In Italia vediamo ormai solo il piazzamento e i problemi dell’oggi. Citando Montanelli, siamo diventati veramente un paese di contemporanei: l’Italia è un paese senza passato e senza futuro. La politica, da arte suprema e professione, è svilita. Aziendalisti, generali, magistrati, tecnici di varia estrazione e professione senza formazione politica occupano le istituzioni e ci parlano solo dei problemi dell’oggi. Al massimo dei problemi di ieri.
L’eredità di “ieri”
È vero. Molti problemi della politica italiana di oggi risalgono a ieri, e molte criticità di oggi risalgono a scelte, anche sbagliate od obbligate, di ieri. Il problema è che si danno risposte semplicistiche, e la risultanza sono i piazzamenti di comodo delle forze politiche di oggi senza guardare al domani. Nessuna alternativa sul futuro: solo virtualità e subalternità a forze più grandi.
La corruzione, per esempio, è stato un malcostume di una sola forza politica o di tutto un sistema politico, economico e sociale a cui questo sistema faceva comodo? Il silenzio verità durante il discorso di Bettino Craxi del 3 luglio 1992 alla Camera e il naufragio di Tangentopoli per le ragioni addotte da Gherardo Colombo in un’intervista sono rivelatrici. Tutta l’Italia era attraversata da clientela e corruzione. Nessuno escluso.
L’impennata del debito pubblico degli anni 80, altro esempio, è dovuta a una gestione governativa finanziocentrica? No, al contrario moltissimi italiani lucrarono su quel debito pubblico e godevano economicamente di quelle situazioni, fregandosene dei figli e dei nipoti.
Moltissimi dei problemi che abbiamo oggi trovano radici nello ieri. Per questo in molti ambienti, anche sociali, politici, culturali, si sostiene di dover ripartire da dove la storia si è interrotta: dall’asse tra democristiani, socialisti e liberali.
Cosa fa la politica oggi
Sarebbe opportuno tornare a guardare al futuro e parlare del destino dell’Italia e degli italiani. Perché ciò che manca terribilmente alla politica italiana oggi è la prospettiva. Nessuno dice come vede e vuole l’Italia e gli italiani tra dieci, venti o trent’anni. Tutti ci parlano solo dei problemi dell’oggi. Tutti sono qualunquisti e populisti: parlano alle pance e nutrono i sentimenti retrivi e deteriori della società. Pure quelli che mettono nel simbolo la prospettiva del futuro (2050). Nessuno fa più sana demagogia parlando alle passioni, ai cuori e alle menti degli elettori.
Tutti ci dicono che siamo stati tra i fondatori della Unione Europea e quindi dobbiamo avere più “potere”, e che l’Unione Europea così com’è funziona male. Nessuno ci dice come vuole l’Unione Europea tra vent’anni e come vuole che l’Italia sia, come postura comunitaria, tra venti o trent’anni!
Moltissimi ci dicono che siamo stati la quarta potenza industriale del mondo quando governavano insieme socialisti, liberali e democristiani, e si lamentano del fatto che oggi che governano o i reazionari di sinistra o i reazionari di destra stiamo perdendo terreno sia nel G7, sia in Unione Europea e sia nel G20. Nessuno ci dice come ritiene necessario trasformare il sistema economico e produttivo italiano nei prossimi vent’anni!
Quasi tutti si lagnano per le riforme del lavoro, per la paralisi del mondo del lavoro, per il blocco dell’ascensore sociale, per le condizioni economiche peggiorate negli ultimi vent’anni del sistema lavorativo. Quasi nessuno ci propone un’alternativa futura e futuribile su come modificare il sistema di produzione e condivisione della ricchezza, su come intervenire sulla povertà lavorativa, su come riattivare un circolo virtuoso in Italia.
Italia paese di contemporanei
Qual è il destino futuro dell’Italia? Nessuno ce lo dice! Nessuno ci dice quale ruolo protagonista l’Italia deve conquistare nello scacchiere comunitario e internazionale nel prossimo ventennio, né come farlo. Cosa sarà il sistema economico italiano per i prossimi trent’anni e come indirizzarne la trasformazione. Cosa sarà la società italiana tra trent’anni e come accompagnare questa evoluzione.
Il tutto, per giunta, senza considerare alle prospettive future, in atto, dell’evoluzione “regionale” e globale.
Da un anno molti lavoratori pubblici hanno ritardi sugli stipendi con la scusa di molte scuse legate all’apparato burocratico (ancora cartaceo) e di difficoltà economiche degli enti. Come risolvere la questione? Precarizzando ancor più il lavoro, trasformandolo in lavoro povero, inserendo garanzie e prelazioni sui titoli di stato, riformando interamente e in senso moderno tutto il mare magnum di normative a tutela del lavoro?
Tra un anno scadranno le misure straordinarie per alcuni lavoratori di alcuni segmenti produttivi (per esempio quelli del settore ittico del Polesine, dell’agroalimentare emiliano-romagnolo e di tutti quei settori danneggiati o paralizzati dalla crisi climatica italiana). Cosa fare? Spingere per un rinnovamento di quei segmenti, mantenere assistenzialismo clientelare, creare segmenti produttivi precari?
Tra tre anni il segmento produttivo italiano sarà in crisi di manodopera (servono entro il 2028 3,7 milioni di lavoratori, ma i lavoratori italiani disponibili sarebbero solo 3 milioni circa) salvo che, come affermato dal ministero del lavoro del governo Meloni, nei prossimi tre anni non vengano in Italia più di 600mila immigrati a lavorare e di cui “condonare” la posizione con decreti flusso. Come ci si comporterà con questi nuovi protagonisti della produzione italiana? Tenendoli come immigrati, dotandoli di strumenti culturali per integrarsi, rendendo più accessibile la cittadinanza?
Tra circa cinque anni il sistema sanitario nazionale sarà in crisi di lavoratori, per lo più medici ospedalieri e infermieri. Come si intende operare? Inserimento di nuovi medici e infermieri anche in deficit, lasciando – come già avviene – la supplenza in mano a clientele private, ristrutturando il sistema sanitario verso la medicina territoriale?
Tra il 2026 e il 2027 finiranno gli stanziamenti del fondo europeo di ripresa. Come stiamo spendendo quei fondi? Per la creazione di soli posti di lavoro legati a quei fondi o per la modifica e l’ammodernamento del settore produttivo e del sistema paese? Quando finiranno che fine faranno i lavoratori assunti coi fondi PNRR? Saranno stabilizzati, diventeranno precari e perdenti posto, finiranno in cassintegrazione?
Tra meno di dieci anni l’intelligenza artificiale combinata alla cibernetica e alla robotica porterà a una riduzione della richiesta di manodopera e alla desuetudine di molti lavori. Che si farà con quei lavoratori che rischieranno un nuovo esodo? Formazione e reinserimento, assistenzialismo, prepensionamento?
Tra il 2031 e il 2032 scadranno i titoli di debito ventennali venduti, con interessi da capogiro, durante la crisi dei debiti sovrani europei, e il piazzamento del nuovo debito dipenderà dalla solidità del nostro sistema economico-produttivo e dalla credibilità delle nostre politiche. Come si intende arrivare a quell’appuntamento senza subirne l’impatto? Con politiche di rigore e risparmio, mediante riforme e investimenti nel settore produttivo, tramite una lotta per il raggiungimento di un debito comune europeo?
Nel 2035 l’UE dirà addio alla produzione di motori termici per spostare la produzione verso il motore elettrico. In che modo vogliamo arrivarci? Osteggiando il cambiamento, investendo in ricerca e sviluppo, cercando di abbattere il costo dell’energia elettrica (che in Italia ha raggiunto livelli record con la complicità di speculazioni e apparati intermedi)?
Entro il 2050 larga parte del mezzogiorno sarà desertificata. Come si intende porre rimedio a ciò? Serie politiche a sostegno della riforestazione e decementificazione, politiche di riorganizzazione delle strutture idriche a partire da potabilizzatori e dissalatori e dalle infrastrutture?
Queste sono le domande a cui la politica, oggi, sceglie di non rispondere. Sceglie di non farlo perché ha solo soluzioni vecchie che non risolvono i problemi dell’oggi e, soprattutto, non vedono come sarà l’Italia tra dieci, venti, trenta o cinquant’anni. Non sanno quale ruolo avrà l’Italia in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo nei prossimi decenni, né come ritagliare quel ruolo. Non sanno quale ruolo avrà l’UE nello sviluppo italiano, continentale, regionale e mondiale né come esserne guida e capifila.
La Politica chiave del Destino
La politica dei politicanti italiani si occupa solo dell’oggi. Perché “del doman non v’è certezza”. Una classe di dirigenti politici estremamente provinciale che sa affrontare solo i problemi contingenti del proprio territorio. Questa è la classe attuale con, al fianco, impresari e aziendalisti che si illudono di guidare il paese come si guida una SpA senza scrupoli (magari non sapendolo neanche fare) e qualunquisti arrivisti della prima ora.
Nessuno, o meglio pochi, con una capacità di prospettiva molto più ampia rispetto al proprio orto e rispetto ai soli problemi dell’oggi.
Quelli che hanno visione d’insieme e di prospettiva, a livello nazionale, sono veramente pochi: Pierluigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Matteo Hallissey, Bobo Craxi, Riccardo Magi, Stefano Benigni, Niccolò Musmeci, Giulio Saputo, Roberto Sajeva, Gabriele Cela e pochi altri realmente. E a parlarne sono solo alcune realtà politiche, per lo più giovani o giovanili, che hanno un occhio più al paese che vorrebbero vivere e lasciare in eredità.
Dobbiamo pretendere un ritorno alla politica di stampo primorepubblicano. Una politica fatta da una classe dirigente formata per fare politica e guardare non tanto all’oggi ma a ciò che sarà tra anni, lustri, decadi. Una classe dirigente fatta non da chi, da altre professioni e senza formazione politica, sceglie di profittare della politica.
La politica vera non può più essere né morale, né possiamo più permetterci che venga trattata come un gioco di ruolo. Che siano arrivisti, tecnici, imprenditori, magistrati, militari o chicchessia.
La politica è una cosa seria, che necessita di una formazione politica seria. È ora che chi fa politica si comporti di conseguenza. Mettendo da parte sentimenti e risentimenti.
L’Italia ha bisogno di vedere il proprio futuro. La politica ha il dovere pratico di indicare e realizzare il destino dell’Italia.