Enrico Letta / Wikimedia Commons

A LETTA NON È RIUSCITA LA MISSIONE IMPOSSIBILE “COALIZIONE SEMAFORO”

7 Agosto 2022

Dopo l’accordo tra Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra, il leader di Azione ha rotto il patto con Enrico Letta. La missione impossibile del leader dem è fallita. Calenda si è dimostrato un partner inaffidabile, l’asse dai liberali egli ecologisti non avrebbe mai retto la prova del governo.

Enrico Letta come Ethan Hunt

C’era quasi Enrico Letta. Dopo settimane di incontri, messaggi, tweet, attacchi e smentite, il leader dem era riuscito a portare a casa un duplice accordo bilaterale: il primo con Azione e Più Europa sull’agenda Draghi, il secondo con Alleanza Verdi e Sinistra sull’agenda ecologista. Letta ha provato a vestire i panni di Ethan Hunt, l’agente della CIA interpretato da Tom Cruise nella celebre saga “Mission impossibile”, dotato di grandi abilità tattiche e strategiche in grado di compiere anche le gesta più acrobatiche pur di evitare una guerra nucleare con un immancabile colpo di fortuna in extremis. Ma questa volta non c’è stato un lieto fine. Carlo Calenda ha fatto esplodere la bomba e la missione di un centrosinistra unito si è rivelata impossibile. Fino alla fine, Letta ha provato con generosità e razionalità a modellare una coalizione in grado di contendere le elezioni alla Destra, cercando un punto di caduta tra diversità programmatiche e forzature imposte da una legge elettorale incompatibile con l’attuale scenario politico italiano.

Carlo Calenda non è affidabile

La causa ultima della rottura del patto Letta-Calenda è senz’altro rintracciabile nella mancanza di affidabilità di quest’ultimo. Il leader di Azione o è molto ingenuo oppure molto cinico. Tra le motivazioni della sua rottura ci sarebbe l’incompatibilità dell’agenda Draghi con quella promossa da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, i leader di Alleanza Verdi e Sinistra, con cui il Partito Democratico ha raggiunto un’intesa nelle ultime ore, oltre che l’allargamento della coalizione alla lista di Luigi Di Maio e Bruno Tabacci (Impegno Civico). Ma cosa si aspettava Calenda? Perché sembra essere stato colto in contropiede dall’apertura del Partito Democratico ad altre forze politiche? Per esempio, l’accordo con i democratici già scontava l’allargamento della coalizione a sinistra. I paletti riguardavano specificatamente le candidature divisive nei collegi uninominali. Le posizioni di Fratoianni sull’allargamento della NATO o sul rigassificatore di Piombino erano ben note da tempo. Sorprende questo dietro front di Calenda. Se questa scelta fosse dettata dalla sua ingenuità, allora si porrebbe un serio problema di abilità politica; se fosse dettata da mero cinismo (la base di Azione è divisa, molti vorrebbero correre da soli al fine di massimizzare il risultato di lista sulla falsa riga di quanto accaduto a Roma), allora dovremmo rivalutare la sua caratura. I patti si rispettano. Non si può cambiare idea ogni tre giorni. Almeno Matteo Renzi è stato coerente sin dall’inizio nel voler correre da solo.

Il partito verde che non c’è

Nel merito, non si può certo dire che Calenda abbia torto. Dal punto di vista programmatico la coalizione non avrebbe mai retto la prova del governo. In Italia appare impossibile trovare un minimo comune denominatore programmatico tra ecologisti, liberal-democratici e social-democratici, come avviene in Germania dove le tre famiglie politiche governano insieme. Non a caso Letta aveva immaginato una coalizione costruita su accordi bilaterali, con il Pd nel ruolo di forza mediatrice tra le posizioni più radicali del centro e della sinistra. In Italia non abbiamo un partito verde atlantico, europeista e moderno, funzionale in una coalizione ampia per bilanciare le istanze liberali con quelle sociali e ambientali. A questo profilo non corrispondono né l’alleanza cocomero né il partito di Giuseppe Conte, ora reinventatosi di punto in bianco il Mélenchon italiano. D’altra parte, il centro liberale in Italia è fortemente frammentato e limitato dalle burrascose personalità dei suoi leader (vedi anche Matteo Renzi). Una “coalizione semaforo” italiana con una visione comune su politica estera, transizione energetica e ammortizzatori sociali avrebbe potuto rendere le elezioni del prossimo 25 settembre molto più contendibili. Così non sarà, una grande occasione persa. Letta scommetteva sul ritorno del bipolarismo, unica via per rendere l’offerta politica italiana di nuovo credibile e che, insieme ad un sistema elettorale maggioritario, renderebbe il nostro paese più governabile. I piani sono rimandati a data da destinarsi. Ad oggi è una mission impossible.

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