Il 2 marzo l’Italia ha bloccato l’esportazione di 250 mila vaccini che sarebbero stati diretti da Anagni (Lazio), sito di produzione in Italia della AstraZeneca, verso l’Australia. Per farlo, il governo Draghi ha attivato il Meccanismo di controllo dell’export, innescando le reazioni contrarie di Regno Unito e Australia. La Commissione europea punta ad utilizzare questo strumento per mettere pressione alle case farmaceutiche, incentivandole a rispettare gli impegni presi circa i tempi delle forniture di dosi. Il rischio è che si inneschi una guerra commerciale.
Il Meccanismo di controllo dell’export
L’Italia è il primo Paese dell’Ue ad attivare il Meccanismo di controllo delle esportazioni. Questo strumento è stato istituito dalla Commissione europea al fine di garantire a tutti i cittadini europei di accedere tempestivamente ai vaccini, nella massima trasparenza pubblica. Il meccanismo prevede che le imprese con le quali la Commissione ha concluso accordi preliminari di acquisto (APA) notifichino alle autorità degli Stati membri l’intenzione di esportare vaccini prodotti nell’Unione. Il meccanismo non si applica nel caso delle forniture ai Paesi vicini e di quelle rientranti nel progetto COVAX, finalizzato alla distribuzione dei vaccini entro la fine del 2021 ai Paesi più poveri del globo. A quanto stabilito dall’atto di esecuzione, il controllo sull’export sarebbe stato attivo fino alla fine di marzo 2021, ma vi sarà una proroga fino a giugno. Stando alla ricostruzione del Ministero degli Affari Esteri, titolare della delega al commercio internazionale, in data 24 febbraio è giunta la richiesta di autorizzazione all’export da parte della società anglo-svedese. Il 26 febbraio, la Farnesina ha inviato il proprio parere negativo alla Commissione, alla quale spetta la decisione finale. Una volta approvato il parere negativo, il 2 marzo il Ministero degli Esteri ha notificato alla AstraZeneca la non autorizzazione delle forniture dirette a Canberra. La decisione del governo Draghi è stata motivata dalle seguenti argomentazioni: a) al momento l’Australia non necessita prioritariamente di vaccini, dati i numeri contenuti di contagi giornalieri, ricoveri e tasso di occupazione delle terapie intensive; b) i ritardi nelle forniture di vaccini all’Italia e agli altri Paesi dell’Unione; c) il numero di dosi che sarebbero state destinate all’export è maggiore della quantità di dosi fino ad ora fornite all’Italia.
Le reazioni internazionali
“Capiamo la decisione che del governo italiano” ha dichiarato Lorenzo Wittum, amministratore delegato di AstraZeneca Italia, a ClassCnbc, ribadendo l’impegno dell’azienda di fornire 5 milioni di dosi nel primo trimestre e 230 milioni nel secondo. La presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, ha sottolineato il fatto che AstraZeneca al momento è in ritardo nella produzione delle dosi e sta distribuendo al di sotto del 10% di quanto pattuito per il primo trimestre: “AstraZeneca avrebbe dovuto iniziare a preparare le scorte per distribuire le fiale una volta avuto il via libera dall’Agenzia europea del farmaco. Così ha funzionato con Pfizer-BioNtech e con Moderna, ma non con AstraZeneca”. Nella strategia della Commissione ora il blocco dell’export rappresenta un’arma in più per mettere pressione alle Big Pharma e pretendere il rispetto degli accordi. La decisione forte di Bruxelles ha suscitato reazioni contrarie da parte di Australia e Gran Bretagna. Da Canberra, il Ministro della Salute, Greg Hunt, ha dichiarato: “L’Australia ha chiesto alla Commissione di riesaminare la decisione, pur sottolineando che le dosi mancanti non influenzerebbero il programma di inoculazione australiano”. Insomma, si tratta di una battaglia di principio, visti i pochi casi nella terra dei canguri. Oltre Manica, il primo ministro Boris Johnson ha dichiarato che limitare le esportazioni potrebbe mettere a rischio la lotta al virus. L’attivazione del blocco dell’export, se da un lato può dare una svolta al rispetto degli accordi tra le farmaceutiche e i governi, dall’altro rappresenta un precedente rischioso che potrebbe far scatenare una vera e propria guerra dei vaccini. Infatti, il meccanismo di controllo era stato istituito dalla Commissione a fine gennaio proprio al culmine di una tensione crescente tra Unione, Regno Unito e AstraZeneca. Il dossier dei vaccini non fa altro che rendere il rapporto fra le istituzioni europee e Downing Street potenzialmente ancora più fragile, proprio nell’anno zero della Brexit. A inizio 2021, l’Unione aveva velatamente fatto emergere il caso di una sorta di prelazione a favore della Gran Bretagna per delle dosi AstraZeneca, a scapito dei paesi europei. AstraZeneca si era difesa giustificando tale condotta sulla base delle differenti tempistiche di autorizzazione del vaccino. Il Regno Unito ha dato il via libera ad AstraZeneca a dicembre 2020. L’Agenzia europea per il farmaco, invece, ha approvato il farmaco solo il 29 gennaio 2021. Inoltre, la società aveva giustificato i tagli alla produzione invocando la clausola contrattuale dei “migliori sforzi ragionevoli”. Secondo questa clausola, i tagli alla produzione sarebbero giustificati nel caso di dimostrato impegno della società ad aver aumentato il più possibile la capacità produttiva degli impianti. Secondo la Commissione, invece, le dosi tagliate sarebbero state dirottate nel Regno Unito, mentre non sarebbe stato rispettato l’obbligo di consegna stabilito entro marzo. Ed è proprio a seguito di questa controversia che la Commissione ha introdotto il sistema di controllo sulle esportazioni extra Ue.
I risvolti geopolitici
Il meccanismo di controllo sulle esportazioni è uno strumento inedito e controverso. Di fatto costituisce una limitazione al libero commercio internazionale. Al momento non vi sono state prese di posizione in merito da parte della World Trade Organization. Il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha precisato che questo strumento ha il mero obiettivo di garantire e imporre la trasparenza nella compravendita dei vaccini. I più critici verso questo strumento lo considerano come una forma vera e propria di protezionismo o, peggio, di “sovranismo sanitario”. Portato all’estremo, questo approccio porterebbe ciascun Paese a far da sé, producendo internamente vaccini e destinandoli esclusivamente alla domanda interna. Tornando a scenari più realistici, è chiaro come in una situazione di emergenza come quella attuale siano necessari dei correttivi che permettano di allocare in maniera più efficiente ed equa le dosi disponibili verso i Paesi dell’Unione che più ne hanno effettivamente bisogno. Tuttavia, se tali interventi non sono condivisi e accompagnati da una cooperazione internazionale, il rischio è che fatta la prima mossa ci si incammini verso un sentiero di reazioni e controreazioni protezionistiche. In questa fase, né l’Unione né la Gran Bretagna possono permetterselo. La comunità europea ha fatto grandi passi in avanti negli ultimi 12 mesi in materia di solidarietà economica e unità politica. Ne sono dimostrazione il Next Generation Eu e la gestione accentrata degli acquisti dei vaccini. Per quanto riguarda la seconda, senza dubbio i vantaggi in termini di acquisizione a prezzi più favorevoli e la scongiurata guerra all’accaparramento delle dosi sono stati ottimi risultati. Tuttavia, la Commissione non è stata in grado di garantire una completa trasparenza per quanto concerne i tempi e i metodi delle forniture. Il fatto che le Big Pharma si siano trovate a produrre stock di dosi senza precedenti ha influito sui ritardi, così come le più lente procedure di autorizzazione, ma forse sarebbe stato preferibile mettere sul tavolo con il giusto anticipo il tema della concessione delle licenze, delocalizzando e decentrando la produzione in misura più marcata (processo la cui fattibilità è per nulla scontata e che richiede diversi mesi per l’implementazione e il trasferimento del know-how). Il governo Draghi ha, fin qui, avuto il merito di aver posto enfasi sulla necessità di una strategia più efficace rispetto a quella adottata fino ad ora dalla Commissione, per pretendere dalle Big Pharma il rispetto degli impegni contrattuali. Ed è in questa direzione che pare consolidarsi l’asse con Merkel e Macron. La stessa Von der Leyen, durante la plenaria del Parlamento europeo del 10 febbraio scorso, aveva fatto mea culpa: “Non siamo al punto dove vorremmo essere. Ci siamo mossi in ritardo con le autorizzazioni. Siamo stati troppo ottimisti riguardo alla produzione di massa e forse troppo fiduciosi che quello che avevamo ordinato sarebbero stati consegnati in tempo”. Nei prossimi mesi sarà necessario un cambio di marcia. La vaccinazione di massa in tempi brevi è la via maestra per far ripartire l’economia e mantenere sotto controllo la diffusione delle varianti.