La crisi del debito sovrano e la crisi pandemica hanno messo in luce i limiti delle regole fiscali europee. Se la prima crisi è stata risolta dalla sola politica monetaria, la seconda è stata affrontata da un mix di politica economica efficace, con la sospensione del Patto di Stabilità, il Pandemic Emergency Purchase Programme e il Next Generation Eu. Con l’aumento dell’inflazione, la Bce ha aumentato i tassi e introdotto lo scudo anti-spread, mentre nel 2024 torneranno in vigore le regole di bilancio europee.
CRISI A CONFRONTO
La crisi del debito sovrano e la crisi pandemica hanno messo in luce i limiti delle regole fiscali europee. La prima crisi ha diviso l’Ue in due blocchi: i cosiddetti “paesi core“, caratterizzati da bassi livelli di debito pubblico e da un’attività economica più solida, e i cosiddetti “paesi GIPSI“, caratterizzati da un più elevato debito pubblico. Per superare quella crisi asimmetrica, le istituzioni europee hanno adottato un policy mix composto da una politica monetaria espansiva e da una politica fiscale restrittiva. La prima ha salvato la stabilità dell’area dell’euro ma non è riuscita a massimizzare i suoi effetti sull’economia reale, la seconda è stata pro-ciclica contribuendo a prolungare la crisi. Già prima del 2011, molti Stati membri dell’Ue avevano iniziato a mostrare disavanzi di bilancio oltre le soglie raccomandate. Poi, per rispettare i vincoli, questi stessi paesi hanno ridotto gli investimenti pubblici con effetti negativi sulla crescita. Invece, durante la crisi simmetrica causata dalla pandemia, la Bce è intervenuta per contenere l’aumento dei debiti pubblici attraverso il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp), rimandando la normalizzazione della politica monetaria. Sul piano fiscale, la Commissione europea ha sospeso il Patto di Stabilità ed emesso titoli di debito europei sui mercati finanziari per finanziare il Next Generation Eu. Questo mix espansivo di politiche ha consentito agli Stati membri di affrontare adeguatamente il calo del Pil.
IL PATTO DI STABILITÀ TORNERÀ NEL 2024
L’aumento significativo dell’inflazione ha ora condotto la Bce ad aumentare i tassi di interesse, privilegiando la lotta all’inflazione al sostegno dell’economia. Al tempo stesso la Bce ha introdotto il Transmission Protection Instrument (Tpi) al fine di evitare una nuova crisi del debito sovrano e la sua attivazione è condizionata alla sostenibilità del debito pubblico. Quest’ultima potrebbe essere compromessa dalla simultanea presenza della recessione e degli alti tassi di interesse. Anche se le aspettative sui tassi nel lungo termine sono ribassiste, scontando un possibile intervento espansivo delle banche centrali al fine di contrastare il crollo del Pil nel 2023. In uno scenario di questo tipo, la reintroduzione integrale del Patto di Stabilità non sarebbe realistica. Non a caso, inizialmente si era deciso che il Patto di Stabilità sarebbe stato reintegrato già nel 2023, ma resterà sospeso anche nel prossimo anno. La guerra in Ucraina, l’inflazione record e le previsioni fosche sull’economia europea non hanno lasciato altra scelta. Ora, di qui al 2024 avranno luogo trattative serratissime sul nuovo Patto di Stabilità. Il Patto di Stabilità e Crescita fu varato nel 1997 dal Consiglio europeo con l’obiettivo di garantire la disciplina di bilancio degli Stati membri per evitare disavanzi pubblici eccessivi. A seguito della crisi del debito sovrano, nel 2011 e nel 2013 il Consiglio e il Parlamento europeo introdussero due pacchetti di modifiche al Patto, sotto i nomi di “Six pack” e di “Two pack”, al fine di rendere più rigorosa l’applicazione delle regole di finanza pubblica. Il primo gennaio 2013 entrò in vigore il Fiscal Compact, ovvero il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, che fino alla vigilia della crisi pandemica ha costituito l’architrave della governance economica europea, seppur applicato con “flessibilità”.
NON È UN LIBERI TUTTI
A maggio Paolo Gentiloni, commissario europeo per gli affari economici e monetari, aveva così commentato il nuovo stop al Patto di Stabilità: “Vorrei sottolineare due messaggi chiave: siamo lontani dalla normalità economica”, “non stiamo proponendo un ritorno a spesa illimitata”. Una precisazione puntuale e mirata soprattutto a quei paesi, come l’Italia, da sempre sotto la stretta osservazione della Bundesbank e dei mercati finanziari, nonché della stessa Commissione nell’ottica del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’ex premier aveva anche aggiunto: “le politiche di bilancio nazionali dovrebbero coniugare la spinta agli investimenti con il controllo della crescita della spesa corrente, cosa particolarmente importante per i paesi ad alto debito, ai quali è richiesto di garantire una politica fiscale prudente per il prossimo anno”. Dunque, il debito comune europeo (temporaneo e mirato fino al 2027) e lo scudo anti-spread (con le tre linee di difesa: Pepp, Tpi e Omt) richiedono in cambio politiche di bilancio responsabili e accurate da parte dei paesi membri. Secondo l’economista Lucrezia Reichlin, docente alla London Business School, “il fatto che le nuove misure siano passate all’unanimità comporta un messaggio politico da parte dei paesi tradizionalmente più rigidi: abbiamo creato un “framework” per evitare falle nell’euro, ora però accettate un Patto, magari non rigido come il precedente, ma che comporti una disciplina”.
ALCUNE PROPOSTE DI RIFORMA
Il Patto di Stabilità prevede il pareggio di bilancio, l’obbligo di non superare lo 0,5% del deficit strutturale rispetto al Pil, l’obbligo per paesi con il debito/Pil superiore al 60% di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno per raggiungere il 60%, l’obbligo di mantenere il rapporto deficit/Pil al di sotto del 3%. Recentemente, il Ministro delle Finanze tedesco Lindner ha proposto di riformare il Patto rendendo le regole più vincolanti e realistiche, archiviando il paletto che impone di ridurre il debito in eccesso di un ventesimo all’anno. Prima della guerra, Macron e Draghi erano al lavoro per costruire un’intesa sull’introduzione di una regola che permetterebbe di dedurre le spese per investimenti dal calcolo del deficit, in modo tale da non appesantire il rapporto deficit/Pil. Una regola non priva di criticità per il rischio di proliferazione di tecniche di contabilità pubblica “creativa” e di incentivi all’incremento dei disavanzi. Inoltre, sempre Macron e Draghi in una lettera al Financial Times datata 23 dicembre 2021 avevano lanciato un primo manifesto per la riforma delle regole di bilancio europee, proseguendo il percorso avviato con l’istituzione del Next Generation Eu. Ma la guerra ha costretto i leader europei a riformulare la loro agenda, mentre Draghi potrebbe essere presto sostituito da un nuovo premier, salvo sorprese imprevedibili. Tutto rimandato, per ora. Ma intanto nessun liberi tutti.