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Scuola: perché allungare le vacanze di Natale ha senso

4 Gennaio 2022

Come recita il proverbio: “l’Epifania tutte le feste porta via”. Così, il 7 o il 10 gennaio (a seconda del calendario scolastico), sette milioni di studenti torneranno in classe. La situazione dal punto di vista pandemico è critica, ma il Governo ha ribadito la sua volontà di tutelare la scuola in presenza. Si tratta di un’intenzione lodevole ma che, purtroppo, potrebbe andare a scontrarsi con la realtà. Se l’obiettivo è far perdere ai ragazzi meno giorni di scuola possibile, fra le ipotesi sul tavolo ce n’è una che è la meno considerata ma la più efficace: allungare le vacanze di Natale e recuperare i giorni persi a giugno.

Le vacanze natalizie stanno volgendo al termine e gli studenti sono pronti a rientrare nelle loro classi. «Per il Governo è fondamentale tutelare la didattica in presenza», così ha dichiarato il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi in un incontro con le Regioni. Si tratta di un intento ammirevole: in questi due anni di pandemia i ragazzi hanno perso fin troppi giorni di scuola. Togliergliene altri significherebbe aumentare il danno per loro e per la società intera.

Però, proprio da questi due anni dovremmo aver imparato che le questioni vanno affrontate in maniera razionale, che non basta una dichiarazione a mezzo stampa per inverare le nostre volontà. Non è sufficiente annunciare di voler garantire la scuola in presenza perché questo accada senza conseguenze, così come non è sufficiente dichiarare da smargiassi di aver abolito la povertà. La realtà non fa sconti.

Il 23 dicembre 2021, ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, la situazione pandemica era la seguente: 44.595 nuovi casi, tasso di positività al 4,9%, 430.029 attualmente positivi. I dati dell’1 gennaio 2022 (non consideriamo il bollettino di domenica 2 e lunedì 3 a causa del minor numero di tamponi effettuati) dicono questo: 141.262 nuovi casi, tasso di positività al 13%, 1.021.697 attualmente positivi. La curva sta schizzando verso l’alto, non vuole saperne di rallentare e manca ancora qualche giorno al ritorno in classe.

La gestione della pandemia nelle scuole era in stato confusionale anche prima dell’avvento della variante Omicron. Il protocollo introdotto a inizio novembre prevedeva che la quarantena per tutta la classe scattasse solamente in presenza di tre alunni positivi. Con un solo caso positivo era prevista la cosiddetta sorveglianza con testing: un tampone da effettuare subito a tutta la classe, con rientro a scuola previa negatività di quest’ultimo; poi un successivo tampone al quinto giorno per confermare la negatività. Con due casi positivi, invece, dalla seconda media in poi avevamo una distinzione tra vaccinati e non vaccinati: per i vaccinati e i guariti da sei mesi vi era la sorveglianza con testing mentre per i non vaccinati scattava la quarantena.

In realtà, il protocollo non è stato rispettato in modo rigoroso e in molte scuole ha regnato il caos. Tra la difficoltà di tracciamento da parte delle Asl e la mancata esecuzione dei tamponi immediati, necessari per il rientro a scuola, molte classi sono finite in quarantena con un solo alunno positivo. Tra l’altro, per rendere più frizzantina l’atmosfera, il 29 novembre era uscita una circolare firmata dai ministeri della Salute e dell’Istruzione la quale interrompeva il programma di sorveglianza con testing e introduceva la quarantena anche in presenza di un solo caso positivo. Il 30 novembre il presidente del Consiglio Mario Draghi smentiva la circolare uscita il giorno prima dichiarando che le regole sarebbero restate quelle della quarantena in caso di tre positivi.

Seppur criticando l’evidente confusione del Governo, abbiamo accolto con favore l’azione del presidente del Consiglio che ha rimesso le cose a posto. Ma era come se vivessimo in un mondo parallelo. Nelle scuole la situazione era fuori controllo e le regole raramente venivano applicate. Questo è ciò che accadeva in una situazione decisamente meno critica rispetto a quella attuale. Pensare che il rientro a scuola, adesso, non causerà problemi ben maggiori è alquanto irragionevole.

Il Governo dal 15 dicembre ha introdotto l’obbligo vaccinale per il personale scolastico e ha previsto una campagna di screening nelle scuole al ritorno dalle vacanze per garantire una maggiore sicurezza. Inoltre, sono sul tavolo varie ipotesi volte a tutelare la didattica in presenza, come l’allargamento del programma di sorveglianza con testing, in presenza di due positivi, alla fascia 5-11 anni (scuole elementari e prima media), che ora ha la possibilità di essere vaccinata. Il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga, al termine dell’incontro con il Governo, ha parlato di proposte che «alleggeriscano anche il mondo della scuola sul fronte dei protocolli, delle quarantene e dei tamponi attualmente previsti».

La didattica a distanza (Dad) è stata un amplificatore di disuguaglianze sociali e ha provocato danni incalcolabili agli studenti, soprattutto a quelli più svantaggiati. Questi danni sono stati certificati dai risultati disastrosi delle prove Invalsi (nelle scuole superiori il 44% degli studenti non ha raggiunto il livello minimo in italiano e il 51% non ha raggiunto il livello minimo in matematica), che ogni anno tutti si apprestano a commentare scandalizzati ma poi se ne dimenticano nel giro di due giorni. Per quanto possiamo dichiarare a parole che vogliamo tutelare la didattica in presenza, il Covid non si ferma di fronte alle parole e i numerosi e prevedibili focolai che emergeranno costringeranno molte classi alla Dad.

Una soluzione ci sarebbe, ma è sostanzialmente ignorata da tutti perché considerata un tabù: allungare le vacanze di Natale e recuperare a giugno i giorni persi. Il concetto di fondo è questo: visto che rientrare adesso in classe costringerebbe inevitabilmente tantissimi studenti alla Dad sarebbe meglio aspettare che la tempesta finisca, intanto procedere con le vaccinazioni, e rientrare a scuola solo quando il cielo sarà più sereno. Naturalmente i giorni persi adesso verrebbero recuperati allungando il calendario scolastico. Ma il problema è tutto qui: parlare di scuola d’estate in Italia è vietato. Devi vergognarti solo per averlo pensato. Come osi? Brutto insensibile che non sei altro! D’estate è caldo, le creature sudano, e poi c’abbiamo questo bel mare azzurro che è una meraviglia.

Tra l’altro una modifica del calendario scolastico sarebbe vantaggiosa al di là dello scenario pandemico. Parliamo del cosiddetto summer learning loss: la perdita dell’apprendimento degli studenti nel corso delle vacanze estive. Numerosi studi dimostrano come pause estive molto lunghe siano estremamente dannose per gli studenti, i quali perdono le competenze e le conoscenze che avevano acquisito. Per questo gli esperti consigliano di spalmare le pause nel corso dell’anno invece di concentrarle tutte in un unico blocco.

L’Italia in questo è un esempio negativo. Il nostro Paese detiene due primati: quello del maggior numero di giorni di lezione (200) e contemporaneamente quello delle vacanze estive più lunghe. Infatti l’anno scolastico italiano prevede un’unica pausa estiva di durata tra le 11 e le 14 settimane.

Ci sono altri Stati che bilanciano meglio il loro calendario. Leggendo l’ottimo rapporto Eurydice («The Organisation of School Time in Europe») osserviamo che in Germania, nonostante le marcate differenze di calendario tra i vari Länder, le vacanze estive durano 6 settimane. Ciononostante, i giorni effettivi di scuola per gli studenti tedeschi sono inferiori (188) rispetto ai nostri. Questo perché i periodi di scuola e di vacanza sono distribuiti meglio durante l’anno.

In Francia le vacanze estive durano 8 settimane, circa un mese in meno rispetto all’Italia. Inoltre, il calendario scolastico francese è intervallato da pause di 2 settimane ogni mese e mezzo. Sono presenti una pausa tra ottobre e novembre e un’altra alla metà di febbraio sconosciute per gli studenti italiani.

Un altro stato che organizza molto bene il calendario scolastico è la Danimarca, che possiamo utilizzare per un confronto con l’Italia in quanto detiene insieme a noi il record sopracitato di giorni passati a scuola. In Danimarca le vacanze estive durano 6 settimane, la metà delle nostre. L’anno scolastico inizia ad agosto e termina a fine giugno. Inoltre, in aggiunta alle classiche vacanze natalizie e pasquali, gli studenti danesi si fermano per una decina di giorni a ottobre e a febbraio.

Quando si discute dei problemi della scuola quello del calendario scolastico è un tema che non viene mai toccato, nonostante sia una delle maggiori cause dell’inefficienza del sistema. Non lo si fa perché è un gigantesco tabù, un privilegio trasformato in diritto inalienabile. Spesso l’Italia ha corretto le proprie storture grazie al tanto odiato vincolo esterno. Misure funzionali e necessarie, ma che elettoralmente non pagavano, sono state fatte accettare ai cittadini scaricandone la responsabilità sull’Europa matrigna. In ogni caso quelle riforme sono state fatte. Adesso il vincolo esterno è rappresentato dalla pandemia e questo potrebbe essere il momento ideale per introdurre una riforma così importante per il futuro dei nostri ragazzi.

Siamo al secondo anno di pandemia e una vera strategia per far ripartire la scuola in sicurezza non è mai arrivata. Dai banchi a rotelle, simbolo del fallimento totale della gestione Conte-Arcuri, alla confusione dei giorni attuali, dopo due anni si affronta ancora tutto in emergenza, senza una visione del futuro, e i primi a rimetterci sono i giovani, adulti del domani. Le opzioni sono due. La prima, la più semplice: torniamo in classe a gennaio costringendo molti ragazzi alla Dad. Potremmo dichiarare che sulla carta le scuole siano aperte ma de facto non sarebbe così. Comunque ne usciremmo puliti. La seconda, la più audace: allunghiamo le vacanze di Natale e recuperiamo i giorni persi in estate. In questo modo faremmo andare veramente a scuola i ragazzi e offriremmo loro un anno scolastico di tutto rispetto.

L’Italia è quel paese in cui tutti si riempiono la bocca con la parola «giovani» ma in cui i giovani sono martoriati dalle lunari e disastrose politiche pubbliche. Preferiamo indebitarci compromettendo il futuro dei nostri figli pur di ottenere una mancetta l’indomani. In un Paese che ai giovani pensa già poco, non togliamo loro anche la scuola. E se decidessimo di farlo, siamo almeno onesti e ammettiamo che no, non lo abbiamo fatto per loro. Perché avevamo la soluzione davanti ai nostri occhi, ma ci è mancato il coraggio di fare qualcosa in più del compitino.

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