Questa è una lettera da uomo a uomo sull’importanza di riconoscersi come colpevoli
L’11 Novembre è stato il primo anniversario dell’uccisione di Giulia Cecchettin. Ricorrenza che cade esattamente due settimane prima del 25 Novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nell’ultimo mese i social network si sono riempiti di riflessioni, opere d’arte, analisi, statistiche. Sono state tantissime le donne che hanno realizzato, o almeno condiviso, contenuti che generassero coscienza rispetto allo stato della violenza che noi uomini italiani esercitiamo su di loro.
La nostra risposta a questi tentativi di informazione e sensibilizzazione non è stata all’altezza della situazione. In ogni contenuto la cui cui diffusione fosse rilevante, sia in riferimento all’anniversario dell’uccisione di Giulia che del 25 Novembre, si trovano innumerevoli commenti di uomini impegnati a negare l’esistenza del patriarcato, rimuovere la matrice maschilista dell’atto omicida di Filippo Turetta, quando non direttamente fare umorismo su violenza e femminicidio.
È desolante constatare l’indisponibilità di noi uomini, intesi come collettivo, a riconoscerci come colpevoli. Soprattutto perché noi non siamo semplicemente parte del problema: noi siamo il problema. E non abbiamo fatto altro che dimostrarlo ulteriormente. L’immaturità della nostra reazione è preludio di qualcosa di orribile: i femminicidi in Italia continueranno, per tanti anni. Ciò avverrà perché non stiamo innestando nessun processo di autocritica collettiva che permetta un cambio di mentalità. La cultura patriarcale internamente al mondo maschile continuerà, e con essa tutte le forme di violenza di cui le donne sono vittime.
Aldilà di questa triste constatazione, in tutto ciò, al termine di questo Novembre, ad essermi rimasto impresso nella mente più di ogni altra cosa è il volto di Giulia. Non so per quale ragione, non so perché proprio ora e non un anno fa. Sta di fatto che mi sono trovato più volte a cercare sue foto su Google. Giulia con le sue amiche, Giulia con la famiglia, Giulia che sorride. Non sono una persona né religiosa né spirituale, eppure, dopo tanto sentir parlare di lei, giorno dopo giorno, è entrata a suo modo nella mia vita, ho iniziato a sentirla come una persona a me vicina, quasi come una sorellina. Ma Giulia non c’è più. Giulia è stata uccisa. Da un uomo. Per questo guardo la penso tanto, sì, ma con gli occhi bagnati.
Volevo provare a dire qualcosa dopo quest’ultimo 25 Novembre. Volevo scrivere qualcosa da una prospettiva maschile che non fosse la solita autodifesa o minimizzazione. Ho provato a mettere ordine nella mia testa attraverso analisi e riflessioni. Ma la verità è che nella mia testa, in questo momento, su questo tema, ordine non ce n’è. Non tanto perché senta di non capire quanto sta accadendo. Quanto perché le emozioni mi travolgono. Ho deciso allora di lasciarmi travolgere e di scrivere liberamente, permettendo che siano le emozioni a guidarmi.
È a tutti gli uomini come me che voglio parlare. Soprattutto a quelli che sono profondamente convinti di non essere capaci, né di voler commettere, atti come quello che hanno tolto la vita a Giulia, e proprio per questo hanno sviluppato un senso di fastidio verso la richiesta del femminismo di considerarsi come parte del problema, come colpevoli.
Prendiamoci un momento con noi stessi e proviamo a ripercorrere le tappe della nostra vita. Pensiamo alle nostre relazioni, alle nostre amicizie femminili. Pensiamo ai comportamenti ed ai pensieri che abbiamo dedicato a queste donne. A come le abbiamo concepite. A che ruolo abbiamo assegnato alla loro presenza nella nostra vita. Pensiamo a come anche nel nostro modo di stare al mondo si possano riscontrare elementi di sessualizzazione, oggettificazione, possesso ed oppressione tipici di questo mondo patriarcale.
Realizziamolo con noi stessi. Autorizziamoci, in questo spazio intimo che è la nostra coscienza, a riconoscere i mostri che ci abitano. Non siamo solamente parte di questo mondo: ne siamo figli. Lo siamo tutti. Siamo tutti figli sani del patriarcato. E come figli sani del patriarcato ci comportiamo.
Non serve arrivare ad uccidere una donna per poter rientrare nella categoria di “mostro”. Immagina se le donne a noi vicine, come può essere la nostra ragazza, le nostre amiche, nostra sorella, nostra madre, potessero sapere tutti i pensieri che abbiamo dedicato alle donne nel corso della nostra vita. Dove si sono posati i nostri occhi. Immagina se queste donne potessero avere accesso a tutta la nostra cronologia web e sapere su quali categorie porno ci siamo masturbati e sull’età rappresentata di quei soggetti. Pensa se potessero ascoltare tutte le battute che abbiamo fatto in contesti di soli uomini. Tutte le opinioni sulle donne che abbiamo espresso. Se potessero sapere di tutti i silenzi con cui abbiamo legittimato comportamenti maschilisti di uomini a noi vicini per pura convenienza. Cosa penserebbero di noi?
Siamo davvero completamente innocenti rispetto a tutto ciò che subiscono le donne? Davvero non facciamo parte del problema? Davvero in nessun momento siamo stati complici della cultura che ogni giorno violenta, stupra ed uccide le donne?
Oggi il mio tentativo vuole andare oltre il proporvi una riflessione, vorrei farvi emozionare. Per questo vi chiedo di prendervi un momento e fare un piccolo esercizio: osservate una qualsiasi foto di Giulia su Internet. Guardatela negli occhi. Fatelo davvero, riprenderete dopo la lettura di questo articolo.
Giulia aveva 22 anni quando non tornò più a casa. Più o meno la stessa età di tante delle donne che ti ho chiesto di provare ad immaginare mentre accedono al quel nostro lato di vita da uomo a cui le donne non accedono mai. Quel suo sguardo, lascia che entri nella tua vita. Soprattutto nei momenti in cui ti relazioni con una donna. Uno sguardo non può farti del male. Può invece accompagnarti ed aiutarti a chiederti costantemente se ne sei degno mentre pensi ciò che pensi, mentre fai ciò che fai.
Siamo nati uomini, educati ad essere uomini in un mondo costruito dagli uomini e per gli uomini. Non basta una vita per eliminare in noi i residui di un sistema che dura da millenni. Se però anche tu pensi che Giulia meritasse di tornare a casa e riabbracciare la sua famiglia, i suoi amici, le tante persone che l’amavano, restare immobile non è un’opzione. Le donne hanno già fatto tanto, tantissimo nella lotta per l’emancipazione. Evidentemente non è abbastanza. La verità è che non vivranno in libere e sicure finché noi uomini non smetteremo di opprimerle ed ucciderle. Le donne non stanno cercando di liberarsi da qualcosa di astratto: stanno cercando di liberarsi da noi.
La lotta femminista ha un limite, ed è che per quanto possa avanzare la coscienza politica delle donne, ad un certo punto la palla passa a noi. Ce lo stanno dicendo in tutti i modi le donne di fermarci, di lasciarle stare, di rispettarle, di lasciarle vivere. Eppure facciamo una fatica incredibile anche solo a fare il primo passo necessario alla risoluzione di un problema: riconoscerlo. Eppure il problema è lì, davanti a noi, basta posizionarsi davanti a uno specchio. Basta pensare alla nostra storia di vita come uomini, a tutte le volte che in questo mondo ingiusto siamo stati colpevoli.
Per questo ti ho proposto di osservare gli occhi di Giulia, per questo ti suggerisco di lasciare che entrino nella tua vita. Se non è con i nostri occhi che riusciamo a vederci, lasciamoci accompagnare dai suoi. Dagli occhi di chi non c’è più in quanto vittima di una cultura che tutti noi, quotidianamente, con pensieri e gesti, sia grandi che piccoli, compartecipiamo a conservare. Legittimati in questo disagio con te stesso che questa prospettiva ti può far provare. Questo disagio è preziosissimo, è il punto di partenza per introdurre nel mondo degli uomini una nuova consapevolezza, senza la quale le donne non hanno la speranza di vivere in un mondo che sia anche loro.
Si tratta di un disagio che va coltivato nel tempo, per tutta la durata della nostra vita. Anche, e forse soprattutto, quando abbracceremo davvero la lotta femminista. Perché non c’è nulla di figo nell’essere uomini femministi. Esserlo significa avvicinarsi alla soglia della decenza in un mondo che decente non è. Quando dico che lo sguardo di Giulia deve essere con noi ovunque e sempre intendo davvero ovunque, davvero sempre.
Questo mio consiglio potrà sembrarti poca cosa, e forse rispetto alla portata della questione lo è. Non volevo però restare in silenzio dopo questo mese in cui le donne hanno detto così tanto. Ho pensato, da uomo quale sono, con tutti i miei limiti e le mie colpevolezze, che il mio modo per contribuire al cambiamento fosse suggerire una chiave per riconoscerci meglio, per vederci per ciò che siamo, ossia dei colpevoli.
Ho scritto queste parole col cuore in mano, per parlarti davvero, da uomo a uomo. Spero tu possa integrare quel sorriso nella tua vita. Ovunque Giulia, sempre Giulia.