Il Governo Conte ha annunciato che è in fase di elaborazione una possibile riduzione dell’IVA. La tecnica dell’annuncio, insieme alla poca competenza degli addetti ai lavori, è una grave malattia della politica italiana che aggrava l’incertezza nell’economia. Il nostro Paese non ha bisogno di una riduzione dell’IVA, bensì di una riforma fiscale strutturale e avvolgente.
Nel Paese dell’ignoranza finanziaria, la povera Imposta sul Valore Aggiunto (meglio conosciuta con il suo acronimo, ovvero IVA) viene tirata in ballo ogni anno, costretta a diventare ricorrentemente un tema caldo nei mesi estivi (un po’ per caso, un po’ per delle clausole strane che vedremo tra breve). L’IVA è l’imposta preferita dei politici: è una specie “flat tax” (imposta proporzionale), in quanto viene applicata sui consumi delle persone indipendentemente dal loro livello di reddito. Questo la rende particolarmente maneggevole. Non ci sono scaglioni di aliquote progressive ed è più semplice prevedere come varieranno i consumi in caso di un aumento o riduzione di aliquota.
“Io l’IVA la spendo…” cit.
L’IVA probabilmente è la tassa (più precisamente imposta) che meglio conosciamo. Ogni volta che acquistiamo beni e servizi ella viene applicata, a meno che non si ricorra a metodi poco puliti: l’evasione. Sì, perché l’IVA – in termini assoluti – è la tassa più evasa in Italia, per ben 36 miliardi. Un breve ripasso su cosa sia l’IVA nello specifico può essere utile: questa imposta colpisce il valore aggiunto di un prodotto, ovvero il valore monetario di ogni fase produttiva indipendentemente dal valore monetario formatosi precedentemente.
In Italia questa imposta ha una aliquota ordinaria del 22%, due ridotte del 5% e 10% e una ultraridotta del 4% sui beni di prima necessità (vi è un dibattito anche su questo punto. È abbastanza risaputo che assorbenti e prodotti simili siano beni di prima necessità, ma a quanto pare alla politica interessa poco, dato che questi rimangono tutt’oggi tassati al 22%). Le imposte sui consumi sono fortemente regressive dato che hanno un impatto maggiore su redditi bassi, ovvero i cittadini con un reddito basso si vedranno tassare i consumi in maniera maggiore rispetto agli altri redditi. Inoltre, queste gravano anche su quei contribuenti privi di capacità contributiva per pagare le imposte.
L’IVA e la politica
Fondamentalmente ci sono due circostanze nelle quali si nomina l’IVA nel dibattito politico. La prima – e qui arriviamo ai mesi estivi – è sicuramente quella delle clausole di salvaguardia. Quest’ultime servono, nel quadro della legge di bilancio, per assicurare un’entrata di maggiore gettito nel caso in cui gli scenari macroeconomici previsti abbiano una contrazione, e quindi per assicurare il rispetto dei saldi di finanza pubblica. Queste clausole prevedono contestualmente la disattivazione delle stesse nella misura in cui le risorse volte a coprire il gettito mancante vengano reperite in modi diversi.
Tutto questo può esser tradotto più semplicemente in: se ti prometto che farò Quota100 e Reddito di Cittadinanza e mi accorgo che poi non ho i soldi per mantenere questa promessa, allora ti aumento l’IVA (oppure emetto ulteriori titoli di debito). A livello elettorale le clausole di salvaguardia sono, ovviamente, un disastro. Spesso le promesse in legge di bilancio superano l’impossibile, e ricorrere a metodi bizzarri per sterilizzare le clausole è ormai una consuetudine accettata. Si può fare di tutto, pur di non far aumentare l’IVA. La seconda circostanza vede risvolti abbastanza opposti alla prima: non si usa l’IVA per coprire delle spese, bensì per accaparrarsi un po’ di voti promettendo di abbassarla.
Tra annunci e riduzioni dell’IVA: istruzioni per l’uso
Negli ultimi giorni sembra che il Governo Conte – di ritorno dalla splendida vacanza a Villa Pamphilj per un doveroso relax post Covid – stia pensando a una riduzione dell’IVA come atto espansivo per aiutare l’economia italiana attraverso una ripresa dei consumi. Il solo che fatto che vi sia questa notizia e questo comune intento nella maggioranza è molto grave: annunciare che è possibile una riduzione dell’IVA potrebbe far diminuire i consumi, in quanto le aspettative degli individui sarebbero di minori tasse a breve: perché comprare un divano nuovo oggi (con IVA al 22%) quando posso comprarlo fra 2-3 mesi con un’aliquota meno gravosa?
Va detto che il Governo Conte su questi aspetti è abbastanza recidivo: lo stesso meccanismo è stato applicato all’ecobonus del 110%, inserito nel dl Rilancio al fine di farlo partire con il 1° luglio. Oltre all’incertezza data dalla mancanza imperdonabile dei decreti attuativi, perché un consumatore dovrebbe rifare le finestre di casa propria in maggio, quando da luglio vi sarà la possibilità di cedere il credito d’imposta all’azienda stessa o al sistema bancario?
È il taglio dell’IVA la misura di cui abbiamo bisogno?
Se proprio si vuole provare a dare un’accelerata immediata ai consumi, un aumento dell’IVA andrebbe collocato in una finestra di tempo breve e senza nessun annuncio (tranne che, ovviamente, dal momento dell’entrata in vigore della misura). Due avvertenze su questo tema sono tuttavia doverose: (i) non è detto che in questo momento i consumatori siano disposti a consumare beni e servizi in quantità elevate, anche con una riduzione dell’IVA; (ii) i commercianti potrebbero adeguare i prezzi in base alla nuova imposta, andando ad aumentarli cercando di sfruttare l’onda potenziale di consumi. In fasi recessive il taglio delle imposte indirette, come l’IVA, può essere molto rischioso in quanto non sortisce automaticamente l’effetto desiderato, ovvero i consumi non aumentano per forza. Solitamente in questi casi è preferibile un taglio delle imposte dirette (ad esempio l’IRPEF) lasciando più cash nelle tasche dei cittadini.
Per i motivi appena visti, una riduzione dell’IVA non è probabilmente quello che serve all’Italia in questo momento. Va anche detto che, allo stato attuale, la nostra aliquota ordinaria è in linea con la media europea. Personalmente ritengo che una delle priorità del Paese debba essere quella di rivedere il sistema fiscale nel suo complesso, non solamente provvedimento per provvedimento. L’urgenza maggiore oggi è da attribuire ad una riforma dell’IRPEF, ma non è l’unica imposta che necessita di revisioni. Affinché l’Italia possa tornare ad essere competitiva dal punto di vista fiscale, serve una semplificazione generale che vada a toccare tutti i tipi di tassazione o imposta. Chiaramente ciò non richiede un processo di 6 mesi, bensì un lungo lavoro affinché si possa avere finalmente un fisco equo, semplice e sostenibile.