiamata la base, alla quale si rivolge con l’espressione “senza base non c’è altezza“. Una frecciatina, forse. Quella base che il PD non ha più, che un tempo costituiva una sicurezza per il partito e che ora si è ridotta ai minimi storici.
L’evento al MONK comincia con un saluto alla sorella Susanna, consigliera diplomatica ad Atene, dopo l’attentato che ha visto esplodere la sua auto, lasciandola fortunatamente illesa. Poi l’introduzione dei vari oratori: tanti amministratori locali del PD, quelli che si sporcano le mani sul territorio, dalla Lombardia alla Puglia, passando per Arquata del Tronto (cittadina devastata dal terremoto del 2016). Si parla di edilizia popolare, di ecologia, d’innovazione tecnologica, di territorio. Sul partito dicono tutti la stessa cosa: il programma con cui ci si è presentati alle elezioni era il migliore degli ultimi anni, il problema era il deficit di credibilità degli attuali dirigenti.
Infine il suo discorso, che dura poco meno di un’ora. Un ritratto preciso di quello che dovrebbe essere il suo PD. Ma a chi parla Elly Schlein? A chi vive in povertà e adesso si vede stralciato il Reddito di Cittadinanza che, con tutti i suoi difetti, ha evitato un milione di poveri in più durante la pandemia, secondo i dati di Bankitalia; ai lavoratori sfruttati che aspettano il salario minimo; ai migranti, alle donne, spesso costrette a lasciare il lavoro a causa della gravidanza, ai giovani, introdotti al mondo del lavoro con tirocini malpagati e lavori in nero, alla comunità LGBTQI+, che ancora aspetta una legge contro l’omotransfobia ed il raggiungimento dei pieni diritti.
Chiarezza e pluralità, con buona pace di chi ha già dichiarato che se ne andrà se Elly dovesse vincere le Primarie.
Poi gli attacchi alle prime mosse del Governo Meloni, alla legge di bilancio che opera una redistribuzione al contrario, toglie ai poveri per dare ai ricchi. Un discorso che sicuramente avrà fatto ricredere chi, anche da sinistra, l’ha attaccata dicendo che si occupa solo di diritti civili a causa del suo orientamento sessuale. Ed ancora la condanna della guerra di Putin, la solidarietà all’Ucraina che, seppur al buio, resiste e combatte. La visione chiaramente europeista federalista.
Ed ecco che arriva la parte che tutti aspettavano: “…costruiamo insieme questa candidatura per dimostrare che io posso diventare la Segretaria del nuovo Partito Democratico!”. Di fronte a queste parole la folla esplode in un grande applauso e comincia a cantare Bella Ciao: l’inno della sinistra, anche esterna al PD, che negli ultimi anni si è contrapposta prima a Salvini e poi a Meloni.
La partita sarà dura: per la prima volta le primarie, che si terranno il 19 febbraio 2023, non hanno esito scontato. Non perché le altre volte ci fossero chissà quali raggiri: semplicemente c’era un candidato che era palesemente più forte degli altri. Schlein e Bonaccini, gli sfidanti principali (senza offesa alcuna per De Micheli), sono entrambe figure di peso che mobilitano le rispettive aree di riferimento.
La prima può contare su molti militanti ma anche su altrettanti esterni: associazioni, terzo settore e mondo della sinistra che l’ha sostenuta alle regionali del 2020. Il secondo invece si è già assicurato l’appoggio di Nardella e dei dirigenti del PD Toscano che, insieme a quello dell’Emilia-Romagna, fanno il grosso degli iscritti al Partito, oltre ad essere sostenuto anche da altre figure di spicco come Emiliano in Puglia. Più titubante sarebbe De Luca che non condivide la sua visione dell’autonomia differenziata.
Anche i sondaggi raccontano una partita molto contesa: l’ultima rilevazione di Euromedia dà i due sfidanti separati da meno di 5 punti.
Nessuno può dire con sicurezza chi vincerà, ma una cosa è certa: dopo domenica Elly Schlein non sarà l’unica a riprendere la tessera del Partito.