È anticolonialismo anche quando non ci piace

15 Ottobre 2023

Nella seconda metà del ‘900, in Occidente si è assistito all’emergere, internamente alla sinistra giovanile, di una forte fascinazione per le lotte di liberazione nazionale nel terzo mondo.

L’esoticità dei contesti, e degli immaginari ad essi collegati, in cui avvenivano tali rivoluzioni, in parallelo ad una crescente disaffezione verso l’esperienza sovietica, ha fornito una valvola di sfogo al bisogno di idealità e purezza ideologica di più generazioni di militanti e attivisti.

Proprio in virtù della matrice socialista di tali lotte si è affermato non solo un senso di fratellanza ideologica, ma anche uno di solidarietà verso tali mondi.

Il crollo dell’URSS ha determinato, inoltre, una mutazione nella natura delle lotte anticoloniali, che sono continuate, ma slegate da una proposta di alternativa sistemica al capitalismo. Nonostante ciò, l’anticolonialismo è vivo e vegeto, forse oggi più di ieri.

Lo scenario internazionale contemporaneo è caratterizzato da una fase di transizione da un’egemonia liberale statunitense ad un nuovo ordine multipolare. Le molteplici contraddizioni del presente stanno aprendo spazi di conflitto inediti, sfruttati perlopiù da movimenti e organizzazioni che, pur essendo anticolonialisti nel loro ruolo storico, non intercettano il sostegno dell’anticolonialismo occidentale, in quanto spesso caratterizzati da una visione dei diritti umani incompatibile con quella del progressismo occidentale.

Esempio emblematico sono le politiche implementate dall’organizzazione di guerriglia, guidata da un’ideologia fondamentalista islamica, che ha posto fine all’occupazione militare statunitense in Afghanistan.

Il rischio che corriamo, a causa della nostra fede nell’inalienabilità dei diritti umani, è quello di non saper riconoscere il carattere progressivo, in termini di dialettica tra Occidente ed ex mondo coloniale, di tali lotte.

Lotte la cui stessa esistenza origina dal caos generato dalle nostre fallimentari politiche estere, basate su un universalismo astratto.
Possiamo non essere d’accordo con la visione politica e valoriale di cui queste forze sono espressione, senza per questo negare un fatto storico quale la loro effettiva autorità di governo, nonché il diritto al riconoscimento da parte di una comunità internazionale che non scopre oggi la propria eterogeneità.

In seguito ai processi interni che li attraversano vi sono paesi appartenenti all’ex mondo coloniale che, da parte dell’Occidente, sono condannati all’esclusione dalla comunità internazionale, con conseguenze che vanno dall’isolamento diplomatico ed economico fino al blocco degli aiuti umanitari.

Tale reazione occidentale è figlia di una concezione delle relazioni internazionali basata sull’idealismo liberale. La stessa concezione che è stata alla base di tutte quelle scelte politiche che, attraverso operazioni militari e tentativi di ingegneria istituzionale e sociale, hanno destabilizzato intere aree geografiche in nome dell’esportazione della democrazia, minando le premesse stesse di stabilità necessarie affinché essa possa nascere.

È possibile riconoscere il moto progressivo della storia anche nel contesto di processi interni che non assecondano i desideri etici ed estetici del progressismo occidentale.

Siamo già entrati nel pieno di un secolo in cui nodi intrecciati ai tempi del colonialismo vengono al pettine, e dunque o svincoliamo il riconoscimento di una lotta quale anticoloniale dal suo basarsi su valori a noi prossimi, o non riusciremo ad assumere una prospettiva davvero realista delle relazioni internazionali, rimanendo ancorati a una concezione del mondo che la storia ha già superato e reso obsoleta.

1 Comment

  1. Ragionamento sedile: ribaltabile. perché dovremmo accogliere movimenti antidemocratici, dittature, assassini psicopatici vari solo perché anticoloniali.

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