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L’ETERNO RITORNO DELLA MANO STATALE

21 Luglio 2020

Sembra ormai dilagare definitivamente l’idea del ritorno dello Stato imprenditore. Non che questa patologia congenita della politica italiana sia mai stata del tutto sopita. Tuttavia con la nuova gestione giallorossa (già i colori avrebbero dovuto far sospettare l’epilogo) questa tendenza sembra aver preso il sopravvento contro ogni logica.

L’ultimo capitolo è la vergognosa faccenda Aspi, con la quale il governo si riappropria di una concessione nata proprio per le tremende inefficienze della gestione pubblica. Non discuto le responsabilità di Atlantia e Aspi, anche se sarà solo la magistratura ad accertarle. Quello che mi sconvolge è la conduzione della situazione degna del peggior paese sudamericano. Annunci a mercato aperto, messaggi diretti a persone specifiche (come se in Atlantia non ci fossero migliaia di altri azionisti oltre la famiglia Benetton), minacce di revoca poi rientrate. Il tutto culminato con l’ex ministro Toninelli -Dio ce ne scampi e liberi- che in un video muto si esibisce in una sequela di passi di danza proto indo-europei, esultando per l’estromissione della famiglia di Ponzano Veneto.

Quello di Autostrade è però solo l’ultimo tassello di un governo che fa dello statalismo il proprio mantra. Tempo neanche un anno dall’inizio del governo e sotto il controllo statale sembra passare, oltre alle autostrade, anche Ilva (la sola gestione di questo capitolo meriterebbe un trattato tanto assurda è la vicenda). Come se ciò non bastasse negli ultimi giorni è pure apparsa sui giornali una brillate idea: nazionalizzare Tim o la rete a seconda della campana che si decida di ascoltare.

Non è un caso la presenza di Mariana Mazzucato all’interno di una delle innumerevoli task force. Lei, sempre pronta ad additare il mercato come il colpevole di ogni male. A partire da questa crisi – dimenticandosi che questo supply side shock deriva dalle decisioni governative, sacrosante, ma pur sempre scelte non imputabili al mercato- sembra ancora una volta a farsi promotrice di questa visione statalista e accentratrice. Tutto questo però volutamente, accecati dall’ideologia, ignorando ogni singolo caso in cui il mercato abbia portato vantaggi notevoli per i consumatori. Gli esempi più limpidi sono quelli di Italo e Iliad, grazie a cui c’è stata una notevole compressione delle tariffe.

Ma quali sono le ragioni di questa svolta? È difficile individuare un sola ragione però è possibile individuarne alcune principali. Prima fra queste una questione puramente ideologica. Nel nostro Paese non è mai davvero cessata la speranza, talvolta celata e repressa, che possa essere lo stato a farsi carico di tutte le esigenze dei cittadini. Il Movimento 5S è solamente l’erede di questo tipo di visione. visione che ben si concilia con quella parte di PD ancorato a vecchie posizioni. La cosa paradossale è che questo tipo di visione non ha avuto una rinascita in un paese fortemente liberale -o liberista, parola di grande moda come spregiativo- contrariamente a quanto urlato dai fautori dello stato padrone. In Italia infatti, a seconda delle stime, la percentuale del Pil italiano direttamente o indirettamente controllata dallo Stato varia tra il 60 e il 70%. Con un Pil però nel cui computo compaiono anche le stime per il sommerso, rendendo perciò la stima inferiore al dato reale. Numeri da Corea del Nord.

La seconda ragione ha un carattere squisitamente italiano, o venezuelano. Anche se per un criterio cronologico potremmo farci depositari di questa tradizione: il clientelismo. Uno stato infatti con grandi poteri in campo economico, con una forte presenza e un peso contrattuale anche molto rilevante è in grado di influenzare notevolmente la distribuzione delle risorse, sempre più scarse, verso i cittadini. Garantire rendite agli amici degli amici porta voti e garantisce la sopravvivenza di quell’equilibrio parassitario su cui si basa una notevole fetta del consenso politico. L’ultimo caso quello delle concessioni balneari. Uno scandalo italiano che può esistere solo grazie alla necessità di garantirsi il voto in massa dei gestori. E questo vale per decine di altri settori, ognuno con le proprie specificità e il proprio interesse particolare da tutelare. Ogni tentativo di riforma o liberalizzazione si scontra con la necessità di mantenimento del consenso. Anche se tali riforme andrebbero incontro all’interesse generale.

Tutto questo però è per certi versi paradossale. Nel momento storico di maggior sfiducia nei confronti dello Stato, segnato dalla nascita o crescita dei movimenti anti sistema, la necessità da parte della popolazione di vedere i tentacoli del potere pubblico avvilupparsi in nuovi settori cresce e non diminuisce come sarebbe normale. Il motivo è difficile da individuare: sicuramente tutta la retorica dei discorsi anti-liberalismo ha avuto un suo peso, considerato anche il ricordo ancora vivo del 2008. Ma questo non sembra poter essere l’unica spiegazione. Deve probabilmente esserci una spinta opportunistica personale di chi anela a rientrare in quella cerchia privilegiata che gode di rendite, sussidi, stipendi statali (il reddito di cittadinanza è l’evoluzione ultima di questa aspettativa con cui direttamente si abolisce il passaggio attraverso una qualche forma di lavoro). Si preferisce dunque sperare di poter rientrare in una qualche “corporazione” privilegiata e protetta dal potere pubblico invece di richiedere un’uniformità di trattamento per tutti i cittadini. Con lo stato che svolge solamente il ruolo di arbitro. Tanto è radicata la convinzione che lo Stato agisca nell’interesse dei soliti noti –e non del tutto a torto ad essere onesti- che è più semplice sperare di rientrare in una qualche categoria privilegiata rispetto al chiedere che questi privilegi scompaiano.

Uscire da questo circolo vizioso, per chi vorrà tentare di sovvertire questa spirale nella quale sta sprofondando il Paese, non è e non sarà affatto facile e si troverà di fronte resistenze e ostacoli immensi. È però tuttavia l’unica possibile scelta per un Paese che non voglia rassegnarsi ad un declino continuo che dagli anni ’80 in poi non si è mai arrestato.

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