Matt Makes Games, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
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CELESTE – SCALARE UNA MONTAGNA PER SENTIRSI LIBERI

Sono un videogiocatore di circostanza. Non ho mai posseduto una console su cui potessero girare i famosi “tripla A”, i prodotti più pubblicizzati e accattivanti dell’impresa videoludica. Allo stesso modo non ho mai avuto il tempo da dedicare al videogiocare, pur essendo una papabile passione. Quindi ho sviluppato un gusto tutto mio, fatto di indipendenti, scarti di mercato e ritardo di una generazione nel recuperarli. E ora, con Celeste, posso dire di aver provato un vero manicaretto.

Questa piccola perla indie nasce dall’intuizione di Maddy Thorson e Noel Berry, due sviluppatori in collaborazione con MiniBoss Studios, una piccola compagine brasiliana. Vede la luce nel 2018, e attira subito l’attenzione dei canali di informazione indipendente, per il suo stile pittoresco e la trama semplicissima nelle premesse, ma estremamente profonda e toccante nella realizzazione.

Celeste, infatti, è un gioco a piattaforme. Vale a dire, per i profani, della stessa pasta della saga di Super Mario, l’idraulico italiano vestito di rosso. Uno scorrere lineare, composto da una serie di livelli con ostacoli sempre più complessi da superare illesi. Il percorso, questa volta, è una montagna da scalare, il Monte Celeste, appunto, nel Canada occidentale. Lungo la strada si incontreranno luoghi diversi, personaggi diversi, sfide diverse. Niente di difficile, a parlarne. Il problema però è la natura di ogni singolo fattore appena nominato, e le allegorie dipinte dietro di essi.

L’inizio della scalata (Matt Makes Games)

Partiamo dal campo di battaglia. Qui lo dico e qui lo sostengo, il Monte Celeste è contemporaneamente l’ambientazione più contorta, difficile, malata, ma accattivante e ispirata che io abbia mai visto in un videogioco. Mi ha fatto, tanto per citare un nome illustre, anche più impressione dell’immaginario di Death Stranding, l’ultimo prodotto di Hideo Kojima, che di visioni contorte ne sa qualcosa.

Ed è un insieme di caratteristiche a renderlo così memorabile. La sua grafica in pixel art (allego immagini), colorata e artisticamente stupenda, la complessità del design dei livelli, la posizione e la quantità di ostacoli e nemici, gli scorci paesaggistici, gli effetti a schermo. Ogni dettaglio del mondo di gioco, sebbene non presenti l’approfondimento su di essi dei colossi di mercato, è inserito in maniera sublime. Il risultato è un quadro che parla. Menzione d’onore per l’albergo, magnifico. Non dirò altro.

La questione veramente interessante però, è quello che rappresenta la montagna.

Madeleine, questo il nome della ragazzina che controlliamo in game, è una rossa timida e impaurita, afflitta da depressione e ansie. La scalata del Celeste non è altro che la sua proiezione del percorso di rinascita dai suoi fantasmi. Ed è questo, secondo me, il risultato più immenso raggiunto dagli sviluppatori: l’aver dipinto un mondo così fedele e rappresentativo di uno stato clinico. La difficoltà a tratti mostruosa del gioco, la mal celata cattiveria con cui i creatori posizionano le insidie e la quantità di dedizione che richiede questo gioco dipingono perfettamente quanto sia arduo risorgere da queste patologie, e tornare a rialzare la testa.

E un dettaglio importante ai fini della comprensione di questo prodotto, tanto visibile quanto illuminante da analizzare, sta proprio nel titolo. Celeste non è il nostro avatar, è l’ambientazione. Sotto i riflettori non ci sta la bambina, ma il percorso che compie, le insidie che deve superare. Non è chi siamo che determina ciò che facciamo. E’ l’esatto contrario.

Un esempio dei colori che sa offrire Celeste (Matt Makes Games)

Spostiamoci un attimo sui personaggi. Madeleine… Madeleine è una meraviglia di protagonista. E’ così vera, così genuinamente bambina, che in certi punti fa venire il magone. E il fatto che oltre ad essere donna sia pure giovane apre innumerevoli opportunità di riflessione, risultando mai e poi mai scontata. Senza rivelare dettagli che potrebbero compromettere l’esperienza, ho trovato geniale come i creatori si siano concentrati sul rapporto della protagonista con se stessa, con le proprie problematiche e le loro manifestazioni, e come infine ella risulti unico antagonista e unica soluzione dell’intera questione.

I secondari poi non deludono. Dalla vecchietta infame dal tono derisorio, al viaggiatore che condividerà un tratto di cammino con voi, al gestore del già citato hotel, ognuno saprà offrire un’emozione diversa, una frase che ci si appiccicherà al cuore, un’immagine indelebile. Non c’è da aspettarsi una descrizione alla Promessi Sposi, per capirsi, ma è più che abbastanza.

Ci sarebbe anche la colonna sonora. Dico ci sarebbe perché mentre si gioca non si ha né la concentrazione periferica, né, dopo un po’, la pazienza per porci attenzione. Io stesso, che faccio musica di mestiere, l’ho riascoltata a parte dopo, perché in gioco il centro è e vuole essere un’altro: il gameplay. Incredibile quanta attenzione possano catalizzare quattro tasti (questo è quello che vi servirà per giocare a Celeste).

Ci tengo poi a soffermarmi un attimo sui requisiti di questo videogioco, su quello di cui necessitate per arrivare a vedere i titoli di coda. Primo: non azzardatevi nemmeno a pensare di poter domarlo con la tastiera. Controller. Lo dico per la vostra salute mentale, che tanto sparirà ugualmente.

Secondo, armatevi della proverbiale Santa Pazienza. In “Celeste” si muore, gente. Si muore a ripetizione, e poi si muore di nuovo. E poi ancora. Per completare la mia prima run ho superato le tremila (no non è sbagliato, 3000) morti. Capiterà svariate volte che non vi spieghiate come sia possibile che siate sopravvissuti a un’insidia. Non basta acquisire riflessi pronti ed esperienza coi comandi, bisogna raggiungere la memoria muscolare, specialmente nei livelli finali.

Mai mi era successo di fissarmi così tanto su un gioco. Confesso che più progredivo con le ambientazioni e più i famosi “rage moments”, gli attimi di ira furiosa, crescevano in numero e intensità, mettendo pericolosamente a rischio l’impresa. Il livello di sadismo del gioco è calcolato e spietato, e il margine di errore è zero, senza virgola. “Sappiamo che ti rilasserai in questo punto, e proprio qui ti mettiamo un singolo pixel mortifero”. Questo è il processo mentale di Thorson e Barry.

Terzo: siate capaci di stupirvi: fate che la sorpresa al primo impatto con ogni nuovo scorcio e la volontà di voler davvero far uscire quella ragazzina dal suo tunnel infernale prevalgano sempre sul resto. Sui momenti in cui vi sentirete affranti, che ci saranno. Sul disorientamento al primo contatto con questo genere di opera, se sarà una prima volta. La ricompensa finale sarà un senso di soddisfazione incredibile, vivrete un’esperienza dalle emozioni fortissime. Resistete quindici, venti ore, e proverete qualcosa di nuovo.

(Matt Makes Games)

Riflettendoci a posteriori, mi rendo conto di quanto il mio percorso di giocatore sia stato parallelo a quello di Medeleine lungo l’ascesa. E pure di quanto abbia imparato riguardo agli stati mentali, e la convivenza con essi. Oltre a tutti i pregi che già abbiamo snocciolato, è pure educativo.

Ho imparato che la rinascita è possibile, per davvero, ma una caduta in qualsiasi momento può significare sprofondare più in basso di quanto non si sia mai stati. Ho avuto la conferma che per quanto le persone che incontriamo sulla nostra strada siano importanti, e ci possano cambiare la vita, la nostra testa viaggerà sempre su un binario singolo, per conto proprio.

Accumulare fallimenti è davvero necessario per godersi a pieno l’obiettivo finale. E mai quanto con questo indie questo è stato reale.

A Natale tanto non avrete da andare da nessuna parte (dispiace ma sarà così…). Fatevi un regalo, probabilmente sarà pure scontato. Non serve un pc della Nasa per farlo funzionare, basta un comodissimo portatile con le specifiche del Bimby. Se non volete in prima persona, consigliatelo a qualcuno, o addirittura, vivete assieme questa scalata.

Date un’occasione a Celeste. Toccherete il cielo con un dito.

P.S. Parte con questo pezzo un format che mi piacerebbe avesse un seguito su Alterthink. Cercherò di trovare elementi notevoli, forse anche barlumi d’arte, in luoghi fisici o meno che normalmente non li offrirebbero necessariamente. Requisito imprescindibile sarà che essi mi abbiano trasmesso qualcosa di forte, che io abbia sentito, in qualche momento, il famoso cazzotto sullo stomaco. Che sia lo stile di scrittura di un libro, il mondo di gioco di una proprietà intellettuale, la regia di un film. L’arte dove non si vede. Può andare?

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