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NO PASARAN! IL FALLIMENTO DELLA LEGA NAZIONALE

25 Settembre 2020

Le elezioni regionali tenutesi nel biennio 2019-2020 potevano rappresentare l’occasione propizia per la mutazione definitiva della Lega da partito regionale a partito nazionale. I risultati confermano il fallimento della strategia del leader padano Salvini e del suo guru Morisi. Nel 2019, su cinque consigli regionali, la Lega ne conquista soltanto uno (quello umbro) dopo 25 anni di centrosinistra. Il 2020 inizia sulla falsa riga dell’anno appena trascorso. Grazie al buon governo Bonaccini, alla discesa in campo del movimento delle sardine, e forse a causa di una campagna elettorale dai toni troppo aspri, fallisce l’assalto alla rossa Emilia Romagna. Stesso copione in Toscana. La candidata leghista Susanna Ceccardi, famosa per aver riportato a casa una decina di studenti dalla Spagna in pieno lockdown e per aver diffuso il video di un immigrato che cucina un gatto per strada, non va oltre il 40 per cento, contro il 48 per cento ottenuto dall’impalpabile candidato della sinistra Eugenio Giani. Discorso a parte merita il Veneto, perché se è vero che il doge Luca Zaia è stato riconfermato presidente con percentuali bulgare, è anche vero che a trainare la coalizione di centrodestra alla vittoria è stata la sua personale lista col 44 per cento e con la Lega ferma al 16 per cento.

Al di fuori delle regioni conquistate e di quelle perse, ciò che è interessante notare è il consenso ottenuto dalla Lega nei territori un tempo popolati da “scansafatiche che succhiavano linfa al produttivo Nord Italia”. Alle elezioni regionali in Sardegna dello scorso anno la lista Lega Salvini Sardegna ottenne l’11 per cento dei voti nonostante una campagna elettorale che puntava forte sulla protesta dei pastori. In Basilicata la Lega Salvini Basilicata, in appoggio alla candidatura del forzista Vito Bardi non sfonda il 20 per cento. Nella Puglia di Emiliano la Lega non supera il 10 per cento, ma è in Campania che il leader leghista subisce l’umiliazione più cocente: il suo partito si arresta al 5 per cento. Evidentemente i cori da stadio “Vesuvio lavali col fuoco” e “senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani” ancora riecheggiano nella testa dei campani.

Da questa tornata elettorale esce fuori una Lega ridimensionata nei consensi e con un leader in affanno, incapace di innovare il classico, e ormai obsoleto, schema basato sul binomio “stop invasione degli immigrati” e “fuori dall’euro e dall’Europa”. Oggi gli italiani chiedono protezione dal Covid e dalla crisi economica che presto si abbatterà sul nostro paese: della falsa invasione dell’uomo nero sembrano non preoccuparsi più, mentre l’Europa dopo il Recovery Fund sembra essere meno matrigna. Dall’altro lato trent’anni di odio e disprezzo profuso contro i meridionali frenano le ambizioni di Matteo Salvini di fare della ex Lega Nord il punto di riferimento del centrodestra nazionale. Anche perché a contendergli il trono marcia spedita Giorgia Meloni, all’apparenza più moderata. L’errore da evitare, tuttavia, resta quello di pensare a un Salvini in caduta libera, perché la Seconda Repubblica ci ha insegnato una cosa: i leader del centrodestra sono duri a morire.

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