È quasi impossibile parlare o scrivere di Praga senza citare Franz Kafka o quantomeno l’aggettivo “kafkiano”: il Museo Kafka è a Nord di Malá Strana, sulla riva sinistra della Moldavia. Uno dei luoghi più magici e turistici della città. Kafka è Praga e Praga è Kafka. Il museo, aperto nel 2005, ripercorre la vita e le opere dello scrittore boemo di lingua tedesca. L’esibizione consiste in due sezioni, che si articolano sui due piani del Museo Kafka. Lo spazio per così dire esistenziale e la topografia immaginaria. La prima parte offre un’immersione nel mondo dell’autore e ripercorre le tappe fondamentali della Cecoslovacchia di inizio Novecento. Sotto dominio asburgico, il paese ottenne l’indipendenza nel 1918, dopo la Prima Guerra Mondiale. Sin da subito la terra Boemia ha giocato un ruolo importante sulla vita e la personalità di Franz.
Meno di molti che hanno scritto tanto della Praga degli alchimisti e di Praga Magica, Kafka guardava in maniera compassata la sua città. Che tuttavia, compare spesso nelle lettere e nel diario, nelle corrispondenze con la famiglia e gli amici, fino ai viaggi e alle relazioni con le amanti. Il Museo Kafka è situato in Cihelná 2b, oltre un portone di legno che dà su di una piazzetta. Sulla sinistra, il negozio dei souvenir – gemellato con quello del museo di Alfons Mucha, presso Můstek, a Nové Město. Al centro, l’opera dell’artista ceco David Černý, con due uomini che fanno pipì in una fontana a forma di Repubblica Ceca e muovono il bacino a destra e sinistra. Un omaggio alle radici boemo-morave di Kafka, un’allusione al tema della sessualità nelle opere dell’autore, o una critica al paese e alla politica?
La piazza del museo ospita due grandi lettere scure poste verticalmente di fronte alla porta del Museo Kafka. Sono la F e la K. La seconda è ricorrente nell’universo del Nostro. È il cognome dell’imputato Josef de Il processo ed il nome dell’agrimensore de Il castello. L’idea di creare un museo su Kafka era nata a Barcellona nel 1999. La mostra passò poi al Jewish Museum di New York nel 2002-2003. Dunque fu spostata in maniera permanente a Praga. Nel Museo Kafka domina l’oscurità. Come a stimolare gli istinti o l’immaginazione a trovare la via d’uscita dal labirinto dell’angoscia, della paura e dell’incertezza – temi alla base delle opere dello scrittore. Il buio è nero e il nero è un colore neutro. Kafka non cita mai i luoghi dei suoi romanzi, ma Praga è ovunque. Una Praga asburgica accoglie infatti il visitatore ai primi del Novecento.
Sotto la mansarda del museo, si giunge alla Praga di inizio XX secolo. Una foto del calzolaio boemo Leopold Hilsner ripercorre la vicenda del “Dreyfus ceco”. Hilsner, ebreo, era stato condannato per omicidio nel 1900. A difenderlo, il futuro primo Presidente della Repubblica Cecoslovacca, Tomáš G. Masaryk. Uscì pochi mesi prima della disfatta austroungarica, nel marzo 1918. Morì povero e dimenticato. La sua storia, umana e giudiziaria, avrebbe potuto essere quella di uno dei personaggi di Kafka. Una proiezione in 3D sulla Praga di inizio Novecento, le foto di famiglia, alcuni estratti dei diari e delle lettere sui muri. Si rimarrà delusi sapendo che oltre la teca di vetro non c’è la vera “Lettera al padre”, ma un facsimile, cortesia degli archivi della letteratura tedesca a Marbach. Questo toglie il romanticismo del museo e lo pone a livello del merchandising delle strade della Città vecchia.
Ma occorre dare atto alla struttura di toccare molti aspetti della vita dello scrittore. Si ripercorre anche la sua vita nei caffè letterari praghesi, come il Cafè Arco, sulla Hibernergasse 16 – gli intellettuali di allora erano quasi tutti ebrei, dall’amico fraterno Max Brod a Franz Werfel, da Otto Pick a Egon Erwin Kisch. Esposti anche i diplomi e le liste dei corsi del giovane Kafka, nonché le foto degli anni universitari (1901-1905). Questi documenti originali sono conservati al Museo della letteratura ceca di Praga. Tra i facsimili, conservati al Klaus Wagenbach Archiv di Berlino, anche i disegni, con gli omini stilizzati che hanno dato le copertine dei suoi lavori nelle edizioni italiane di Feltrinelli. Anche nella sua esperienza presso le Assicurazioni Generali (1907-1908) Kafka si sentiva più un artista e uno scrittore che un impiegato. Disegnava, scriveva, sperimentava. Parte del diario è conservato presso l’università di Oxford.
Una sezione del Museo Kafka è dedicata anche alle sue donne. Da Felice Bauer a Milena Jesenská, fino a Dora Diamant, che lo vide morire nel 1924 al sanatorio di Kierling, in Austria. La seconda parte del museo, ripercorre – ancora nell’oscurità – l’immaginario dell’assurdo … kafkiano (eccoci!). Enormi schedari da ufficio – per tutta la sua vita lavorativa Kafka fu un burocrate da scrivania e questo lo faceva molto soffrire oltre che sottrargli tempo al processo di scrittura – rappresentano la burocrazia asfissiante. Presenti anche diverse edizioni originali dei libri, tra cui La metamorfosi del novembre 1915. E i facsimili degli acquarelli di Willy Wessel, nell’edizione del 1924. E ancora, Il fochista, tradotto in ceco da Milena e pubblicato nel 1921. Amerika, il terzo romanzo non concluso, uscì postumo. Poi le edizioni recenti: in spagnolo, inglese, tedesco, francese, olandese. Edizioni per tutto il secolo – per tutto il mondo – che consegnarono Kafka nell’eternità.