HOPE – LA NUOVA SPERANZA DELLA LETTERATURA ITALIANA SI CHIAMA VERDUCCI

21 Giugno 2023

Ha detto Federico Zeri che Dante poteva essere letto anche attraverso i colori della Divina Commedia. Rosso e nero per l’Inferno, dal madreperla ai colori più vivi dei canti finali nel Purgatorio, fino al Paradiso, tutto bianco e oro.

Anche Federico Verducci, in questa sua prima, brutale e sorprendente opera, Hope, si può leggere nei colori psichedelici e surrealistici che abbagliano o baluginano appena nei vicoli e nel cielo di una Roma del 1980 che invece è la Roma di oggi, ritratta con la puntigliosa e capace mano di un maestro autentico di narrativa.

C’è del genio e del talento in questo nuovo romanziere, nato già esperto e debuttante dal tratto sicuro. Gli stili e i registri, gli espedienti retorici e la solida struttura, il complesso e però coerente sistema dei personaggi collocano Federico Verducci tra coloro che con assoluta sicurezza possiamo annoverare tra i romanzieri contemporanei.

Le incertezze di una edizione priva delle certosine cure dei grandi apparati redazionali non sono capaci di celare, nemmeno al lettore più ingenuo, la spavalda sicurezza del dominio del significante che l’Autore, umile come tutti gli intellettuali intelligenti, estende fino a toccare vertici di autentica maestrìa, scomponendo e simulando, sotto le ben misurate apparenze di un falso storico, la lingua originale del Terzo Millennio italiano.

Non devono distogliere il lettore taluni virtuosismi e talune citazioni erudite, come un gustoso passaggio di puro ritmo futurista, citazione che l’Autore con sapienza e indulgenza riserva ai più anziani dei suoi seguaci. Se l’imponente suggestione connotativa è dunque la più esaltante sorpresa dello Scrittore, la profondità della lettura socio-antropologica è l’aspetto che forse colloca il romanzo tra quelli capaci di essere considerati pietre miliari del percorso culturale di una nazione.

Roma e l’Italia di Federico Verducci, abilmente travestite da palcoscenico della generazione materna e paterna, divengono in realtà il teatro della transizione del Belpaese di oggi.
Quell’Italia priva di telefonini e personal computer, ripropone nella sua dura e cruda disperazione di società dei frammenti etico-morali, il ritmo convulso e travolgente proprio dei nostri giorni.

Trionfa il perdente Andrea Costa, il nuovo Antieroe italico, sovraccarico di difetti e fobie, immerso nella proletarizzazione di ogni ruolo e categoria sociali, eppure capace di una catarsi generazionale e nazionale paragonabile alle liturgie di massa delle coppe del mondo di calcio.
L’Italia seria e borghese dell’ispettore Neri, quella solidale, competente e umana dello psicologo Antonio Mancini, sono riscattate e proposte a modello di riscatto solo grazie al sacrificio di chi riemerge con forza e nuova consapevolezza dal declino.

Anche l’antagonista, il prepotente e rapace commissario Simone Antonini, è una figura la cui spietata malvagità è ritratta con la precisione di un giallista di vaglia, o di un autore classico; è infatti un personaggio più teatrale che cinematografico, anche se il cinema sembra essere, per tanti motivi, il naturale sviluppo della vicenda artistica di questo pregevole testo.

Resta da esplorare, attraverso una più sofisticata ermeneutica, il ruolo della Donna nell’opera: vi sono figure di una bellezza, delicatezza e forza da indurre ad una ricostruzione del modello che merita davvero più spazio di quello che oggi dedichiamo a Federico Verducci, al quale, forse si è potuto intuire, va un plauso meritato e un augurio – interessato – di altre molte opere di pari e superiore grandezza di Hope.

Da leggere subito, senza esitare.

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