Silicon Valley Bank offices at the Hayden Ferry Lakeside I building at 80 East Rio Salado Parkway, Tempe, Arizona. Tony Webster - Flickr.

Il crack della Silicon Valley Bank

26 Aprile 2023

Il settore tech ha goduto di anni formidabili. La politica monetaria ultra-espansiva ha garantito un accesso al credito a costo zero. Con l’aumento dell’inflazione è finita l’età dell’oro. Il crack della Silicon Valley Bank, la banca delle start-up.

il sogno del denaro facile per le Big Tech

Dopo un decennio di sbornia da tassi di interesse a zero, il ritorno dell’inflazione ha fatto emergere tutta la polvere nascosta sotto il tappeto della liquidità in abbondanza. Un grave effetto collaterale delle politiche di quantitative easing a oltranza della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea è stato il ridimensionamento del mercato del credito in termini di margini di interesse. Le banche e i fondi di private equity e venture capital hanno dovuto cercare opportunità di business più remunerative. Il settore che più ha goduto di questa transizione è stato quello tech, con Amazon, Google, Apple, Tesla, Microsoft che hanno goduto di una stagione straordinaria sul mercato azionario. Quando il debito non costa nulla, le società ad alto valore aggiunto possono finanziarsi per investire in ricerca e sviluppo, gonfiando la propria capitalizzazione. Al tempo stesso quando le banche centrali perseguono una politica monetaria espansiva, il valore dei titoli aumenta.

il boom e la caduta

I titoli tecnologici già prima della pandemia erano predominanti. I lockdown generalizzati, poi, hanno dato una spinta fortissima al settore tra il 2020 e il 2021, inducendo le grandi società a varare importanti programmi di incremento del personale. Il 2022, invece, è stato un anno nero, con le big tech che hanno bruciato complessivamente circa 4 mila miliardi di capitalizzazione. Inevitabili sono stati i tagli dei costi e i piani di licenziamento. Tra i fattori determinanti possiamo annoverare: il ritorno alla vita fuori casa dei consumatori, l’aumento del costo del debito e l’incertezza macroeconomica.

Il secondo fallimento più grande dopo Lehman

Fondata nel 1983, la Silicon Valley Bank era la più grande banca per depositi della Silicon Valley. Il suo modello di business si basava sulla raccolta della liquidità delle startup tecnologiche e dei fondi di venture capital che investivano in quelle stesse società, arrivando a gestire alla vigilia del crack depositi per circa 342 miliardi di dollari. Di questi, circa cento miliardi di dollari sono stati investiti (o parcheggiati) in titoli di Stato USA a breve scadenza e con rendimento all’1,79%. In un contesto di tassi di interesse perennemente bassi, questo semplice modello di business appariva ineccepibile ed economico. La banca non si era nemmeno premurata di sottoscrivere derivati per proteggersi dal rischio di tasso di interesse. Ma nel momento in cui la Federal Reserve ha cominciato ad aumentare i tassi di interesse, portandoli al 4,75%, per contrastare la corsa dell’inflazione, il valore dei titoli di Stato presenti nel bilancio della Silicon Valley Bank è crollato. Secondo lo storico dell’economia Adam Tooze “in base a una stima approssimativa, la banca ha perso circa un miliardo di dollari ogni volta che i tassi sono aumentati dello 0,25 per cento”. I titoli obbligazionari funzionano in questo modo: se i tassi aumentano, il prezzo scende e viceversa. I titoli di Stato acquistati da una banca ad un prezzo x vanno ad alimentare l’attivo del bilancio. Il valore degli asset presenti nell’attivo contribuisce a determinare il livello di solidità finanziaria degli istituti.

COSA è SUCCESSO QUANDO I TASSI SONO AUMENTATI?

Il valore di mercato di quei titoli è sceso. Nel caso in cui i clienti della banca avessero deciso di ritirare tutti i loro depositi (corsa agli sportelli), la banca sarebbe stata costretta a reperire liquidità per accontentarli (nessuna banca è in grado di liquidare tutti i suoi clienti nello stesso momento). Il modo più rapido per farlo in questi casi è vendere i titoli di Stato detenuti, a costo di registrare una minusvalenza in bilancio (perché il loro prezzo intanto è diminuito ed è inferiore rispetto a quello corrisposto dalla banca al momento dell’acquisto). Ebbene tutto questo è accaduto, portando alla bancarotta della Silicon Valley Bank. La seconda più grande dopo quella della Lehman Brothers del 2008.

COSA HA CAUSATO LA CORSA AGLI SPORTELLI?

Possiamo individuare due cause, entrambe legate all’aumento del costo del denaro. Innanzitutto, anche i fondi di venture capital e di private equity a loro volta fanno ricorso al debito, trovandosi a gestire lo stesse dinamiche che hanno travolto la banca della Silicon Valley. In secondo luogo, è intuitivo che in caso di percepito rischio di default di una banca i suoi clienti si affrettino a ritirare il proprio denaro. E pensare che nel momento in cui i tassi salgono i profitti delle banche dovrebbero crescere. Ma dinanzi ad un modello di gestione del rischio così lacunoso non c’è stata via di uscita.

Le mosse di Tesoro e Fed

Il 12 marzo 2023 Tesoro, Federal Reserve e Federal Deposit Insurance Corporation hanno comunicato che avrebbero garantito tutti i depositi presso la Silicon Valley Bank; quindi, ben oltre la soglia del limite a garanzia sui depositi pari 250 mila dollari che l’agenzia governativa assicura. Una mossa che molti analisti hanno considerata sproporzionata, quasi irrealistica viste le risorse pubbliche che necessiterebbe. Ma il timore che il panico bancario si diffonda ha portato l’Amministrazione a tagliare la testa al toro ed evitare tentennamenti che nella crisi del 2008 sono costati caro. Anche a costo di coprire le perdite dei miliardari californiani con soldi pubblici. Per ora non si vuol sentir parlare di moral hazard.

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