Da venerdì scorso è rimbalzata in tutto il mondo la notizia che Vince McMahon ha lasciato la WWE. Non è più il Presidente, non è più l’amministratore delegato, non è più il capo del team creativo. Non è più la WWE.
Una notizia che ha dell’epocale per la compagnia, per il mondo del wrestling e il cui peso specifico è reso evidente dal fatto che persino chi normalmente non segue queste vicende se l’è ritrovata sotto gli occhi. Il perché è presto detto: semplificando, si può dire che non è mai esistito il professional wrestling come tutti noi lo abbiamo conosciuto, sia anche solo di striscio durante i periodi di massima celebrità, senza Vince McMahon. Uno spartiacque che dunque ci proietta automaticamente in una nuova era: quella del wrestling dopo Vince McMahon.

L’era McMahon
Partiamo da questo. Per chi ha anche solo grattato la superficie del wrestling, potrebbe sembrare evidente che le cose si sovrappongano. Grazie all’impero creato nel corso dei decenni dalla WWE, proprio per mano di McMahon, per la maggior parte del mondo wrestling e WWE sono sinonimi. Una cosa che in senso stretto non è mai stata vera e forse oggi lo è meno che mai. Ma è una lettura insignificante per i più: tutti o quasi hanno conosciuto la disciplina attraverso la creatura di McMahon e, anche chi non lo ha fatto, potrebbe far fatica a non identificarle come la stessa cosa.
Ancora più eloquente è il fatto che leggere solo “McMahon” in queste righe per riferirsi a Vince potrebbe essere equivoco per un fan di wrestling, difficilmente lo è per tutti gli altri. Il wrestling – e più nello specifico la WWE – ha attraversato ere, come succede in tutti i campi. Ma la verità è che le varie etichette “storiografiche”, utili per inquadrare lassi di tempo e cambiamenti di proposta del wrestling (oltre che per il marketing, i documentari, ecc.), possono in realtà essere tutti racchiuse in quella che da oggi si può definire come un’epoca unica. Ruthless Aggression Era, Golden Era, Attitude Era, per citarne alcune, fanno tutte parte della “Vince McMahon Era”. Forse è più giusto parlare di c.V e d.V: con Vince e dopo Vince, messia e artefice.
In un mondo rapido e mutevole come quello dell’intrattenimento, di cui fa parte il wrestling, sembra impossibile costringere 40 anni di reggenza McMahon in un solo contenitore. Eppure tant’è. Il susseguirsi dei cambiamenti di stile e forma, di proposta del prodotto, di declinazione del wrestling che si sono avvicendati sono stati sempre diretta decisione o conseguenza di un uomo solo. Il grande merito di Vince McMahon è stato infatti creare una compagnia così forte da essere capace di dettare sempre l’agenda per tutti gli altri, lasciando pochissimo spazio alle interpretazioni alternative, fagocitandole quando vincenti o annientandole quando arretrate. In 40 anni, la WWE ha trasportato il wrestling di epoca in epoca, attraverso anche gli avvenimenti storici più importanti del mondo dell’entertainment e del mondo là fuori; tutti gli altri a seguire.
L’ascesa dell’uomo
Vincent Kennedy McMahon ha ereditato, acquisendola, la compagnia di wrestling del padre. Una promotion già esistente da decenni ma che il giovane Vince nel 1982 prende dalle mani di Vincent Sr. Per trasformarla nella sua visione. Un esemplare indistinguibile dagli altri, l’allora WWWF (poi WWF e infine WWE) era una compagnia tra le tante. Associata della NWA (National Wrestling Association, come tutte) e che stava alle regole segnate: ognuno lavora nel proprio territorio, circoscritto di solito ad al massimo una regione che comprendeva due o tre States; sottostava alle direttive NWA e ne riconosceva anche i Titoli, le Cinture di Campione simili a quelle della boxe, ospitandone i lottatori in qualche collaborazione. Semplificando, il CONI del wrestling Nord-Americano.
Ma Vince Jr. aveva altro in mente. I limiti stavano stratti e lui per primo aveva capito le potenzialità economiche della sua azienda e della disciplina, ingabbiate da retaggi e limitazioni ormai anacronistiche e pronta a spiccare il volo. Rompe i legami, infrange le regole, sconfina in altri territori, proibisce le collaborazioni e in breve tempo fa un passo che oggi sembra elementare per qualsiasi tipo di prodotto di intrattenimento: porta il wrestling dalle persone e non viceversa. Inizia così il periodo WWF contro tutti. Dove mentre gli altri giocano secondo le vecchie regole, Vince scava il solco facendo conoscere il mondo glitterato del wrestling a tutti. Collaborazioni con il mondo della musica, del cinema e della tv, rapporti stretti con la stampa non di settore – trans-medialità la chiameremmo oggi. Unita alla fondamentale trappola dell’ignoto, rovesciando il paradigma: chi non conosce la WWF non è più la maggioranza, ma si deve sentire in minoranza, in difetto. Vince rende il wrestling popolare, bramato, un richiamo irresistibile per i giovani e un mondo da conoscere per forza per tutti.
Ultimo ingrediente fondamentale: il mistero. Negli anni ’80 , come per tutto il periodo precedente e fin quasi alla fine del millennio, il wrestling è una cosa reale per chi la vede. C’è il sospetto, si vocifera, ma non c’è nessun motivo per credere che ciò che si vede (sempre più) in tv o dal vivo all’arena non sia vero. Le star sono veri guerrieri, che si detestano sul serio e combattono davvero. Anacronistico ma intrigante. Fa parte della magia dello spettacolo, il fascino di vedere il prestigiatore realizzare cose impossibili senza conoscere il trucco. Lo stesso Vince, fino al 1997, è facilmente identificabile come uno dei due telecronisti degli show, quasi da nessuno come il proprietario della baracca. Ed è attento a non lasciare tracce: i wrestler “cattivi” non frequentano i “buoni” in pubblico, il personaggio va preservato sempre (vedi Undertaker). Una ricetta vincente che fa il primo e più importante passo: porta il wrestling nelle case di tutti e ruba il cuore di milioni di appassionati.
A questo, ovviamente, McMahon ha sempre avuto la bravura di accompagnare enormi capacità imprenditoriali. La WWF diventa rapidamente imponente: attraverso la fama delle sue stelle come Hulk Hogan e André The Gian, sfrutta i nuovi canali per incassare quantità di soldi mai viste prima. Crea un culto, che come tutti i culti porta i seguaci a spendere per avere reliquie uniche ed esperienze agognate. Contratti televisivi, merchandising, biglietti venduti, indotto. Guadagna e fa guadagnare. Al punto da rendere la WWF un fenomeno nazionale e poi globale, capace di cancellare quasi del tutto ogni rivale. La creazione dell’impero, perdurante fino ai giorni nostri. La WWE comanda e comanderà, detta il passo e diventa, come detto, l’unico mezzo di identificazione con la disciplina. Diventa il wrestling in senso univoco.
Alti e bassi
È inutile girarci attorno. L’uomo Vince McMahon cade oggi dopo aver resistito ai tempi, forse più del previsto e sicuramente più del lecito. In un arco di tempo così grande e con in mano una macchina così potente, è impensabile credere che ci siano solo alti, illogico. Se c’è una persona controversa nel più puro senso del termine, questi è Vince McMahon. Scandali esterni e interni, comportamenti tossici, inopinata guida autoritaria. Caso steroidi, accordi milionari con l’Arabia Saudita e aperti tradimenti ai danni di wrestler in diretta tv, gerarchie interne non meritocratiche, wrestler costretti a interpretare minoranze denigrate e a lucrare sulle guerre. Ma ad esse si accompagnano il successo dell’azienda, i soldi generati, storie e ricordi che hanno segnato infanzie ed adolescenza, l’Hulk-A-Mania e Dwayne “The Rock” Johnson, il dipendente Steve Austin contro il capo Vince McMahon, le attività filantropiche del sempre buono John Cena.
In mezzo l’adattamento imposto a tutti gli altri che spesso è stata la chiave della vittoria anche per la WWE. Il successo nello scontro all’ultimo sangue con la rivale WCW proprio grazie ad un cambio di paradigma del prodotto, l’acquisizione e la reinterpretazione della rivoluzionaria ECW. La creazione di miti viventi per sempre legati al wrestling e la rapida rottamazione di essi quando non più necessari o funzionanti. Insomma l’intercettazione del cambiamento dei gusti del pubblico, alla base di qualsiasi successo del mondo dello spettacolo. Adattarsi o morire, anche qualche tentativo di espandere l’impero andato a male (qualcuno ha detto XFL?), ma utile a mostrare la potenza mediatica, prima ancora che economica, che è stata raggiunta e ad oggi non si è dissipata.
Il tutto con il pugno di ferro, con un controllo maniacale e capillare, con la creazione di un culto della personalità smisurato. Vince sa di essere Vince e lo fa pesare agli altri e ciò che dice e decide è legge, in tutto. Difficile parlargli se non lo vuole lui, quando lo fai c’è una testa di T-Rex nel suo ufficio a guardarti. Gesti estremi nei confronti di dipendenti e collaboratori, insabbiamenti degli errori e degli scandali, eliminazione dei dissensi interni. Se oggi parliamo apertamente di scandalo, per anni abbiamo saputo di mille vicissitudini conosciute a tutti ma che era obbligo tenere fuori da palazzo. Somigliando a tante altre storie, è il regime a tenere unita una cosa tanto grande, racchiuso tutto nella figura unica del dittatore. Nel bene e nel male, con la forza del carattere e il supporto dei risultati che, comunque la si veda, sono sempre stati positivi; sì, ma ottenuti anche e spesso a qualsiasi costo.
Vince McMahon prese dal padre una compagnia di wrestling come tante e attraverso la minuziosa cura di ogni dettaglio, spessissimo in prima persona, lascia un fenomeno planetario con pochissimi eguali. Una multinazionale dal fatturato di oltre 1 miliardo l’anno, che permea in ogni social network, in quasi ogni paese del mondo e ha lasciti e figliocci, tracce in ogni altro elemento dell’entertainment. Una storia di successo destinata a sopravvivergli, anche se è uno dei bassi a portare all’eliminazione del suo deus ex machina, trascinandolo nella più classica delle ironie. Vince McMahon perde la WWE, e non viceversa, perché nemmeno lui sfugge alla regola che ha sempre designato il successo: non si adatta, non più, e dunque muore.
La caduta del Dio
Oggi che Vince McMahon esce di scena, probabilmente per sempre nella definizione di rilevante, non faticherete a trovare chi ancora gli tributa tutto. E tutto gli si deve. Se in questi 40 anni ci si è appassionati a un wrestler, ci si è emozionati guardando uno show o anche solo divertiti per mezz’ora una volta ogni tanto, lo si deve a lui, innegabilmente. Ma Vince non era più da tempo in grado di adattarsi. A livello creativo, dove la WWE sta attraversando la sua crisi forse più acuta da tantissimo tempo a questa parte e forse di sempre, fino al confronto con i tempi moderni dell’imprenditoria. Troppo difficile, forse, per un 77enne abituato a decidere tutto, ammettere di non capire più il mondo. Troppo diversi i tempi per acconsentire che ci sia un unico domus.
La regola che niente sia più grande e importante della compagnia, per la prima volta, vale anche per lui. E una sistema costruito per sopravvivere a tutto ha imparato a sopravvivere anche a lui. La WWE ha messo sotto indagine il suo stesso presidente, non ammettendo più che il bene dell’azienda sia messo a rischio dai suoi comportamenti, non accettando processi di assoluzioni farlocchi o peggio di auto-assoluzione. Vince ha chiuso diversi accordi extra-giudiziali con diverse ex dipendenti per una cifra tra i 12 e 14 milioni di dollari, atti a nascondere comportamenti inappropriati di tipo sessuale. Si vocifera tanto e non si sanno i dettagli al momento. Ma con i soldi non si scherza e con il fisco alle porte e persino le indagini federali che iniziano a stagliarsi all’orizzonte, meglio potare il ramo secco, anche se è quello che ha dato vita all’albero.
Al di là di come andrà la faccenda, internamente alla WWE e personalmente per Vince, la direzione è chiara: il Consiglio d’Amministrazione ha deciso che non c’è più tempo per tollerare l’ingombrante presenza di Vince a tutti i costi. Cosa che, seguendo forse la malizia, forse l’esperienza, inizia a far pensare ad un nuovo innovamento in vista per la WWE. Da tempo si parla infatti, sottovoce, della possibile cessione della compagnia ad una grande multinazionale dell’intrattenimento (Comcast?). E se si ignorano gli indizi e il tempismo, è comunque facile immaginare che la presa di posizione nei confronti del despota è sempre sinonimo di rivoluzione. O quantomeno di avvicendamento sul trono.
L’alba del nuovo Wrestling
Ma al di là delle possibili vicende finanziare, oltre gli scandali personali, cosa resta del wrestling e cosa sarà ora? Vince McMahon lascia come detto un’eredità immensa: una macchina perfetta che ormai si è lasciata alle spalle il concetto del solo wrestling e macina denaro in ogni settore; 40 anni di memorie, eventi, icone e momenti storici, di storia vera e propria del wrestling quasi in maniera univoca; metodi, dettami, regole non scritte e un know-how da cui prende a piene mani. È tanto per chiunque e come detto è abbastanza per far dire grazie e iniziare a scolpire il monte Rushmore.
Ma con il suo periodo di difficoltà finale, unito al suo insegnamento da squalo, lascia la porta aperta. Il panorama del wrestling che Vince saluta è molto diverso da quello che cannibalizzò 4 decadi fa. Adesso c’è internet, i fan sono in tutto il mondo e guardano tutto il mondo, non solo in diretta e non sempre in integrale. Il wrestling giapponese e quello messicano sono ormai fenomeni internazionali a loro volta, la principale alternativa AEW, le collaborazioni sempre più frequenti tra le altre major. Il nuovo avanzava già, con Tony Khan soprattutto, che negli ultimi anni ha deciso di puntare forte su un concetto nuovo: insieme. Federazioni diverse che tornano a lavorare fianco a fianco, di concerto e senza andarsi contro. Un tutti attorno alla WWE, più che un tutti contro, dando di fatto al pubblico ciò che vuole: un’alternativa, non un sostituto.
Al di là di possibili cessioni e cambi di assetto, anche la WWE sembra pronta all’ennesima mutazione. Stephanie McMahon, figlia di Vince, e Nick Khan sono i nuovi amministratori delegati della compagnia; il marito di Steph, l’ex wrestler Triple H, è a capo del team creativo e delle relazioni con i talenti. Una power couple. La prima con il compito di cancellare la cultura velenosa e malata di certe consuetudini interne, il secondo con l’obiettivo di dimostrare che la sua idea di wrestling moderno può trovare diritto di cittadinanza. Un nuovo già in parte sperimentato negli ultimi anni e con riscontri positivi. Condurre per mano la WWE nella nuova era. Via i feticismi di Vince, basta alle solite regole ferree ma vecchie, spazio ad un nuovo concept di wrestling e di azienda: ma non una rivoluzione, una transizione dolce, adattamento. Poi il tempo e i risultati a giudicare.
La previsione è difficile: cosa sarà il wrestling dopo Vince McMahon? Nessuno lo sa con precisione. Sarà però qualcosa di nuovo, sicuramente di divertente e pieno di intrattenimento, che si lancia a interpretare il futuro con i crismi soliti delle storie raccontate sul quadrato. Un mondo che si è sempre rivelato pronto agli aggiornamenti tecnici, sfruttando spesso il meglio delle tecnologie al servizio dell’intrattenimento. Magari cambierà il dove e il quando, magari lo ritroveremo compreso in qualche bouquet di qualche abbonamento digitale. O magari si prospetta una nuova grande rivoluzione come quella degli anni ’80. Di certo i cambiamenti della WWE avranno, come sempre, influenza anche sul resto.
Ma ora che il Re è in poltrona e non più sul trono, è difficile essere pessimisti, anche se qualcuno si dice convinto che la storia di Vince non sia finita qui. Dove, se non nel wrestling, questa cosa potrebbe succedere d’altronde? Nessun limite alla fantasia, “never say never in this f***in’ business”, non un modo di dire ma più una legge universale da quelle parti. D’altronde è nell’essenza stessa del wrestling: il colpo di scena quando meno te l’aspetti. Ma nel primo spiraglio di nuova luce, la fantasia è forse più legittimo sfruttarla per immaginare nuovi mondi, terreni inesplorati e sensazioni diverse da legare a nuovi ricordi di momenti emozionanti. Il mondo del wrestling promette bene, quello fuori meno: è il mondo dello spettacolo, baby, e dunque meglio tenere gli occhi sul ring, che sta per passare la storia.