È una di quelle storie d’amore travagliate, fatte di tira e molla, di odio profondo e di passioni impetuose. Una storia d’amore come quelle dei film, quelle che fanno sdilinquire i cuori teneri, quelle dove puoi pure separarti, rinnegare l’altro, insultarlo, dirgli di non volerlo mai più vedere, ma poi, sul finale, quasi per magia, ti rincontri, ti innamori ancora e ti baci fortissimo sotto la pioggia.
Loro sono Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Giuseppe è sbarbato, ha i capelli pettinatissimi e una pochette di seta piegata a tre punte. Matteo è un pochino sciamannato, diciamolo pure, ha la barba incolta e una collezione di felpe vivaci nell’armadio. Giuseppe ha una voce strana, nasale, che ammalia le signore. Matteo ha una parlata un po’ più roca, non particolarmente soave. Uno è pugliese, di Volturara Appula, l’altro è lombardo, milanese doc. Uno si diletta nel costruire frasi che non hanno senso, l’altro ama ripetere liste infinite di cose a caso.
Uno è nebuloso e incomprensibile, l’altro è rude e diretto. Uno ostenta una certa finezza, dandosi l’aria da uomo di classe, anche se la classe è naturalezza, e invece lui si vede che la forza, che la accentua, che la perverte in kitsch. L’altro pare voler mostrare una leggera sciatteria, pensando che lo faccia uomo di popolo: mi sbottono come voi, ho caldo come voi, sudo perfino come voi.
Sono completamente diversi, è vero, eppure l’amore a volte è così strano, e loro è come se si completassero a vicenda.
C’è da dire che litigano e si lasciano spesso, ma, quando succede, poi si lanciano frecciatine cercando di far ingelosire l’altro. Gli amici più stretti ormai li conoscono e non ci cascano più, tanto si sa come va a finire con quei due.
La loro storia inizia dopo le elezioni del 2018: Giuseppe è un avvocato semi-sconosciuto, docente di diritto privato, indicato come futuro ministro della Pubblica Amministrazione in un’inusuale lista di un ipotetico governo Di Maio; Matteo è il leader della Lega, quello famoso della coppia.
Dopo un estenuante periodo di consultazioni si trova l’accordo per un governo formato da M5s e Lega, conosciuto anche come governo gialloverde. Il problema è che sia il capo del M5s, Luigi Di Maio, che il capo della Lega, il nostro Matteo Salvini, ambirebbero a comandare, a essere loro i capi, ma il premier è uno solo. Allora trovano una soluzione: mettono come presidente del Consiglio uno sconosciuto, il buon Giuseppe, e loro scelgono di fare i vicepremier, di fatto teleguidando il loro superiore.
È proprio qui che succede qualcosa, che Cupido scocca i suoi dardi. Matteo e Giuseppe fanno tante cose insieme: i decreti sicurezza contro l’immigrazione, Quota 100, il reddito di cittadinanza, il decreto dignità. Insomma, qualche danno al Paese lo apportano, d’altronde i politologi dicono che il loro sia stato il governo più populista della storia d’Italia, però su, stai mica a guardare: sono così belli insieme, sorridono, si amano.
Durante l’estate del 2019, però, ecco che arriva il primo litigio tra i due. Matteo si monta la testa, d’estate vuole divertirsi, dice. Lo trovi spesso sulle spiagge romagnole, con la panza all’aria e un mojito in mano. Sta dietro la console, spara musica di dubbio gusto, beve un sorso e fa festa. Girano voci che Matteo parli spesso in giro della sua relazione con Giuseppe. Dice che non funziona più, che non è più come una volta, che è impossibile starci insieme, che si sente le mani legate e vorrebbe provare nuove esperienze. In due parole: pieni poteri.
Smargiasso, strafottente, alla ricerca di un pretesto per chiudere tutto, Matteo è pronto a diventare re. Ci prova, ma prende una tranvata dritta in testa: Giuseppe, infatti, riesce a formare un’alleanza diversa, stavolta giallorossa, insieme agli arcinemici di Matteo, quelli di sinistra, il Pd. Non solo, Giuseppe fa un discorso al Senato dove bacchetta il suo ex compagno di fronte a tutta l’aula, svergognandolo e mettendo in fila tutte le sue bischerate. E pensare che una volta era tutto timidino, prima di parlare chiedeva pure il permesso.
È uno smacco clamoroso per Matteo, che si ritrova single e disperato. Intendiamoci, il nuovo governo non è che sia proprio un granché: fa scorrazzare carri armati russi in giro per il paese, sforna misure come cashback, bonus, superbonus e ancora altri bonus, roba che pare una lotteria. Ma forse è proprio per questo che fa ancora più male. L’avesse lasciato per un tipo brillante, Matteo l’avrebbe pure capito: «Ma per questa banda di rincitrulliti qui?», si chiede. Era molto meglio lui, sia di corpo che di cervello, pensa tra sé e sé.
Giuseppe sta benone, sembra cambiato, e Matteo ripensa amareggiato a tutti i bei momenti passati insieme: a respingere barconi per esempio, o a tessere lodi a Putin e Trump, ah i bei tempi andati!
Giuseppe viene chiamato dal nuovo compagno il «punto fortissimo di riferimento dei progressisti», e Matteo ci rimane male: un po’ perché a lui un nomignolo così dolce non era mai venuto in mente e un po’ perché, quando stavano insieme, Giuseppe si era detto orgoglioso di essere populista e sovranista, e populista lo è rimasto anche adesso, sì, però ora combatte con fervore «le destre» e viene blandito dalla sinistra manco fosse Mitterrand.
Che gli sarà successo? Forse quella che usava con lui era soltanto una maschera? Qual è il vero Conte, l’uno o il due? Peccato che la risposta non esista, perché Conte è così, è camaleontico, prende la forma del contenitore in cui è inserito, è liquido nella forma e gassoso nei contenuti, è un libro da colorare.
Salvini continua a pensarlo, a sognarlo, eppure lo martella in continuazione, lo marca stretto. Apparentemente si direbbe che lo odi, ma lo vedi che quando ne parla gli sorridono gli occhi.
Nel frattempo, oltre ai danni che la loro prima love story ha provocato, si sono aggiunti quelli della seconda: questo Giuseppe, infatti, ha questo brutto vizietto d’essere incapace, però ragazzi che passione che ci mette, e quanto è bello, e che savoir-faire, cosa vuoi dirgli?
Intanto scoppia pure una pandemia, e l’avvocato pugliese si ritrova catapultato al centro della scena, a dover gestire un momento storico delicatissimo, a dover unire e allo stesso tempo rassicurare il paese: lo fa con le consuete conferenze stampa notturne. È il periodo in cui nascono dei gruppi Facebook, le cosiddette «bimbe di Conte», le quali osannano il premier per le sue doti estetiche sensazionali.
L’Italia è infatuata di quest’uomo che guida tutti come un intrepido veliero nella tempesta. Questo fa aumentare vertiginosamente la gelosia del povero Matteo, che reagisce attaccandolo ancora di più. Ma Giuseppe sembra invincibile, qualsiasi cosa tocchi diventa oro, è il re Mida di Volturara Appula.
Una sera, in conferenza, Giuseppe dà a Matteo (e alla sua cara amica Giorgia) del falso e dell’irresponsabile e, bello tronfio, afferma: «Devo fare nomi e cognomi». Lo fa con l’aria fredda di chi non ha scrupoli, ma mi piace pensare che, pronunciando quel nome, se avessimo inquadrato i suoi occhi, questi avrebbero brillato un po’, come a suggerirgli che al cuor non si comanda. Poi, non soddisfatto, Conte conclude: «Se ha qualche proposta da portare la porti guardando negli occhi tutti gli italiani». Matteo è affranto, ma quali italiani, gli unici occhi che vorrebbe guardare sono quelli di Giuseppe.
Le offensive di Salvini continuano, quasi come a voler dimostrare che lui è ancora lì, esiste, ed è molto innamorato. Conte non gestisce molto bene le prime ondate di Covid, poi arrivano i primi vaccini, ma tra padiglioni, primule e Arcuri quel maledetto sentimentale di Giuseppe non è molto incisivo. L’Unione Europea crea il Recovery Plan, un piano di aiuti per riparare i danni economici e sociali della pandemia, e l’Italia deve scrivere un proprio piano nazionale, il Pnrr, contenente i vari progetti da sviluppare. Anche qui Conte non brilla per capacità, nonostante si vanti falsamente che è solo grazie a lui se abbiamo portato a casa il bottino.
A gennaio 2021, un furbo e smaliziato fiorentino, Matteo Renzi, fa cadere il governo di Giuseppe Conte. Non si riesce a trovare un’altra maggioranza, il periodo è molto complicato, così il presidente Mattarella decide di chiamare Mario Draghi, il più autorevole tra gli italiani, per formare un governo di larghe intese.
Giuseppe e Matteo si azzuffano ancora un po’, ma spesso dicono le stesse cose, la pensano allo stesso modo: e allora che ti azzuffi a fare? Pian piano quella forza attrattiva dell’amore che non muore mai entra in gioco, tra un occhiolino di nascosto e un bacino schioccato da lontano. Intanto, nell’agosto del 2021, Giuseppe Conte viene nominato presidente del M5s.
Il primo avvicinamento avviene con le elezioni del presidente della Repubblica: Giuseppe e Matteo si cercano, di giorno fanno finta di non conoscersi, ma di notte si telefonano, chiudi tu, no dai chiudi tu, e tramano di nascosto. Matteo avrebbe pure i numeri per eleggere il suo presidente preferito insieme ai propri amici, ma come un romantico d’altri tempi preferisce mettere in secondo piano queste quisquilie politiche per ritrovare l’amore.
Ritrova la mano di Giuseppe su un nome: Elisabetta Belloni. Sono giorni di intense trattative, i partiti si incontrano, i leader si telefonano, Mentana colonizza il palinsesto di La7. Mentre si ragiona su una rosa di cinque nomi, Matteo e Giuseppe escono prima di cena, i microfoni dei giornalisti li accerchiano, e loro, con parole molto simili, parlano di «una donna» alla presidenza della Repubblica. Tra i vari nomi che girano, l’unico femminile è quello, appunto, di Elisabetta Belloni.
Tutti i media danno la cosa per fatta, finché non si viene a scoprire che questa scelta non è stata concordata con nessun altro partito: è stato uno scatto in avanti dei due furfantelli innamorati per cercare di fregare tutti gli altri e scappare via da soli. Una luna di miele. Bisogna pur aggiungere che Belloni è l’attuale capo del Dis, il capo dei servizi segreti, e dunque la sua ascesa al Quirinale sarebbe una forte sgrammaticatura istituzionale. L’operazione non va a buon fine, viene rieletto Sergio Mattarella ed entrambi ne escono da perdenti: ma vuoi mettere quel brivido, quell’esperienza di quella sera? Impagabile, eccitazione purissima.
Il governo di Mario Draghi va avanti, e Giuseppe e Matteo iniziano a conoscersi di nuovo, a riscoprirsi, come se fossero una coppia al primo appuntamento. E va bene che se ne sono dette di tutti i colori, ma hanno gli stessi hobby, le stesse passioni e, nonostante prendano due strade diverse, poi si incontrano sempre nel punto d’arrivo. Vorrà dire qualcosa.
Il 24 febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina, provocando una guerra in piena Europa: l’Occidente si schiera a fianco del popolo ucraino, condannando l’ingiustificata offensiva russa e la barbarie orchestrata da Putin, imponendo sanzioni alla Russia e armando la resistenza di Kyiv. Tutto l’Occidente tranne qualche irriducibile, che tra antiamericanismo, finto pacifismo e fascino per i dittatori si fa portatore dell’agenda di Putin, la quale trova tra le sue voci principali la richiesta di uno stop all’invio di armi all’Ucraina.
Tra questi irriducibili non potevano mancare Giuseppe e Matteo, i quali chiedono a gran voce il disarmo dell’Ucraina per «porre fine alla guerra», senza crucciarsi del fatto che disarmando l’Ucraina si porrebbe fine all’Ucraina stessa.
Fortunatamente su questo rimangono inascoltati, ma i due si trovano a capo di due partiti che perdono regolarmente consensi, e allora cercano di sbattersi, di fare qualsiasi cosa pur di farsi vedere, creando non pochi problemi alla stabilità del governo. Dalle continue richieste di uno scostamento di bilancio (un modo più gentile per chiamare il debito a carico delle future generazioni), alla difesa delle corporazioni di tassisti e balneari, in opposizione alla necessaria riforma della concorrenza, Giuseppe e Matteo fanno fronte comune, si accarezzano con dolcezza.
Tutto questo fino ad arrivare allo strappo della settimana scorsa, che porterà alla caduta del governo Draghi. A dare il via alle danze è Giuseppe, il quale non vota la fiducia al governo. Draghi, appurato il venir meno dell’iniziale patto di fiducia nella maggioranza, va a dimettersi, ma il presidente Mattarella rifiuta le sue dimissioni e lo rinvia alle camere la settimana successiva per verificare la presenza di una maggioranza. Arriva il fatidico mercoledì e, dopo un eccezionale discorso del premier, Matteo, insieme all’amico Silvio, decide anch’egli di non votare la fiducia, facendo cadere definitivamente il governo di Mario Draghi e portando l’Italia a elezioni anticipate.
Anche in questo caso l’operazione è congiunta: Giuseppe la comincia, Matteo la conclude. Strade diverse, stessa destinazione.
La storia della legislatura più squinternata della Repubblica può essere riassunta in un ciclo che inizia con un bacio tra Giuseppe e Matteo e finisce con un bacio tra Giuseppe e Matteo. Chi parlava di fine del populismo, chi sosteneva che gli scriteriati incendiari fossero stati ammansiti dalla forza della ragionevolezza, ci aveva visto male e, soprattutto, non aveva considerato un dettaglio fondamentale: che l’amore, a volte, è talmente potente da sfasciare un Paese.