Il 3 ottobre 2014 l’etichetta discografica Woodwrom Label pubblica il terzo album del gruppo Fast Animals and Slow Kids. L’album si chiama “Alaska” ed ha come copertina una finestra di una casa vacanze umbra chiamata “Il Macchione”, sulle rive del lago Montepulciano. Proprio tra quelle mura i quattro componenti del gruppo (isolati da tutto per circa un mese) danno vita ad un album che ti porta a vivere sensazioni e pensieri che fanno parte di noi, volenti o nolenti.
In un lontano e freddo 27 dicembre 2013 mi trovai per puro caso allo Smart Lab di Rovereto. Ai tempi ero un ragazzo musicalmente confuso, spaziavo dal classico “periodo metal” a rigurgiti delle scuole medie quali Lady Gaga o Mika. Quella sera vidi un concerto di quattro sgangherati giovincelli delle colline umbre che si trovavano in tour dopo il loro secondo album. Stordito da quelle due ore di concerto me ne uscì dicendo solo che avevo trovato una musica “che fosse mia”. Niente di possessivo, per carità, però incarnavano tutto ciò che cercavo nella musica. Forza,espressività, rabbia mischiate ad arte con l’eleganza. In quella fredda notte avevo scoperto i Fast Animals and Slow Kids.
Neanche il tempo di affezionarmi al loro album “Hybris” che nemmeno un anno dopo, il 3 ottobre 2014, buttano fuori il loro terzo lavoro, “Alaska”. Inizio quinta superiore, dubbi esistenziali su cosa fare della mia vita e loro se ne escono con un album simile. Per me fu subito epifania.
Non ho mai creduto in etichette “fisse” per definire gruppi o artisti, quindi mi rifaccio alla loro definizione di wikipediana memoria: gruppo alternative rock che nasce a Perugia nel lontano 2008. Il loro sound si può ricondurre, a livello più internazionale, ai Titus Andronicus, ai Cloud Nothings e ai Biffy Clyro. Insomma, un rock intenso, comunicativo che ti colpisce come un faro in piena notte. Finisce per avvolgerti.
“L’Alaska è uno spazio enorme senza punti di riferimento. Come quando spegni la luce di una stanza in cui non sei mai stato. Alaska è il nome di una ragazza. Ed è una ragazza gelida. Alaska è l’ultimo ed esaustivo passo armonico prima di buttare via tutto e reiniziare dalle basi, ripartire con qualche anno in più ed una certezza che ora come ora non c’è”.
Aimone Romizi, press release di Alaska
Non c’è migliore definizione del nome dell’album che quella data da un componente. Parto da questa citazione per esplorare qui i meandri di quest album traccia per traccia.
1. Overture
Apertura dell’album in salsa psichedelica che ti incastra in un’atmosfera agrodolce. Bisogna mettere nel mood di un “viaggio” l’ascoltatore e queste melodie di archi distorti sono l’ideale: d’altronde lo dice la canzone stessa “Scusa, mi lascio andare un po’ ora, dopo ritornerò”. Bisogna prepararsi quindi ad un viaggio lungo, per l’esattezza, 38 minuti e 20 secondi.
2. Il mare davanti
Ed eccoci improvvisamente buttati nel frastuono di questa seconda canzone. Una canzone che porta con sè un senso di rassegnazione e arrendevolezza. “Non ho paura del mare davanti, ma senza i miei denti ho solo rimorsi”. Ciò che ci troviamo davanti non è spaventoso o pericoloso, semplicemente noi non abbiamo i mezzi per affrontarlo. Il problema, le difficoltà sono da ricondurre a noi quindi in quanto manchiamo di forza per reagire, per affrontare il “mare” davanti. Inoltre queste difficoltà sono personali, non condivisibili con nessuno: questo porta poi ad un forte sentimento di solitudine.
3. Come reagire al presente
Ho usato volutamente la parola “reagire” nella presentazione de “Il mare davanti”. Questo album non è un album arrendevole, volto ad una mera descrizione asettica di stati d’animo negativi. Lo fa subito capire con questa canzone: ok, abbiamo fatto capire cosa ci inquieta del futuro, della vita davanti. Ora però dobbiamo capire come reagire. La canzone inizia con il classico stato d’animo adolescenziale “lontano da tutti, spaventato dai consigli di chi ha già visto, ha già sentito, ha già provato, ma non è me e non può capire, non può aiutarmi.” I problemi sono miei, nessuno li ha mai vissuti e quindi fatemi fare questa “guerra” da solo.
Avviene poi una maturazione nel corso della canzone stessa: i consigli, il parere di chi ci sta vicino contano e pensare di essere gli unici a soffrire porta ad un isolamento “tossico” (“Ora sei pronto per dire a tuo padre che aveva ragione” ). Uscire quindi dal guscio in cui l’adolescenza ci getta.
4.Coperta
Ed eccole le situazioni a cui dobbiamo reagire. “Ti saprò ascoltare, farò finta di capire […] Mi sentirò importante anche se per te son morto.” A quanti di noi è capitato di sentirsi inadeguati all’interno di una relazione (non solo di carattere sentimentale, ma più in generale). Avere la sensazione che di fronte ci sia una persona che ci sfugge, con cui non riusciamo a relazionarci come vorremmo e questo ci porta ad ansie e “pare” (cosa sbagliamo noi? cosa dobbiamo cambiare?). Questo flusso di pensieri finisce poi per causarci un profondo gelo “interno”, a cui non sappiamo più come reagire (“Non è più inverno per noi,ma dammi un’altra coperta”).
Arriverà però il momento in cui ci si sveglia, in cui si capisce come forzare certe cose porti solo a peggiorarle. Non siamo fatti per stare bene con tutti e non dobbiamo forzarci. E quindi, come recita la descrizione del video: “Dare un taglio con il passato, alla fine di una storia, può essere molto complicato. A meno che tu non abbia un’idea abbastanza precisa su che cosa tagliare.” .
5. Te lo prometto
Mettiamo da parte il vittimismo. Ci sono relazioni dove i “lupi” siamo noi. Come presentato nel pezzo prima, ci sono relazioni in cui bisogna tagliare i ponti. A costo di fare del male all’altra persona. Ecco, questa canzone presenta in maniera estremamente cruda ciò che possiamo causare noi nell’altra persona. “E quando ti fiderai di me saprò ripagarti con coraggio, una lancia nel costato tra fegato e reni”. Ognuno è vittima e ognuno è carnefice.
Pensare di essere sempre dalla parte “lesa” porta ad un vittimismo che non ci aiuta a stare bene. E’ giusto prendere coscienza del fatto che siamo anche noi a causare sofferenza, seppur ci dia fastidio ammetterlo.
6. Calci in faccia
Abbiamo fatto cenno alla “uscita” dal guscio adolescenziale facendo affidamento sulle persone a noi vicine. Queste persone inevitabilmente con i loro consigli finiscono spesso anche per dare un giudizio sulla nostra situazione. Questo, per quanto può spesso essere la molla che ti spinge alla svolta, finisce per crearci un senso di insicurezza. “Quanto vorrei fuggire dal giudizio degli altri e dalla mia insicurezza che mi lega ai palchi da quasi tredici anni”. Ecco, per i FASK la via di fuga dall’insicurezza sono i palchi, i concerti.
Sta ad ognuno di noi trovare un proprio angolo sicuro, dove “scappare” dai pensieri altrui e concentrarsi sul nostro stare bene.
7. Con chi pensi di parlare
Ecco la canzone senza dubbio più cruenta dell’album sia per suoni che per contenuto. Quanto dobbiamo stare male per fare stare bene la persona al nostro fianco? E se ci rendiamo conto che per far stare bene l’altro dobbiamo fuggire? Ne abbiamo il coraggio? Spesso è più difficile vedere che il problema siamo noi. Perchè da un’altra persona possiamo scappare, ma da noi come facciamo?
Questa canzone non ha l’obiettivo di dare alcuna soluzione, anzi. A volte l’unica cosa da fare, per il bene dell’altro, è scappare, allontanarsi. Magari finire col farsi odiare. “Fuggirò perchè ti proteggo.”.
8. Odio suonare
Qui i FASK prendono una sorta di distacco: il loro album non ha un contenuto di carattere messianico. Non hanno in mano la verità universale e nemmeno vogliono averla, non hanno i mezzi o le ambizioni per raggiungerla. “Odio pensare che la gente potrebbe credere alle mie parole. Non posso aiutarvi e non perchè non voglia, ma perchè non sono adatto.”
Questo non è un album fatto di “cose giuste”, ma fatto di “cose vissute”, di esperienze che vengono riportate dopo essere state elaborate e metabolizzate da chi ha scritto le canzoni. Per la verità si bussi altrove.
9. Il vincente
E lamentiamoci un po’ dai. Non mi piace quello che è il mio ruolo non solo nel mondo, ma nella mia stessa vita. Torniamo quindi un ambiente più acustico, più da ballad, quasi arrendevole perchè alcuni aspetti della mia vita proprio non li capisco e non riesco ad elaborarli. Cosa abbiamo fatto di male? ” Che colpa abbiamo noi? Noi concorrenti al gioco a premi che è la vita.”. Insomma, non capisco quale è il mio obiettivo, dove sto andando con le mie azioni, con i miei progetti, i miei sogni.
Il finale della canzone così distorto porta proprio l’ascoltatore a percepire la confusione mista alla disperazione di chi non sa dove sta andando. A volte sembriamo vincere, ma vinciamo per raggiungere cosa? Non c’è nulla di più effimero di essere un “vincente” in qualcosa che non conta nulla per noi.
10. Grand Final
“Condoglianze, Universo: hai perso!” Ecco all’improvviso, sul finale il moto d’orgoglio. Il futuro è una trappola, ma “di fronte alla morte noi siamo di più”. In fondo è questo quello che rimane, i legami forti sono ciò che ci possono aiutare, se sappiamo come puntarci. Bisogna sapere solo capire quali sono i legami veri, separarli e valorizzarli dagli altri. Certo, questo non è facile: tra il dire ed il fare c’è il mare (davanti). Però sembra l’unica strada.
8 minuti di inno alla abnegazione, alla resistenza alle insicurezze ed incertezze della vita che chiunque di noi si trova ad affrontare. Viene così chiuso l’album, dando una risposta a come reagire al presente. Sempre secondo la filosofia di quei quattro ragazzi che vengono da Perugia.