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La splendida inefficienza del carcere

16 Agosto 2022

«La gran parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere; la maggior parte di essi non viene riabilitata, come prescrive la costituzione, ma semplicemente repressa, e privata di elementari diritti sanciti dalla nostra carta fondamentale – come ne vengono privati i loro cari. È possibile pensare a forme diverse di sanzione, che coinvolgano vittime e condannati in un processo di concreta responsabilizzazione?»

Gherardo Colombo

Il carcere ha diverse funzioni: punizione del condannato, difesa della collettività, monito verso il popolo ed infine rieducazione del condannato. Tra queste solamente la prima viene svolta, ed è l’unica ad essere inutile.

La collettività non viene difesa, poiché quando una persona entra in carcere si trova ad avere a che fare con altri criminali facendo spesso quello che viene comunemente detto “networking”: una volta usciti di galera gli ex detenuti sono più pericolosi di prima. 

Per quanto riguarda il monito verso il popolo, ovvero l’incutere timore e paura nei cittadini e quindi obbligarli a rispettare le regole, è lampante che sia una visione del tutto errata dello stare insieme e della convivenza civile. Una persona deve rispettare le regole perché le condivide, non perché ne teme le conseguenze. Inoltre, come se non bastasse, il carcere svolgerebbe questa funzione in modo efficace solo se lo stato riuscisse ad avere controllo su tutto ciò che accade all’interno del paese, ma è una cosa del tutto impossibile. Venendo meno il controllo da parte delle autorità, le persone che sanno di non poter essere scoperte continuano imperterrite a commettere reati. 

Non è possibile estendere il controllo ad ogni cittadino, servirebbe un investimento enorme: più polizia, più magistrati, più cancellieri, più caserme, più processi, più carceri (che già adesso sono sovraffollate).

«Se si cercasse di praticare un controllo totale, la democrazia diventerebbe uno stato di polizia, in cui tutti sarebbero sottoposti a esasperanti controlli. […] Il problema si risolve riducendo la devianza, non aumentando la repressione».

Gherardo Colombo

Anche dal punto di vista rieducativo il carcere non brilla particolarmente, anzi proprio per niente: quasi il 70% di chi esce dal carcere torna a delinquere. Due detenuti su tre, un numero spaventoso. E come abbiamo visto prima gli ex galeotti spesso commettono reati peggiori di quelli per cui sono entrati. 

Inoltre, la retribuzione (ovvero la punizione) non si ferma nel momento in cui la pena è stata scontata, ma prosegue anche dopo. La persona scarcerata trova difficilmente un lavoro, un’abitazione e in generale opportunità di inserirsi nella società. Questo punto, quello della riabilitazione del condannato, è uno dei principali motivi per cui il carcere esiste ed è anche uno di quelli che viene portato a termine di meno.

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Articolo 27 della Costituzione

L’unica cosa che il carcere riesce a fare spaventosamente bene è punire il condannato, che però non significa educarlo e reinserirlo nella società, ma significa semplicemente rispondere al male con altro male. 

Il detenuto è obbligato a restare 12 ore al giorno chiuso in celle minuscole, senza nulla da fare, con persone scelte da altri. Il tempo che rimane lo passa nella migliore delle ipotesi nel corridoio vuoto che vi sta davanti. Gli sono concesse due ore per prendere aria in piccoli cortili, controllato tutto il tempo dagli agenti di polizia penitenziaria, ai quali bisogna obbedire senza esitazione.

C’è una probabilità molto alta che in una cella vivano più persone di quante la stanza può contenere, poiché le nostre carceri sono spesso sovraffollate. Non è poi un evento straordinario la mancanza di acqua corrente all’interno della cella. Il detenuto può avere solamente sei colloqui di un’ora ciascuno al mese con i propri famigliari e durante il colloquio non ci sono momenti di intimità.

Il carcere non aiuta le persone che commettono dei reati, come dovrebbe fare, ma peggiora inevitabilmente la loro vita. Le conseguenze sono tangibili: un detenuto su mille si suicida, uno su cento tenta il suicidio e uno su dieci compie gesti di autolesionismo. Qualunque sia il reato commesso, questa non è dignità, non è vivere.

Il detenuto, una volta uscito dalla galera, ha dentro di sé un forte odio verso la società, la stessa società che lo ha obbligato a vivere in condizioni pietose, privato dei più fondamentali dei diritti e l’unica cosa che gli rimane da fare è ritornare ad essere un criminale.

«Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona»

Articolo 1 dell’Ordinamento Penitenziario

È stato già accennato il fatto che le carceri italiane sono sovraffollate. Il tasso ufficiale medio di affollamento è del 107,4%: per il 7,4% delle persone detenute non c’è spazio, ma comunque vengono imprigionate. Questo dato è però una media di tutte le carceri italiane: in alcune regioni il tasso è molto più alto (in Puglia si ha un sovraffollamento del 134,5% e in Lombardia del 129,9%).

Le cause sono molteplici, ma si ritiene che questo problema possa essere risolto destinando chi commette reati minori a soluzioni alternative come gli arresti domiciliari o i servizi sociali. Non va trascurato inoltre il tema della legalizzazione delle droghe leggere: il 35% dei detenuti si trova in carcere per aver violato la legislazione sulle tossicodipendenze.

Non si può né si deve nascondere: il sistema punitivo italiano ha bisogno di essere riformato. Ovviamente non si parla di abolizione assoluta del carcere, o meglio non è qualcosa che si può fare dall’oggi al domani. Però qualcosa va fatto, e in fretta.

La reclusione dovrebbe essere l’ultima spiaggia dove mandare chi commette un reato. Prima di questo ci sono altri sistemi di riabilitazione molto più utili, efficaci, e che non sopprimono la dignità della persona. Per esempio essere affidati a dei servizi sociali: tra chi effettua questo tipo percorso solo il 20% torna a delinquere.

Per reinserire queste persone nella società è quindi necessario un percorso di rieducazione che non porti alla perdita della dignità o alla compromissione della salute psicofisica.

Si dovrebbero proporre ai detenuti dei percorsi di formazione, scolastici o lavorativi, che possano così portare chi li segue a trovare un lavoro una volta usciti dal carcere. Unire soluzioni alternative al carcere (servizi sociali o arresti domiciliari) con percorsi formativi potrebbe giovare al sistema carcerario e alla nostra società sotto i punti di vista già toccati.

«Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni»

Fedor Dostoevskij

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