Ollie Atkins, White House photographer, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

Rivalutare, non reinventare, Richard Nixon

3 Giugno 2023

Richard Nixon è stato uno dei presidenti più controversi della storia americana. Scomparso il 22 aprile 1994, è ricordato per essere stato l’unico presidente costretto a dare le dimissioni per evitare l’incriminazione per il caso Watergate. Vendicativo e paranoico, per anni è stato raccontato come il “cattivo dei cattivi”, da stampa e film. Tuttavia, ebbe pure importanti intuizioni in materia di politica estera. Mise fine momentanea all’impegno di forze americane in Medioriente, riabilitò la Cina come interlocutore in funzione antisovietica e indebolì il controllo geopolitico e diplomatico di Mosca sugli alleati satelliti dell’Europa centro-orientale. Ebbe, in generale, importanti intuizioni nell’ambito della distensione (détente) che andavano oltre le logiche della Guerra Fredda – fu infatti il primo presidente statunitense a visitare un paese del Patto di Varsavia, la Romania, nel 1969.

Tra le misure importanti della politica interna si ricordano l’abbandono del gold standard e la creazione dell’EPA. Seppure opportunistica, la sensibilità di Nixon in ambito ambientale è nota. L’uso massiccio del napalm americano venne giustificato per porre fine alla guerra nel Vietnam – una pagina orrenda per gli Stati Uniti. Nixon ordinò infatti il ritiro degli Stati Uniti dalla guerra più lunga fino ad allora combattuta. Tra gli aspetti più criminali e controversi si ricorda che sotto la sua presidenza gli Stati Uniti bombardarono Cambogia e Laos. La sua amministrazione – con la CIA – sostenne inoltre il golpe di Augusto Pinochet in Cile e diede mano libera a Saddam Hussein contro i curdi e infine sostenne l’esercito pakistano nei massacri in Bangladesh. Eppure Richard Nixon viveva in un’epoca in cui era ancora tollerato il dissenso nel GOP rispetto alla linea del leader: esisteva il valore degli ideali prima della scaltra lealtà nei confronti del capo-banda.

Nixon prese la decisione di dimettersi il 23 luglio del 1974. Aveva parlato al telefono con il governatore George Wallace, che gli fece sapere che non avrebbe avuto abbastanza supporto dai democratici del Sud per evitare l’impeachment alla Camera. «La mia vita politica è finita»; «ho deluso gli americani e devo portare questo peso con me per il resto della mia vita», confessò anni dopo a David Frost (Frost/Nixon – Il duello). Il giornalista rimase sconvolto da quel mea culpa. Per Nixon, le dimissioni aprirono le porte a una vita di decadenza. Eppure, era uno che non mollava: aveva sempre dimostrato un’impressionante tenacia e non si arrendeva. Pronto ad incassare i fallimenti, fino a truccare le regole del gioco democratico con il caso Watergate. Vicepresidente sotto Dwight Eisenhower, perse contro John Fitzgerald Kennedy nella corsa alla presidenza nel 1960 e contro Pat Brown come governatore della California nel 1962.

Più moderato di Barry Goldwater, Nixon vinse poi le primarie contro Nelson Rockfeller e Ronald Reagan, dunque la partita per la Casa Bianca. Ancora oggi, non è possibile – e neppure corretto – re-inventare Richard Nixon. Nemmeno a trent’anni dalla sua scomparsa. Quando si analizzano figure pubbliche occorre guardare a meriti e demeriti: le conseguenze delle loro azioni si espandono su più generazioni: è tuttavia possibile rielaborare Nixon e il suo ruolo alla luce delle sfide attuali. Qualche anno dopo le dimissioni (si) iniziò a lavorare per la sua riabilitazione politica e storica. Lo diceva Frost: «Nixon può essere riconsiderato, persino rivalutato, ma non può essere reinventato. La sua presidenza è stata distrutta dalla sua stessa criminalità, disonestà e inettitudine […]. È stato allo stesso tempo un uomo e una leggenda, una caricatura e un personaggio. Per molti era il cattivo, per altri un eroe, per tutti un enigma».

Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.