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POST COVID: CHE NE SARÀ DELL’ITALIA? DUE CHIACCHIERE CON L’ECONOMISTA RICCARDO PUGLISI

10 Novembre 2020

Quale futuro?

Siamo tutti concentrati sul presente, tanto che nessuno sembra essere interessato al futuro. Del resto l’arrivo della seconda ondata, cogliendoci alla sprovvista, ci impone di pensare all’oggi. Al domani si vedrà. Eppure il secondo lockdown nel giro di pochi mesi, seppure soft, non fa ben sperare una volta che questo incubo sarà finito. La chiusura delle attività produttive avrà gravi ripercussioni sull’economia. Oltre che sulle psiche di noi tutti, “ça va sans dire”.

Fatta questa breve, ma doverosa premessa, arrivo subito al punto. Il drastico calo del PIL e l’aumento sconsiderato del debito pubblico proiettano l’Italia in uno scenario da incubo. La situazione si incupisce se la comunità scientifica non brevetta un vaccino in tempi rapidi. Ma, la speranza, si sa, è l’ultima a morire e con un cambio di rotta della politica e delle politiche pubbliche la luce in fondo al tunnel appare luminosa. Ne è convinto l’economista e professore all’università di Pavia Riccardo Puglisi, «a patto che si accantoni la visione statalista che arieggia fra i membri del governo».

Un sistema pensionistico sostenibile ed equo

Il Conte atto primo ci ha lasciato in dono due provvedimenti simbolo del populismo economico: reddito di cittadinanza e Quota 100. Se il primo, tutto sommato, è sembrato essere un utile strumento al contrasto della povertà, la controriforma voluta da Salvini è un costosissimo privilegio che non possiamo più permetterci. «Il ritorno al sistema pensionistico designato dall’ex ministro Elsa Fornero si rende necessario, in quanto per essere sostenibile sul breve e sul lungo periodo non si può prescindere dall’innalzamento dell’età pensionabile e dall’arresto dei pre-pensionamenti», ha detto il Prof con piglio severo. Chi frequenta Twitter, d’altronde, ha ben chiara l’opinione dell’economista riguardo a Quota 100.

Aggredire il debito pubblico

La chiacchierata prosegue allegra e si ferma sul tema debito pubblico. Come ridurlo? E perché dovremmo riuscirci proprio ora, considerando anche il fatto che nessun governo ha mai avuto la volontà politica di aggredire questo enorme moloc? Puglisi profila varie ipotesi. Innanzitutto, strizzando l’occhio ai suoi amici economisti Borghi e Bagnai – si fa per dire – , rivela la possibilità di un taglio del debito da parte della BCE. «Evento improbabile, non impossibile, ma non auspicabile per questioni di credibilità dell’istituzione europea».

Il pallino passa dunque alla nostra classe politica, la quale «dovrebbe intervenire sul lato crescita: aumentare il numeratore per ridurre il denominatore. Ovvero, incrementare il PIL per ridurre il debito. Per crescere la via è stretta, ossia occorre intervenire sulla produttività, determinante tautologica della crescita. Quindi investimenti in istruzione, ricerca, digitale, nuove tecnologie e capitale umano». Perché, ha detto il prof, «si è produttivi in quanto innovatori». Da non scordare, ovviamente, «lo stop ai deficit di bilancio». Tradotto: basta con i politici che si comprano il consenso con i nostri soldi, perché i soldi pubblici sono soldi nostri.

La Questione meridionale

La chiacchierata si conclude con uno scambio sulla ormai secolare questione meridionale. «Secolare e gigantesca» ha puntualizzato il Puglisi. Infatti, l’espressione risale a fine ‘800, teorizzata dal deputato radicale Antonio Billia, approfondita da Gramsci e provata a risolvere con l’IMI e l’IRI in epoca fascista e con la Cassa del Mezzogiorno nell’Italia repubblicana. Gli strascichi di questo «dualismo economico, caratterizzante non soltanto l’esperienza italiana ma, anche, quella francese e tedesca, ad esempio» non sono più accettabili. Quantomeno non lo sono per una politica intenzionata a proiettare il bene comune su un piano efficiente ed equo. «Una svolta economica dell’Italia passa anche dalla risoluzione definitiva del sottosviluppo e arretratezza del Sud» ha suggerito l’economista.

Le soluzioni teoriche sono numerose. «Una prima si ricollega all’aumento della produttività, che deve valere per tutta Italia. Non esiste nessuna ragione al mondo per cui non possa esserci sviluppo economico in queste aree». Non trovarsi d’accordo con il prof diventa esercizio difficile. Un’efficace e seria lotta alla mafia accompagnata da investimenti in infrastrutture e capitale umano, ad esempio, rappresentano un buon punto di partenza. L’esempio è «la Puglia, che ha diminuito il gap economico con le virtuose regioni del Nord».

L’altra misura da prendere in considerazione fa leva «sull’implementazione del federalismo, in maniera da consentire agli enti locali la possibilità di gestire risorse proprie ed essere giudicati per questo dai cittadini». Tradotto in termini tecnici: un rafforzamento dell’accountability elettorale, che non guasta mai quando si parla di classe politica italiana.

L’ultima soluzione prospettata dall’economista fa riferimento al mercato del lavoro. «Occorre tenere in considerazione il diverso costo della vita tra aree e quindi accettare una diversificazione salariale». Detta così pare roba da “libberisti brutti e cattivi”, ma ha una sua logica e Puglisi spiega il perché. «Tenere salari elevati rispetto all’effettivo costo della vita rappresenta un freno alla crescita, poiché le imprese sono poco propense ad investire in zone in cui gli stipendi sono alti. Un livellamento dei salari potrebbe innescare un meccanismo virtuoso di investimenti, aumento dei posti di lavoro e produttività e conseguente crescita dei salari nominali». Perché non provarci?

Finalmente il vincolo esterno?

Tornando da dove si era partiti, ovvero alla domanda “il covid può rappresentare il vincolo esterno che induce l’Italia a convergere verso le economie del Nord Europa?” il Prof mi dà una risposta spiazzante: «è certamente possibile, ma non con l’attuale governo. L’idea di stato imprenditore auspicata dai vari esponenti della maggioranza non è funzionale alle misure da me suggerite». Si è fatta ora di pranzo, buona giornata prof, grazie e a presto! Grazie per l’intervista! ribatte lui.

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