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LA FRANCIA È PRESIDENTE DI TURNO DEL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA: E QUINDI?

21 Gennaio 2022

Dall’inizio di quest’anno, e fino al giugno prossimo, la Francia deterrà la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. La notizia non ha invaso le prime pagine dei giornali, ma acquista una certa rilevanza se si pensa al panorama istituzionale comunitario e al ruolo fondamentale che il Consiglio dell’UE svolge nella ordinaria dialettica del processo di policy-making.

  • Cos’è il Consiglio dell’UE

Si tratta di una delle più importanti istituzioni dell’Unione e sostanzialmente agisce da co-legislatore insieme al Parlamento europeo, operando su un piano di parità con quest’ultimo: un po’ come Camera e Senato in un bicameralismo perfetto all’italiana, con alcune differenze tecniche e poco rilevanti.
È composto dai ministri di tutti i 27 Paesi membri: a seconda della materia oggetto della discussione, si riunirà dunque una formazione diversa dell’organo. Così, ad esempio, per una discussione sulle reti ferroviarie europee, sarà la volta della formazione Trasporti, Comunicazione ed Energia costituita dai 27 Ministri dei Trasporti.

Ovviamente, come al solito nel labirinto istituzionale comunitario, la situazione è molto più complessa, poiché i lavori del Consiglio a livello ministeriale sono preparati da incontri precedenti tra i rappresentanti permanenti degli Stati accreditati presso l’UE: in particolare, per alcune formazioni che riguardano temi considerati più importanti (come il Consiglio Affari Esteri e quello Affari generali) si riuniscono tutti i capimissione dei 27 Paesi membri, mentre per tutte le altre si incontrano i vice-capimissione.

Inoltre, ciascuna riunione degli ambasciatori è preparata a sua volta da tavoli di lavoro di dimensione più piccola, ma che arrivano ad essere circa 170. Il Consiglio presenta dunque una struttura molto articolata, che fa comprendere la difficoltà dei negoziati, come pure delle materie trattate.

Una delle differenze che emergono rispetto alle altre istituzioni comunitarie riguarda proprio la presidenza: il Parlamento, la Commissione e il Consiglio europeo hanno un Presidente fisso, che viene eletto a inizio legislatura e che in genere termina il mandato con quest’ultima; la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, invece, ruota ogni 6 mesi, sulla base di gruppi di tre Stati, che la esercitano per un totale di 18 mesi e che sono composti tenendo conto delle loro diversità e degli equilibri geografici. L’unica eccezione riguarda il Consiglio Affari Esteri, che non è presieduto dallo Stato di turno, bensì dall’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune, ovvero una specie di Ministro degli Affari Esteri europeo.

Ciò che urge sottolineare, per evitare confusione, è che la Francia non presiederà l’Unione Europea quale organizzazione internazionale nel suo insieme, ma solo una delle sue istituzioni; certamente una delle più importanti, ma pur sempre una branca di un sistema più vasto. Infatti, non esiste alcuna gerarchia tra i Presidenti delle varie istituzioni comunitarie, al contrario di quanto accade in Italia, dove sono ben cinque le più alte cariche dello Stato.

Nell’aggrovigliato contesto descritto, lo Stato presidente ha il compito fondamentale di dirigere le riunioni, a tutti i livelli, del Consiglio. Ciò richiede un’abile capacità di mediazione, e quindi importanti capacità politico-diplomatiche, considerando che molti degli atti che vengono sottoposti all’organo richiedono la maggioranza qualificata, o addirittura l’unanimità, per essere approvati.

  • Cosa vuole fare la Francia durante questi sei mesi

La strategia francese è riassunta nella devise “Relance, puissance, appartenance”. Il programma risulta essere piuttosto ambizioso, poiché affronta tutti i temi di cui si occupa l’UE e prevede una serie di obiettivi e misure che molto probabilmente non potranno esaurirsi in soli sei mesi, considerando anche quanto lenti siano i processi decisionali europei. Basti pensare che per l’approvazione di un atto tramite procedura legislativa ordinaria (quella che coinvolge Parlamento e Consiglio su un piede di parità) sono necessari mediamente 40 mesi, contro i 3 e mezzo del nostro legislatore.

– Uno dei temi sicuramente più rilevanti riguarda lo stato di diritto: è ormai noto il conflittuale rapporto che le istituzioni comunitarie, in particolare la Commissione e il Parlamento, intrattengono con alcuni Stati dell’Est, e su cui rimando a questo articolo.
Il governo francese spiega che si impegnerà nel sostenere la Commissione europea nell’applicazione, per niente semplice, dell’art. 7del TUE, col fine di sanzionare quei Paesi che violano la rule of law, anche se le modalità non sono chiare. Inoltre, con il medesimo scopo, afferma di voler controllare l’implementazione del meccanismo di condizionalità per proteggere il budget europeo. Da ultimo, ma non in ordine di importanza, l’Eliseo sosterrà i negoziati per l’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Si tratta, in effetti, di una vicenda abbastanza risalente: già nel ’96, l’allora Comunità europea negoziò un accordo con il Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale totalmente distinta dall’Unione Europea e in seno alla quale gli Stati hanno elaborato la CEDU, per l’adesione. In quel momento, tuttavia, i Trattati non permettevano alle istituzioni comunitarie un tale potere e la Corte di Giustizia non diede il via libera. Adesso però, con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, sarebbe teoricamente possibile procedere in tal senso. Nel 2013 si è arrivati a un progetto di accordo, ma l’anno successivo la Corte di Giustizia ha espresso un parere con cui ribadiva alcune criticità che un passo del genere avrebbe apportato al ruolo stesso della Corte. Dunque, la questione è di una complessità tale per cui appare poco verosimile che sei mesi possano essere sufficienti per risolverla.

– Una delle grandi defectiones dell’attuale assetto istituzionale di Bruxelles è quello relativo alla politica estera. Macron, ben conscio dell’impossibilità di arrivare a vaste modifiche nel giro di poco tempo, ha lanciato un’interessante serie di incontri con delegazioni provenienti da altri continenti, cercando di rafforzare l‘immagine di un’Europa debole a livello internazionale. Nel marzo prossimo, sarà tenuto un summit con l’Unione Africana, cioè l’organizzazione regionale che raggruppa 55 Stati del continente africano, per discutere di resilienza sanitaria, transizione energetica, sicurezza alimentare e per avviare nuovi partenariati commerciali. Un mese prima, invece, avrà luogo un forum ministeriale con i Paesi della regione indopacifica: la Commissione europea ha pensato ad un programma dal valore di 300 miliardi di euro da qui al 2027 per una serie di obiettivi che vanno dalla realizzazione di collegamenti sostenibili, ad una connettività intelligente e sicura, dalla lotta ai cambiamenti climatici al miglioramento della sicurezza sanitaria. Però, oltre a garantire investimenti, tramite la Banca europea degli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, l’UE si impegnerà anche a promuovere valori democratici e standard elevati di trasparenza della governance. Finora sono stati previsti 1300 progetti in 165 Paesi. Il Global Gateway trova le sue radici in ragioni di ordine geopolitico abbastanza evidenti: il contenimento della Cina, che con la sua Belt & Road Initiative punta da una decina d’anni a sovvenzionare progetti infrastrutturali in Paesi spesso finanziariamente deboli, nel quadro di quella che molti hanno definito “trappola del debito”.

– In tema di “Impiego, affari sociali ed uguaglianza”, la Francia si impegnerà nell’adozione della direttiva relativa al salario minimo, proposta dalla Commissione lo scorso 28 ottobre. Chiariamo subito due punti. Innanzitutto, si tratta di una direttiva, e dunque non è direttamente applicabile negli Stati, ma dovrà essere recepita dal legislatore (su iniziativa del governo, in Italia). La scelta della direttiva lascia un certo margine di discrezionalità ai singoli Stati, che spesso impiegano svariati anni a dare loro attuazione: contro l’Italia, ad oggi, sono attive ben 37 procedure di infrazione per i mancato recepimento di altrettante direttive. In secondo luogo, il progetto europeo non indica un livello minimo di salario da garantire ai lavoratori, bensì fa riferimento alla “determinazione di livelli adeguati di salari minimi”. E ciò perché i Trattati impediscono all’UE di determinare i salari, dato che questa prerogativa appartiene alle parti sociali e rientra nella competenza di ciascuno Stato membro. E in effetti, prevedere un salario minimo in un quadro internazionale con rilevanti differenze di reddito sarebbe poco praticabile.

– Infine, in tema di energia, tanto attuale in questi mesi, il governo centrista di Parigi sottolinea il suo impegno nella riduzione delle emissioni, “nella convinzione che il nucleare sia uno strumento cruciale per decarbonizzare l’industria europea”. In Francia, infatti, la produzione di elettricità di origine nucleare rappresenta circa il 70% del totale, con un parco di più di 50 reattori. Peraltro, la volontà francese di utilizzare il nucleare ben si sposa con la tassonomia dell’UE, resa pubblica pochi giorni fa, che inserisce gas e nucleare tra e fonti di energia che facilitano la transizione verso un futuro di rinnovabili.

  •  Come vuole farlo?

Un recente articolo di Politico passa in rassegna le persone chiave che renderanno possibile l‘attuazione dell’agenda di governo: si tratta soprattutto di fidati consiglieri del Presidente Macron, europarlamentari, burocrati e, ovviamente, diplomatici.

Partiamo da questi ultimi. Un ruolo chiave l’avrà senza dubbio il Rappresentante permanente della Francia presso l’Unione, Philippe Léglise-Costa: ho già sottolineato l’importanza degli ambasciatori in ragione delle frequentissime riunioni COREPER, che costituiscono la base per qualsiasi riunione del Consiglio, in qualsiasi sua veste. Léglise-Costa è stato già consigliere per l’UE dell’ex Presidente Hollande, e proprio in questa circostanza ha conosciuto Macron, allora Segretario generale aggiunto dell’Eliseo. Inoltre, secondo il predecessore stesso di Léglise-Costa, il suo ruolo potrebbe addirittura risultare più rilevante rispetto al passato, a causa delle elezioni presidenziali di marzo. Il ragionamento di Pierre Salal, riportato da Politico, è che la preparazione e la competenza del Rappresentante permanente (e del suo vice, che comunque presiederà le riunioni COREPER per le materie di importanza non primaria) dovranno essere elevatissime poiché i ministri avranno meno tempo da spendere a Bruxelles a causa della campagna elettorale. Non è un caso, d’altronde, che la maggior parte dei grandi impegni previsti siano stati programmati per i primi tre mesi di mandato.

Un personaggio importante, e non solo in vista degli impegni durante il semestre, ma più in generale per l’influenza francese nel policy-making comunitario, è anche Oliver Guersent, il nuovo capo della Direzione-generale Competitività della Commissione europea. Stiamo parlando di un funzionario di lungo corso, che ha iniziato a lavorare per l’Europa nel lontano 1991, sempre nella stessa Direzione.

Un altro funzionario di Palazzo Berlaymont da tenere d’occhio in questi mesi è Céline Gauer. Anche lei da decenni alla Commissione, sempre alla Direzione-generale Competitività e come esperta di antitrust, è da più di un anno a capo della task force che si occupa di dirigere l’attuazione del Next Generation, riferendo direttamente alla Presidente Von Der Leyen. A quanto riporta Il Foglio, in un articolo del 30 aprile scorso, il suo nome sarebbe stato necessario per tranquillizzare i Paesi frugali, preoccupati di come certi Stati possano spendere (o non spendere) i soldi di tutti. 

Altri nomi importanti, stavolta tra le file degli europarlamentari, sono quelli di Pascal Canfin, fortemente ambientalista, spesso inviso al suo stesso partito, Renew Europe, per il supporto dato a politiche ambientali eccessivamente ambiziose, e pure favorevole al nucleare; e di Valérie Hayer, una dei più influenti membri del partito europeo di Macron.

  • E le elezioni presidenziali?

Ricordiamo fin da subito che la Francia è retta da una forma di governo detta semipresidenziale. In sostanza, il Presidente, dotato di molti poteri dal forte connotato politico (al contrario del nostro) è eletto a suffragio universale ogni 5 anni; aspetto, questo, tipico del presidenzialismo. Invece, l’esecutivo si regge sulla maggioranza parlamentare, come in Italia, e al venir meno di questa, cade anche il governo. Inoltre, fino al 2002 il mandato presidenziale durava 7 anni, e ciò aveva, in qualche occasione, provocato la cosiddetta “coabitazione”, per cui l’Eliseo e il Matignon (sede del Primo ministro) erano occupati da due inquilini di diversi partiti politici. La riduzione del mandato a 5 anni, e cioè la parificazione di questo alla durata della legislatura, ha permesso di evitare il ripetersi di un fenomeno tanto interessante dal punto di vista della scienza politica, quanto impattante sulla gestione dell’ordinaria amministrazione, specie in tema di politica estera.

Durante il semestre di presidenza, in Francia si voterà per il Presidente ad aprile, e per il Parlamento a giugno.

Potrebbe accadere, dunque, che Macron non venga rieletto per un secondo mandato, e il suo successore si ritroverebbe a gestire un programma in sede UE probabilmente non conforme alle idee del partito che rappresenta. Si pensi all’eventuale elezione di Marine Le Pen, o anche della conservatrice Pécresse, o addirittura a quella dell’outsider Éric Zemmour: le prospettive europee cambierebbero completamente.

Questo quadro potenziale non può che suscitare preoccupazioni all’Eliseo, ma bisogna sempre tenere a mente che gran parte della strategia francese a Bruxelles sarà portata avanti da funzionari tecnici, che continueranno a lavorare a prescindere dagli esiti delle consultazioni elettorali.

Inoltre, uno scenario del genere non risulterebbe neanche del tutto nuovo nella storia della V Repubblica. Infatti, già nel 1995, il gollista Chirac aveva preso il posto di Mitterand, e, stando ad un pezzo di Les Échos, qualche cambiamento al Ministero degli Affari Esteri ci fu. All’epoca, però, complice la coabitazione, il primo ministro era il socialista Jospin, che aveva in qualche modo portato avanti il disegno politico del Presidente uscente. Oggi, come detto, questo scenario non sembra molto plausibile.

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