La roboante vittoria di Luca Zaia, in grado di catalizzare il 76% dei consenti dei cittadini veneti, proietta il leader in una nuova ed inedita dimensione in cui la storica Lega Veneta viene ridimensionata e travolta dall’ondata di consensi della lista personale di Zaia. Dall’altra parte si assiste al tracollo della coalizione di centro-sinistra guidata dal civico Arturo Lorenzoni che, a livello regionale, non è stato in grado di costruire una solida e credibile alternativa basata sul civismo.
C’è un impercettibile filo rosso che collega la conferma, per la seconda volta, di Zaia a Presidente della regione Veneto e il 22 maggio 2018: proprio quel giorno la Giunta regionale approvava la possibilità, per il Presidente di regione, di ricandidarsi per un terzo mandato (abolendo inoltre l’incompatibilità tra consigliere regionale e comunale e il limite di due mandati per i consiglieri regionali).
La questione giuridica del terzo mandato del Presidente -e certo, della sua opportunità politica- fa sorridere anche alla luce di quanto lo stesso Zaia affermava nel marzo 2018 in un’intervista “I grillini? Dicono di voler introdurre il limite dei due mandati in Parlamento. Bene, in Veneto lo facciamo già dal 2012. Siamo l’unica regione che ha introdotto il blocco dei mandati a due per presidente, assessori e consiglieri regionali, a valere dal 2015”. A valere del 2015! Il primo mandato zaiano 2010-15 dovrebbe essere quindi contato come “mandato zero”?
La questione del terzo mandato consecutivo merita d’esser approfondita in un articolo a parte, al di là di questo vivere nello Zaiastan significa assistere alla schiacciante vittoria di un presidente in grado di assorbire il 76% dei consensi, divenendo il governatore di regione più votato nella storia della Repubblica. Più che numeri bulgari si dovrebbe parlare di un plebiscito bipartisan, che coinvolge tanto l’elettorato storico di centro-destra, tenuto assieme (o quasi) dalla questione relativa all’autonomia, tanto l’elettorato di centro sinistra e grillino: le rilevazioni del Corriere della Sera registrano forti passaggi di voti tra gli elettori del Pd e ancora di più dei 5S a favore del Presidente. Ad esempio, gli elettori della città di Padova che nel 2019 avevano votato 5S, ora, alle regionali 2020, per il 72% dei casi si sono schierati a favore di Zaia (solo il 21% per gli elettori Pd).
La questione centrale però non è la schiacciante vittoria di Zaia -su cui comunque si potrebbe scrivere fiumi di parole- l’aura di “Salvatore del Veneto” che ha creato attorno a sé o la subcultura che è stato in grado di forgiare all’interno della “Nazione veneta”, l’elemento centrale della vittoria di Zaia è uno e uno solo: l’assenza di un’opposizione non solo credibile, ma in grado di portare avanti dei temi di campagna elettorale seri e decisi, unita all’inconsistenza e all’impalpabilità dell’intera coalizione a sostegno del professore padovano Arturo Lorenzoni. Quest’ultimo, civico per eccellenza, giunto dalla brillante esperienza padovana, in cui il civismo si è fondato e unito al partitismo (Pd) dando vita, all’epoca, alla vittoria di Sergio Giordani nel comune di Padova (2017), viene catapultato dalla segreteria regionale dem alla candidatura regionale, senza per altro passare dalle ormai consolidate primarie. Nel peggior risultato ottenuto da una coalizione di centro sinistra in Veneto (15,72%) l’esperimento civico è risultato disastroso e si è rivelato controproducente proprio all’interno dello stesso Pd che lo innescò (anche per il Pd quello delle regionali 2020 è il peggior risultato ottenuto in regione, 11,92%). I democratici veneti hanno abdicato al ruolo di presentare dinanzi agli elettori un candidato “di partito” che, in ogni caso, data la fallimentare esperienza di opposizione nella scorsa legislatura regionale, mai sarebbe stato trovato, decidono di affidarsi all’ossigeno offerto da un civismo che se su base comunale può anche tenere su base regionale si rivela controproducente e fallimentare. “Il veneto che vogliamo”, civica di Lorenzoni, pur mettendoci la faccia e tentando di aggregare anime di sinistra e non all’interno di una grande coalizione, paga il mancato radicamento nei territori, una leadership oggettivamente debole e poco conosciuta (se non nella provincia di Padova), e l’assenza di una chiara identità di partito e di coalizione.
Spostandoci al vincitore il sorprendente dato che emerge riguarda l’exploit della Lista Zaia, ossia la lista del candidato presidente, che sfiora il 45% dei voti, il triplo dei voti ottenuti dalla Lega di Salvini (circa il 17%), elemento che non potrà che avviare delle riflessioni interne nella stessa Lega Veneta, benché il commissario leghista regionale Fontana, supportato dall’uscente presidente del Consiglio Ciambetti, si sia presto affrettato a chiarire come “Siamo tutti leghisti, il valore aggiunto lo ha fatto Luca”. Ma Luca Zaia è leghista dopo queste regionali? Lo vedremo, ci basta però osservare il peso della Lista Zaia all’interno del neo eletto consiglio regionale: dei 49 seggi ben 41 saranno occupati da consiglieri eletti nella coalizione a sostegno di Zaia, in particolare: 24 andranno alla “Lista Zaia”, 9 alla Lega, 5 a Fratelli d’Italia, 2 a FI, 1 a Liga Veneta autonomia.
I temi in Veneto sono ancora molti: dall’autonomia, alla privatizzazione della sanità, al progressivo esautoramento dei servizi socio-sanitari nei territori, fino alla cementificazione e allo sfruttamento del suolo (il Veneto è la regione europea con i numeri più elevati di consumo del suolo) Zaia è stato in grado di accalappiare la personale esposizione mediatica durante il periodo Covid, (130 giorni consecutivi di conferenze stampa) monetizzandola in termini di voti e consenso ed, ergendosi a guida del popolo veneto, ha creato un forte e stretto senso di comunità in un momento di inquietudine e difficoltà.
Il prof. Feltrin, coordinatore dell’Osservatorio elettorale regionale, commenta “Quando si ottengono questi risultati significa che il partito rispecchia l’intera società”; questo presupporrà una doppia responsabilità da parte della nuova maggioranza regionale: in primis l’affrontare questioni di grande rilevanza a livello regionale, tra cui quelle citate poc’anzi, gestendole in modo serio e concreto, in secondo luogo un’attenta gestione del consenso che garantisca equità e bilanciamento democratico, trasparenza e puntualità (“Si basti pensare, afferma l’ex segretario del Consiglio regionale Zanon, che con i seggi ottenuti i consiglieri di opposizione non potranno esercitare nessuna delle garanzie attribuite all’opposizione dallo Statuto”), evitando derive assolutiste: i latini avrebbero sintetizzato il concetto nella frase “Respice post te. Hominem te memento”, ossia ricordati che sei un uomo e devi morire, politicamente s’intende.