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La battaglia sullo stato di diritto tra UE e Polonia – Intervista al prof. Curti Gialdino

10 Novembre 2021

“Nel calendario della Corte di giustizia dell’Unione europea il 7 ottobre è un giorno diverso dagli altri.” Inizia così un articolo pubblicato il 20 ottobre scorso sulla rivista giuridica federalismi.it. Infatti, è del 7 ottobre la sentenza del Tribunale Costituzionale polacco che sancisce la supremazia del diritto interno su quello europeo. Ciò ha provocato indignate reazioni e, come sempre, accorate critiche che poco hanno a che fare con la realtà giuridica, e molto con quella politica.

Per provare a fare un po’ di chiarezza, tanto sulla sentenza appena nominata, quanto sull’annoso excursus concernente la rule of law nell’Unione Europea, ho intervistato l’autore dell’articolo, Carlo Curti Gialdino, vicepresidente dell’Istituto Diplomatico Internazionale e già Professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

Professore, innanzitutto grazie per aver accettato di rilasciare quest’intervista. Nel suo articolo su federalismi.it, lei scrive che “L’ouverture di questo allontanamento dai canoni dello Stato di diritto può essere temporalmente collocata al 24 maggio 2015”. Inizierei subito col chiederle di rammentare brevemente i punti salienti della regressione compiuta dalle istituzioni polacche da 6 anni a questa parte.

Quella data, come noto, corrisponde all’elezione di Andrzej Duda, di Diritto e Giustizia, alla presidenza della Repubblica di Polonia sull’uscente Bronislaw Komorowski di Piattaforma Civica, il partito fondato da Donald Tusk, che era stato al potere a Varsavia dal 2007. Ho fissato quella data perché – informazione nascosta o, comunque, sfuggita alla maggior parte, se non alla totalità dei media – la maggioranza parlamentare del tempo, formata da Piattaforma Civica e dal Partito agrario, provò a far eleggere dalla Camera bassa ben cinque giudici costituzionali, compresi due che sarebbero scaduti dopo le elezioni politiche generali dell’ottobre successivo, prefabbricandosi il controllo del quorum dell’organo di giustizia costituzionale, utile per paralizzare l’attività legislativa nel caso che Piattaforma Civica avesse perso le elezioni politiche, come poi accaduto. Ho, dunque, voluto stigmatizzare il momento in cui può ravvisarsi l’inizio dell’allontanamento dallo Stato di diritto in Polonia o, meglio, il goffo tentativo di Piattaforma Civica di “impossessarsi” del Tribunale Costituzionale. Certo, il partito oggi al potere, Diritto e Giustizia, nomen omen, ha fatto molto peggio, non solo in questi anni nominando tutti i giudici costituzionali ma anche approvando tutta una serie di leggi volte a prendere pure il controllo della magistratura ordinaria e amministrativa.

La Commissione ha intentato vari ricorsi alla Corte di Giustizia del Lussemburgo. Quali sono stati gli esiti?

Gli esiti finora sono stati tutti positivi in quanto la Commissione ha accoppiato al ricorso per inadempimento, che ha i suoi tempi processuali, anche la richiesta di provvedimenti urgenti, il che ha aperto la via all’irrogazione di pesanti penalità alla Polonia, da ultimo di 1 milione di euro al giorno. Questa giurisprudenza è molto significativa in quanto dà alla Commissione la possibilità di far sanzionare rapidamente violazioni dello Stato di diritto, ai sensi dei Trattati. Ora, abbassare l’età pensionabile dei giudici, decidere, ad libitum, il trattenimento in servizio di alcuni di essi, creare una sezione disciplinare presso la Corte Suprema, con il potere di sanzionare, ad esempio, i giudici che pongano questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia sono inequivocabili aspetti della deriva dallo Stato di diritto verso una “democratura”.

L’altro modo che le istituzioni di Bruxelles hanno per affrontare la questione è più politico. L’ormai citatissimo articolo 7 TUE permette all’Unione di sospendere il diritto di voto dello Stato che realizzi violazioni gravi e persistenti dei valori fondanti. Molti criticano la procedura prevista, poiché ritenuta troppo farraginosa. Può spiegare brevemente in cosa consiste? E lei trova sia una previsione efficace?

È fuor di dubbio che la procedura sia alquanto complessa. Vi si prevede, infatti, che, in presenza di una violazione grave e persistente dello Stato di diritto, quale quella in atto in Polonia, il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, possa constatarla e, successivamente, deliberando a maggioranza qualificata, possa decidere di sospendere alcuni dei diritti dello Stato membro in questione, compreso il diritto di voto in Consiglio. Questo procedimento, definito “l’opzione nucleare” dall’ex presidente della Commissione Barroso, è stato incardinato dalla Commissione, ma non va avanti perché il leader ungherese Orbán, ha da tempo annunciato che non avrebbe concorso all’unanimità. E lo stesso, a parti invertite, ha sostenuto la Polonia rispetto ad analoga procedura articolo 7 aperta nei confronti dell’Ungheria. Quindi, a mio parere, si tratta di un’arma spuntata. Sarebbe bene che si riflettesse a sostituire l’unanimità, prevista dall’articolo 7, con la maggioranza qualificata, ma comprendo che l’unanimità a sua volta necessaria per farlo costituisca un ostacolo insormontabile, dato che riposa sulla volontà gli Stati membri, che restano i reali padroni dei trattati.

Dal suo articolo si comprende come i giudici polacchi abbiano tentato di difendersi dai tentativi del potere politico di influenzarne il sindacato. Esempi ne sono le questioni pregiudiziali presentate dai giudici polacchi alla Corte di Giustizia europea. In primo luogo, può illustrare rapidamente ai non addetti ai lavori cosa sia una questione pregiudiziale?

Bisogna partire dalla constatazione che i giudici nazionali applicano quotidianamente il diritto dell’Unione. Per agevolare il loro compito i Trattati di Roma hanno istituito una procedura non contenziosa – il rinvio pregiudiziale, appunto – che crea una forma di dialogo tra il giudice nazionale e la Corte di giustizia, a valle del quale quest’ultima fornisce al primo la corretta interpretazione del diritto dell’Unione quale supremo esegeta di questo corpus normativo. Come i giudici di Lussemburgo hanno spesso ribadito, il rinvio pregiudiziale costituisce la “chiave di volta” del sistema giurisdizionale, perché il detto dialogo “mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto”. Con il rinvio pregiudiziale si raggiunge lo scopo di garantire, in qualsiasi circostanza, al diritto dell’Unione il medesimo effetto in tutti gli Stati membri. Il rinvio pregiudiziale, inoltre, istituisce una cooperazione diretta tra i giudici nazionali e la Corte, nell’ambito della quale i primi partecipano strettamente alla corretta applicazione dell’ordinamento dell’Unione e alla tutela dei diritti da esso attribuiti.

Tornando ai giudici polacchi, vale la pena di ricordare che  la Corte di giustizia, nella sentenza del 19 novembre 2019, ha statuito che il diritto ad un ricorso  equo ed imparziale è violato allorquando una legislazione, come quella polacca, riservi la competenza a definire le controversie concernenti il pensionamento anticipato dei giudici ad una sezione speciale della Corte Suprema composta da membri nominati da organi politici sulla base di criteri discrezionali: ciò in quanto risulta minata l’indipendenza e l’imparzialità dell’organo e pure lesa la fiducia dei singoli nel ruolo della giustizia in una società democratica. Purtroppo, nonostante che la Corte Suprema, sulla base della detta sentenza pregiudiziale, avesse dichiarato che la Sezione disciplinare non potesse essere considerata un tribunale né ai fini del diritto UE né di quello polacco, la detta sezione ha continuato a svolgere le sue funzioni giudiziarie. Di conseguenza, la Commissione ha adito la Corte di giustizia, che con ordinanza dell’8 aprile 2020 ha disposto l’immediata sospensione dei poteri riconosciuti alla sezione disciplinare della Corte Suprema.

Dunque, è opportuno pensare che il processo di politicizzazione degli organi giudiziari abbia incontrato qualche forma di “resistenza”?

Le pregiudiziali di cui ho detto ne costituiscono un vivido esempio. Certo che, con il tempo, la pressione del Parlamento, quella del Consiglio nazionale della Magistratura polacco (tra l’altro recentemente espulso dalla Rete europea dei Consigli di giustizia, perché considerato in palese violazione della norma di questa Rete che tutela l’indipendenza della magistratura) e del Ministro della giustizia, che svolge al contempo la funzione di procuratore generale, hanno avuto la meglio su queste forme di “resistenza”. 

Arrivando alla sentenza del 7 ottobre scorso, cosa ha affermato con precisione il Tribunale costituzionale di Varsavia?

Il Tribunale costituzionale, anzitutto, ha contestato che l’Unione europea, non rispettando il principio di leale cooperazione, abbia creato una unione sempre più stretta tra i popoli europei, giungendo ad una tappa in cui le istituzioni dell’UE agiscono ultra vires (cioè, oltre i poteri conferitigli, NdA) con la conseguenza che la Costituzione polacca abbia perso il ruolo di legge suprema dello Stato e la Polonia non agisca più come Stato sovrano e democratico. Inoltre, il Tribunale costituzionale afferma l’incompatibilità con la Costituzione polacca di alcuni obblighi discendenti dai Trattati, specificamente nella misura in cui nell’assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, consentano ai giudici nazionali: a) di eludere le disposizioni della Costituzione; b) di sindacare la legittimità della nomina dei giudici; c) di controllare la legittimità delle risoluzioni del Consiglio nazionale della  magistratura nel procedimento di nomina dei giudici. Come ben si comprende, anche a prima lettura, il Tribunale costituzionale ha considerato che talune disposizioni del TUE, come interpretate dalla Corte di giustizia, si pongano in irrimediabile conflitto con la Costituzione polacca e ne pregiudichino il ruolo di legge suprema dello Stato.

Nella scorsa plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, il Premier polacco Morawiecki ha detto che vi sono state numerose altre sentenze simili a quella del Tribunale costituzionale del 7 ottobre da parte di altri Stati membri. Immagino lei non sia d’accordo; può spiegare perché?

Certamente non è la prima volta che le Corti costituzionali o supreme degli Stati membri affermino la prevalenza della Costituzione nazionale sul diritto dell’Unione. Si può anche ricordare che all’origine della dottrina dei contro-limiti costituzionali al diritto comunitario, poi dell’UE, vi fu la Corte costituzionale italiana, che nel 1973 affermò che l’art.11 Cost. non consente la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, né dei diritti inalienabili della persona umana. Morawiecki, probabilmente, faceva riferimento ad una sentenza della Corte costituzionale ceca del 2012, o alle sentenze della Corte costituzionale federale tedesca del 2016 e del 2020 ; ad una sentenza del 2016 della Corte suprema di Danimarca nonché ad una recente sentenza del 2018 della nostra Corte costituzionale. Ma queste pronunce non possono essere minimamente confuse con quella del Tribunale costituzionale per diversi motivi. Anzitutto, perché esse sono scaturite da ricorsi di privati o da rimessioni di giudici nazionali, mentre in questo caso a proporre ricorso è stato il primo ministro; inoltre, nei casi citati si è innestato il virtuoso dialogo tra giudici nazionali e la Corte di giustizia attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale, mentre nel caso in esame il Tribunale costituzionale polacco ha pure violato l’obbligo di rinvio pregiudiziale, che gli incombeva, trattandosi di una giurisdizione di ultima istanza. 

Subito dopo la notizia della sentenza incriminata, molti media hanno iniziato a parlare, erroneamente, di Polexit. Non mi pare sia un’opzione conveniente, né per i polacchi né per gli altri Stati. È così?

Non si tratta di Polexit per il semplice motivo che il ritiro dall’Unione europea, così come regolato dai Trattati, è subordinato ad un preciso procedimento, che prende avvio con la notifica del governo, cui non può essere assimilata la pronuncia in parola, anche se essa trova origine dal ricorso promosso dal primo ministro. In secondo luogo, il primo ministro Morawiecki lo ha escluso sia nella lettera inviata ai capi di governo degli altri Stati membri, ai presidenti del Consiglio europeo e della Commissione il 18 ottobre, sia nel corso dell’intervento alla plenaria del Parlamento europeo. Sta di fatto, poi, che secondo tutti i sondaggi, l’80% dei polacchi sono favorevoli all’Unione europea, da cui hanno ottenuto straordinari benefici.

Da ultimo, pochi giorni fa il Parlamento europeo ha iniziato l’iter per portare la Commissione europea dinanzi alla Corte di Giustizia, presunta rea di non aver applicato il regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto. Pensa che potrà derivarne un importante scontro istituzionale?

Non lo credo. Ritengo che si tratti soltanto di un mezzo di pressione nei confronti della Commissione. Piuttosto sarà interessante verificare il seguito dell’ordinanza del 27 ottobre scorso con la quale il vicepresidente della Corte di giustizia ha condannato la Polonia al pagamento di una penalità di mora giornaliera di un milione di euro per non aver sospeso l’applicazione delle disposizioni nazionali relative alla competenza della sezione disciplinare della Corte Suprema, come stabilito dalle misure provvisorie del luglio 2021. Se la Polonia non dovesse ottemperare, la Commissione ha già annunciato che tratterrà l’importo dai fondi strutturali destinati alla Polonia. Si annuncia così un nuovo contenzioso, che vi invito a seguire.

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