Il 9 novembre è un giorno iconico nella storia tedesca: la resa di Compiègne alla Francia (1918), il fallimento del Putsch di Monaco (1923), la notte dei cristalli (1938), la caduta del Muro di Berlino (1989). Un secolo fa Adolf Hitler tentava di prendere il potere con la forza nella capitale bavarese. Il Putsch di Monaco fu un tentativo fallito di colpo di Stato durante la Repubblica di Weimar, quando circa duemila nazisti marciarono sulla Feldernhalle e vennero bloccati da un cordone di polizia. Sedici i morti tra i golpisti; quattro tra i poliziotti. Il Putsch di Monaco fu un evento cruciale nella storia del NSDAP, nato dalle cicatrici di una Germania post-bellica, instabile, impoverita, soggetta ai venti dell’estremismo politico e le limitazioni imposte dalle potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale. Erano quattro i problemi del Presidente della Repubblica Friedrich Ebert doveva affrontare nel 1923.
Primo, l’occupazione della Ruhr da parte dell’esercito francese e belga perché la Germania tardava nel pagare le riparazioni. Secondo, la minaccia della spaccatura della repubblica. Terzo, la svalutazione del marco. Quarto, l’incremento del consenso dei partiti estremisti. Il trattato di Versailles del 1919 impose pesanti riparazioni di guerra, causando difficoltà economiche, umiliazione nazionale e senso di ingiustizia. Il terreno ideale affinché gruppi estremisti – come i nazisti – potessero prendere il potere. D’altronde la posizione della Germania dopo la Grande Guerra come una delle principali potenze europee si era indebolita. Hitler riteneva che la nazione fosse stata tradita dal suo stesso governo (“pugnalata alle spalle”). Se la prese dunque con i democratici, i marxisti e gli ebrei. Il futuro Führer era ossessionato dal senso di missione a livello politico. Per mesi, nelle birrerie di Monaco si prodigava nella migliore funzione che sapeva esercitare: quella dell’agitatore politico.
Durante le sue prime performance di oratore nelle birrerie di Monaco copiava platealmente le gesticolazioni del suo idolo, Benito Mussolini. Approfondiva la cultura antisemita, particolarmente fiorente nell’Europa occidentale e teorizzava la necessità di una dittatura per risollevare la Germania. Il predicatore austriaco si sentiva al pari di Martin Lutero, Federico II di Prussia o Richard Wagner. Disprezzava il Parlamento, il Cancelliere Gustav Stresemann, l’élite bavarese. Tra i partecipanti del Putsch di Monaco, un generale pluridecorato – Erich Ludendorff; un asso dei cieli – Hermann Göring; un intellettuale baltico – Alfred Rosenberg; un impiegato in una ditta di concimi – Heinrich Himmler. L’obiettivo dei putschisti era quello di rovesciare il governo bavarese per prendere il controllo dello Stato. Un secolo fa le SA marciarono verso la Birreria Bürgerbräukeller a Monaco e incontrarono la resistenza armata delle forze di sicurezza.
L’insurrezione fu repressa nel sangue. Göring fu ferito alla gamba – scappò e fu curato da un medico ebreo. Hitler riuscì a tornare a casa, ma fu arrestato due giorni dopo. In carcere con lui finirono l’amico Rudolf Hess ed Emil Maurice. Condannato a cinque anni per alto tradimento, alla fine Hitler scontò solo pochi mesi a Landsberg. Qui scrisse il Mein Kampf, dove delineò le sue idee politiche e razziali, nonché la sua visione per il futuro della Germania. Sebbene fallì, il Putsch di Monaco ebbe importanti conseguenze politiche. Portò Hitler e il NSDAP all’attenzione di un pubblico esteso, aumentando la loro popolarità, preparando il suo mito e il sostegno tra gli ambienti nazionalisti, conservatori e borghesi. Il caporale austriaco dichiarò in seguito che il fallimento del Putsch fu la più grande fortuna della sua vita. Uscito di prigione cambiò tecnica: il potere il Germania andava preso legalmente. Così fece.