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SPERIMENTAZIONE ANIMALE OLTRE LA POLEMICA

La pandemia di Covid19 ha riacceso i riflettori sui vaccini e la luce non ha risvegliato solo i no-vax, ma anche gli animalisti. A scanso di equivoci, con animalisti intendo gli estremisti e integralisti, non gli amanti degli animali tra i quali inserisco me stesso e la maggior parte delle persone di buon senso.

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Tagliamo subito la testa al toro, a oggi la ricerca scientifica volta al miglioramento della condizione umana e alla cura delle malattie prevede un certo livello di sperimentazione animale. La precisazione è d’obbligo, siccome nell’articolo tratterò solamente di sperimentazione animale in ambito di ricerca scientifica, inoltre in Europa ormai dai parecchi anni non vengo più utilizzati animali per i test di cosmetici e affini.

Perché testiamo i farmaci e perché lo facciamo sugli animali?

Uno dei pochi aspetti positivi della pandemia di Covid19 è il fatto che siamo diventati tutti un po’ esperti di trial clinici. Sappiamo che per combattere una malattia o un virus si parte dal laboratorio dove si individua un target, che sarà poi infine colpito dal farmaco.
La prima fase di individuazione del target e del proiettile (farmaco) avviene totalmente in laboratorio e non dovete immaginarvi solo provette ed alambicchi, ma oggi è un processo che avviene quasi esclusivamente in silico, ovvero usando potenti computer che simulano le interazioni tra il nostro target e i svariati tipi di proiettili.
Trovata una buona interazione tra proiettile e target si passa in vitro, dove vengono usate cellule umane ed animali e si studia l’interazione con il nostro candidato farmaco.
In questa fase di sperimentazione abbiamo circa 10000 candidati farmaci, a fine sperimentazione se tutto va bene ne avremo 1!
La fase in vitro è molto informativa, infatti, ci mostra se il nostro farmaco lega o colpisce il target biologico, ci mostra la tossicità del farmaco ai diversi dosaggi, ma purtroppo è assolutamente carente in altre informazioni. Ad esempio, non sappiamo nulla sulla risposta immunitaria, non abbiamo informazioni sulla distribuzione del farmaco nel corpo, di come interagisce con altre cellule e organi e non sappiamo come il nostro corpo lo processerà.

Potrei dilungarmi in spiegazioni molto tecniche su come un modello in vitro o un organoide (organo umano cresciuto in laboratorio) non possa ricapitolare l’estrema complessità di un sistema biologico come il corpo umano, ma penso che un esempio su tutti aiuti a rendere il concetto: gli studi sulla teratogenicità.

Teratogenesi

Una sostanza teratogena è una sostanza che produce malformazioni non nel soggetto che la assume, ma nella prole. Ogni qual volta un farmaco deve essere lanciato sul mercato richiede che si effettuino studi sulla tossicità e teratogenicità. Un triste esempio noto di sostanza teratogena è la Talidomide, un farmaco usato negli anni ’60 per trattare la nausea gravidica, estremamente efficace e maneggevole per le donne in gravidanza, ma dannoso per la prole. La Talidomide, infatti, induce focomelia (assenza parziale o totale degli arti) nei neonati ed altre terribili menomazioni.

Come mai fu usata lo stesso allora? Purtroppo, furono commessi alcuni errori fondamentali durante la sperimentazione. In particolare, il farmaco fu testato inizialmente solo sui ratti, i quali, per pura casualità, sono meno sensibili di altre specie alla Talidomide e, inoltre, non furono condotti test su animali in gravidanza, rendendo quindi impossibile rilevare gli effetti teratogeni. Tenendo a mente questi errori, quindi, possiamo sottolineare due importanti concetti: primo, che i test sulla teratogenicità vanno effettuati sempre su organismi completi e in grado di riprodursi e, secondo, che una sola specie animale non è sufficiente a garantire un’adeguata valutazione degli effetti collaterali. Infatti, proprio grazie alla tragedia della Talidomide, negli anni successive si è resa obbligatoria l’introduzione di almeno due specie nei test sulla tossicità, in modo da ridurre al minimo il rischio di approvare un farmaco poco o non dannoso per una specie, ma molto dannoso per un’altra.

Ha senso sperimentare con un topo?

Piccoli, pelosi, portatori di malattie e fastidiosi descrivendo in questo modo i topi, può sembrare assurdo che vengano usati nel 60% delle sperimentazioni e quindi costituiscano un elemento fondamentale per il progresso in ambito biomedico.

Virtualmente topi ed esseri umani condividono la quasi totalità dei geni e, analizzando le sequenze codificanti (i.e. le parti di DNA che saranno poi trasformate in proteine), notiamo una similarità pari all’85%. Ma proviamo a mettere in prospettiva questi valori: la corrispondenza genetica tra uomo e scimpanzé è del 96%, quella tra voi e un qualsiasi altro essere umano (con buona pace dei razzisti) è del 99,9%  e tra gemelli omozigoti non vi è invece alcuna differenza.
La condivisione delle stesse sequenze codificanti non è però l’unica ragione per cui i topi vengono impiegati in ricerca cosi massivamente. Infatti, oltre alla genomica i topi condividono con noi anche  i tessuti, gli apparati e la quasi totalità delle reazioni biochimiche, oltre ad essere (dato non trascurabile) semplici da allevare, facili da maneggiare e caratterizzati da un alto tasso di riproduzione.
Tutte queste caratteristiche spiegano quel 60% di uso di topi in ricerca e dovrebbero essere sufficienti a rispondere a chi solleva l’obiezione ‘ma noi non siamo topi’, arma a doppio taglio nelle mani dei detrattori della sperimentazione animale. Infatti, se da un lato vogliono sminuire l’uso degli animali in ricerca in quanto non abbastanza simili all’uomo, dall’altro propongono di usare linee cellulari e computer che, credetemi, sono meno simili all’uomo di un topo.

La sperimentazione animale oggi

Prima di addentrarci nei dettagli della sperimentazione animale vorrei mettere in chiaro una cosa, la sperimentazione animale in Europa e in generale nei paesi occidentali non ha nulla a che vedere né con la vivisezione, né tanto meno con le immagini raccapriccianti che circolano sui siti animalisti.
Dagli anni 50 sempre più laboratori di ricerca adottano la regola delle 3R, un insieme di good practices e di regole per gestire gli animali nella ricerca.

Replace: quando possibile, sostituire i modelli animali con altri modelli. Esistono sempre più modelli 3d degli organi e simulazioni al computer di sistemi complessi. Oggi abbiamo algoritmi di intelligenza artificiale che in alcuni casi simulano meglio degli animali le interazioni tra sostanza e organismo.

Reduce: ridurre quanto più possibile il numero degli animali coinvolti. In questo caso il limite principale è la statistica, infatti, per avere risultati statisticamente validi abbiamo bisogno di un certo numero di animali. In tal senso, in Europa, negli ultimi anni stiamo assistendo ad una progressiva riduzione del numero di animali utilizzati nella ricerca.

Refine: migliorare al massimo le condizioni di vita degli animali. Questo punto oltre ad essere fondamentale eticamente è di vitale importante per il successo della sperimentazione. Infatti, se gli animali sono stressati o sofferenti i risultati dei test saranno inficiati negativamente.

La regola delle 3R ovviamente si inserisce in un framework normativo europeo sulla sperimentazione animale molto severo e preciso. Ottenere autorizzazioni per lavorare con gli animali è estremamente complesso, richiede l’approvazione da parte di un comitato di bioetica e si deve dimostrare gli animali sono indispensabili per gli esperimenti indicati. Superata la barriera delle autorizzazioni, gli animali vanno acquistati e mantenuti, anche in questo caso gli standard sono altissimi, temperatura, umidità, nutrizione e stress sono parametri continuamente valutati da esperti veterinari.

Siamo animali, ma umani

Per concludere, vorrei condividere la mia esperienza personale con gli animali nell’ambito della ricerca.
Da biologo molecolare che lavorava su una terapia contro il melanoma metastatico, utilizzavo modelli animali per testare direttamente in vivo le diverse combinazioni di farmaci.
Credetemi, lavorare con gli animali è fonte di stress, le regole da seguire sono molte, si lavora in ambiente sterile e non ultimo state lavorando con organismi viventi e coscienti.
Questo va tenuto a mente quando vengono mosse accuse gravissime agli scienziati che paiono divertirsi negli stabulari a ‘torturare’ gli animali, credetemi non c’è nulla di divertente nella sperimentazione animale.
Da parte dei ricercatori c’è un’enorme riconoscenza nei confronti degli animali da laboratorio, senza i quali moltissime scoperte non sarebbero state possibili.
In Russia esiste persino una statua dedicata ad un topo da laboratorio, a dimostrazione della gratitudine degli scienziati nei confronti del sacrificio degli animali.

Purtroppo, a oggi, un certo livello di sperimentazione animale è ancora necessaria, ma non passa giorno che non venga fatta una scoperta che ci allontana un pochino di più dall’uso di animali.


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