Luca Galli/Flickr

LO STATO DELL’ARTE

9 Marzo 2021

È andata in onda sabato sera la Finalissima della 71esima edizione del Festival della Canzone Italiana, il Festival di Sanremo. È sicuramente stato atipico rispetto agli anni scorsi, un po’ come il resto della nostra vita nell’ultimo anno, a partire da quell’8 marzo 2020 in cui Giuseppe Conte apparendo in diretta a reti unificate chiudeva di fatto l’Italia.

È stato un festival atipico, anche sotto altri punti di vista. Amadeus, Orietta Berti e l’Orchestra sono forse gli unici ad aver incarnato a pieno l’identità stessa del Festival.

Insomma la tradizione del Festival, che è un po’ quella della Rai, molto democristiana.

Com’è che si dice? ‘Perché Sanremo è Sanremo…’


Adriano Celentano al Festival di Sanremo 1961 – Unknown author, Public domain, via Wikimedia Commons

Riflessioni sull’evoluzione di Sanremo, sull’Indie e sui Maneskin

Il Festival negli anni ha dato prova di sapersi adattarsi a quelli che sono stati i cambiamenti nel comune sentire del popolo italiano, dei telespettatori. Si è saputo aprire al cambiamento che avveniva nella società, con qualche anno di ritardo, alla fine degli anni ’70, a fronte di quel che nel decennio ’68/’78 era accaduto in Italia e nel mondo.

Nel 1978 Rino Gaetano, con la sua “Gianna”, sconvolse il canone classico del Festival intonando:

Ma la notte, la festa è finita, evviva la vita

La gente si sveste, comincia un mondo

Un mondo diverso, ma fatto di sesso,

chi vivrà vedrà

Quindi il Festival ha indossato la veste lirica, pacata e bacchettona. Non si è più fatto sporcare dai toni accesi e popolari di alcuni testi (“ancora adesso che bestemmio e bevo vino, per i ladri e le puttane sono Gesubambino” – cantava Lucio Dalla nella versione non censurata di “4 marzo 1943”). Alcuni personaggi, che vi hanno preso parte in passato, come il primo Benigni e Grillo, sono sintomatici del polimorfismo sanremese, come anche la graduale apertura alla musica ed alla cultura internazionale. Così l’Italia cambiava e così Sanremo si è evoluto.

Gli anni ’90 hanno visto la televisione – in primis quella privata – cambiare radicalmente, vedendo azzerata totalmente ogni sorta d’aspirazione culturale, presente nei primi anni della Rai. Le ballerine e le veline sono entrate in scena in una veste più sensuale (o spesso senza veste).

Gli anni 2000 sono l’apice della Svolta televisiva – e del Festival. Per gli anni della Crisi calza a pennello una frase della Serie Boris: “un paese di canzonette mentre fuori c’è la morte“. Oggi si può finalmente dire che il Festival è riuscito a cogliere quasi a pieno quanto c’è fuori, nelle strade e nelle piazze, il fervore politico e culturale, lo spirito dei nostri giorni. Non che ci sia poi tanto…

Le ultime edizione hanno visto scendere dalle scale dell’Ariston svariati tipi di artista

Ci sono alcuni artisti la cui presenza non stona per modo di fare e d’essere, per l’immagine che trasmettono – non troppo sopra le righe.

Potrebbe destare qualche perplessità la presenza di alcuni artisti che ostentano l’indipendenza dalle Etichette musicali principali, e quindi da una certa idea di musica. Il genere indie ha costituito una grande aspettativa di cambiamento dopo anni di appiattimento vissuti dalla musica italiana nel nuovo millennio. Per alcuni versi ha portato una ventata d’aria fresca, ma oggi si può dire che la Rivoluzione Indie ha mancato l’appuntamento con la storia, di fatto: il senso stesso del nuovo “genere” – se può oggi definirsi tale – è semplicemente un modo più equo di entrare nel mondo musicale, contro il monopolio dei colossi musicali. La diretta conseguenza di questa indipendenza dovrebbe essere una spinta, un fervore, nei testi e nei temi portati avanti dalla figura dell’artista: un’indipendenza che dovrebbe consentire un maggiore sperimentalismo ed una vera libertà d’essere artista nella e per la comunità.

Oggi, quel che resta, è la manifestazione di una diversità derivante dal fare parte d’un gruppo d’artisti, che cercano d’esprimere una presunta emarginazione. Quel che si è coltivato è l’immagine, un po’ trasandata – perché fa moda – sui Social e in TV.

Dunque il genere indie a furia di cantare un proprio disagio relazionale, ed uno pseudo-esistenzialismo, si è omologato in testi naif, divenendo una sorta di Pop più spiccio e appariscente.

Sono riusciti a cambiarci, ci son riusciti. Lo sai.

Uno dei grandi limiti del genere è l’approccio autoreferenziale. Nell’insieme è mancato di un orizzonte ideale entro cui muoversi. È mancato un intento comunicativo un po’ meno disimpegnato, un po’ più sociale.

È mancata la spinta d’insieme per un nuovo modello di artista, cui s’aspirava in partenza. E a questo punto una domanda è d’obbligo. Qual è il ruolo dell’artista? È sufficiente una musica che sia svago e divertimento, e non porti con sé riflessioni profonde?

Personalmente non mi sono mai aspettato nulla di che, ma quantomeno “quello che la Musica può fare è salvarti sull’orlo del precipizio“.

Una riflessione personale sui protagonisti del Festival è d’obbligo

Chi vince ha sempre ragione, questo è vero. Le doti musicali e canore dei Maneskin sono assolute, esplosive, ma… m’aspetterei qualcosa in più da chi, nella Kermesse della Musica Italiana – e cioè del Conformismo- canta infoiato la propria diversità rispetto a ‘Loro’ (verrebbe da chiedere “Loro chi?”, a questo punto). Da chi nella forma sembra contrapporsi ad un sistema di valori, volendo distruggere ogni convenzione e canone di normalità e banalità, che opprime e costringe.

Da chi canta – egregiamente – una canzone degli CCCP di Giovanni Lindo Ferretti, gruppo le cui opere esprimono un’alchimia unica di musica e testo con temi spirituali, esistenziali e sociali – al punto da condividere il destino con il crollo ideale del Muro.

Un anticonformismo – oggettivamente di questo si tratta – più nella Forma che nella Sostanza. Ma Forma e Sostanza sono imprescindibili l’una all’altra, per chi vuole lasciare un segno nella musica, e oserei dire nel sentimento collettivo.

Concludo con dei versi di una canzone dei CSI – evoluzione del precedente progetto musicale – dello stesso Ferretti

Conosco le abitudini, so i prezzi
E non voglio comperare né essere comprato
Attratto fortemente attratto
Civilizzato sì civilizzato

Comodo ma come dire poca soddisfazione
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Soddisfazione Signore

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