Nel 1946 con l’Italia in macerie e da ricostruire, il liberale Luigi Einaudi pubblicava un piccolo volume dal titolo molto semplice “L’imposta patrimoniale”. Questa imposta, a detta di Einaudi, doveva servire proprio per ricreare una sorta di fiducia tra cittadino e Stato, fiducia che era stata rotta in anni di dittatura e guerra. La lettura di Einaudi è quanto mai attuale: il sistema tributario era rappresentato come un groviglio di imposte che perlopiù pesavano sul ceto medio e il principale problema riguardava proprio le imposte sul reddito da lavoro.
Mancavano alcuni decenni a quel 1973, quando venne istituito l’IRPEF, eppure molte di quelle problematiche enunciate non sono andate a scomparire. Secondo Einaudi questa imposta straordinaria sui patrimoni avrebbe dovuto possedere alcune caratteristiche: doveva essere straordinaria, e quindi una tantum; doveva mettere fine “all’era lunga dell’incremento continuo ed esasperante delle imposte ordinarie sul reddito”, semplificando il sistema tributario; doveva segnare l’inizio di una fase di forte credibilità di una nuova classe politica.
La proposta rimase sulla carta e nel 2020, nel mezzo di una crisi sanitaria e sociale, queste parole ritornano di forte interesse.
Il punto di forza dell’emendamento proposto da alcuni parlamentari di correnti e partiti minoritari in parlamento è che riporta il tema della giustizia fiscale al centro della discussione. Tolta l’epopea propagandistica ed elettorale della flat tax, il tema fiscale è stato per anni perlopiù oggetto di piccole correzioni o peggioramenti lanciati nei grovigli di finanziarie e pacchetti milleproroghe. A dire il vero sono stati più i peggioramenti dei miglioramenti, e tra quelli più celebri degli ultimi anni annovero la celebre pseudo flat tax sulle partite iva, un cumolo di errori e distorsioni, o l’altrettanto scandalosa norma istituita dal governo Renzi riguardante i “nuovi residenti”: un forfetario di 100mila euro da applicarsi su tutti i redditi prodotti all’estero. Insomma, una vera e propria norma per Paperoni.
Ma oltre questi provvedimenti lanciati nella mischia di riforme che vertevano su tutt’altro, i governi italiani si sono sempre interessati principalmente della spesa pubblica. Anche quelli più di sinistra hanno sempre pensato che per risolvere i grossi, abnormi, problemi di diseguaglianza che attanagliano la nostra società bisognasse intervenire soprattutto sul fronte spesa. E così son stati creati bonus, aiuti, finanziamenti a pioggia. In materia fiscale quando si interviene si opera con manovre chirurgiche e spesso, come detto, peggiorative.
Come risultato abbiamo un sistema fiscale confusionario, poco sistematico e molto pesante. La pressione fiscale è infatti molto accentuata soprattutto rispetto agli altri Paesi Ocse, ma, nonostante questo, abbiamo relativamente poche tasse sul patrimonio, in particolare per quanto riguarda la ricchezza netta e l’eredità. Su questa ultima, le nostre imposte di successione e sulle donazioni ci rendono quasi un paradiso fiscale per ereditieri. Tutto questo, nonostante il patrimonio netto medio sia in Italia oltre cinque volte e mezzo il reddito prodotto ogni anno, un dato tra i più elevati dei paesi Ocse, superiore per esempio a Paesi come la Germania.
Questo emendamento, più per ragioni politiche che di sostanza, non penso vedrà mai tramutarsi in legge. Proverò comunque ad esaminarlo valutando luci e ombre.
- Innanzitutto, questa imposta sarebbe sostitutiva ad alcune patrimoniali che già vengono versate da cittadini rientranti in fasce di patrimonio diverse: sono l’imposta di bollo sui conti corrente bancari e sui depositi di titoli, ma penso anche all’IMU sulle seconde case che grava su molti contribuenti che hanno semplicemente ereditato una seconda abitazione. Questo punto sicuramente è positivo, anche se temo che il minor gettito per le casse dei Comuni difficilmente verrebbe compensato totalmente da un eventuale aumento del fondo di solidarietà comunale.
- È positivo inoltre l’impostazione progressiva. Su come sia individuabile in maniera certa una ricchezza son stati scritti quintali di volumi. Essendo il livello di partenza patrimoniale notevole (500mila euro derivante dalla somma delle attività mobiliari ed immobiliari al netto delle passività finanziarie, quindi mutui o prestiti, posseduta ovvero detenuta sia in Italia che all’estero) è probabile che l’imposta perlopiù sia tendente ad incidere maggiormente al crescere di una reale capacità a contribuire (insomma, non crei situazioni regressive). Riguardante questo ultimo punto ci tengo a snocciolare alcuni dati che mostrerebbero come questa imposta vada ad incidere su una fetta assai ridotta di italiani. Chi ha un patrimonio netto superiore a 500mila euro è il 10% del Paese (in verità un po’ meno secondo Bankitalia che nel 2016 valutava un patrimonio medio di 218mila euro, e Credit Suisse in uno studio del 2019 indicava una mediana di 92mila dollari di patrimonio). Di questo 10% scarso sappiamo che la grossa parte è costituita da imprenditori, Dirigenti o autonomi. Sarebbe interessante confrontare questo decile con i dati generazionali e notare in quali fasce di età si concentri la parte di italiani con un patrimonio superiore ai 500mila euro. Purtroppo non ho trovato questi dati, ma a naso direi che di under 35 ne troviamo assai pochi.
- Questo tema ne apre un altro: Quanto dovrebbe essere il gettito derivante da questa imposta? Valutare un gettito preventivamente è complesso perché questo deriva da molte variabili. Certo è che la portata, proprio perché la platea di contribuenti rientranti così come le aliquote sono ridotte (a fronte di un minor gettito sicuro di IMU e imposte di bollo), non potrà che essere minima probabilmente molto al di sotto dei 17 miliardi annunciata dai proponenti. Al netto della dubbia portata del gettito, questa sarebbe in larga parte simbolica, posta sugli stessi binari della Wealth Tax proposta in USA (con un 2% aggiuntivo sugli asset posseduti oltre il valore di 50 milioni di dollari e del 3-6 % quelli sopra il valore di un miliardo di dollari) e delle altre proposte europee, come la patrimoniale adottata in Belgio (che però colpisce i conti-titoli anche di persone giuridiche, e avrà un gettito previsto di 428 milioni di euro) o il misto di patrimoniale e addizionale sui grandi redditi adottata come contributo di solidarietà in Spagna (qui il governo prevede un gettito aggiuntivo di 7 miliardi di euro, comprensivo anche di qualche imposta indiretta).
- Non sarebbe “una tantum” eccetto per la previsione di un’aliquota del 3% per le persone fisiche aventi un patrimonio superiore al miliardo, limitata al 2021. Quindi questa imposta patrimoniale dovrebbe apparire nella parte sostanziale come strutturale.
- Inoltre, non sarebbe inserita in una manovra fiscale complessiva. Il sistema tributario è improntato su criteri costituzionali di progressività. La progressività va elaborata tenendo conto del sistema nella sua interezza e, alla luce di questo, parrebbe preferibile operare a più livelli. Oltre all’ipotesi di una imposta straordinaria complessiva sui patrimoni sarebbe ancora di più necessario affrontare il tema della forte diseguaglianza delle imposte sui redditi, che vedono quelli da lavoro dipendente ultratassati, nel bel mezzo di un abuso di tax expenditures ed imposte sostitutive che via via negli anni hanno tolto una grossa platea di contribuenti dal calcolo complessivo dell’IRPEF (anche in termini tecnici si parla di “erosione dell’IRPEF”). Sfoltire ed eliminare queste storture sarebbe opportuno anche prevedendo un’imposta patrimoniale come compensazione ad un minor gettito derivante dall’abbassamento del peso fiscale per i redditi da lavoro. Invece, proprio per le caratteristiche sopracitate e per l’azione limitata al campo dei patrimoni, l’emendamento non andrebbe ad incidere particolarmente nel sistema tributario e quindi non risolverebbe alcuna delle diseguaglianze che si propone di combattere e, d’altro canto, non ne accentuerebbe alcuna.
- Altro tema che lascia scoperto è quello decennale sull’evasione, su cui qualunque giustizia tributaria dovrebbe prevedere un conseguente duro intervento anche ai fini di una valutazione reale dei patrimoni, ed è inutile alzare la gravità della sanzione quando il principale problema risulta essere l’accertamento.
In conclusione, le problematiche del sistema tributario vanno affrontate in maniera seria e ragionata. Si può e si deve discutere di patrimoniale ma va inserita in un contesto di riforme più ampio. Aggiungerei anche un punto semantico, utile quanto per il legislatore tanto per il cittadino per discutere sul tema: le imposte non vanno dipinte come una clava o un mezzo punitivo, e neanche agitate come spauracchio e attentato sovietico, ma costituiscono uno degli elementi più alti di come un cittadino contribuisce alla vita nella propria comunità. In un momento di crisi economica e sociale è ancora più necessario individuare le sacche di ricchezza e chi può maggiormente contribuire alla spesa pubblica, sanitaria e di welfare al fine di limitare le diseguaglianze sempre più evidenti e sempre più forti.
In definitiva, caro Mirko, la questione si riduce ad un demagogico “STROPA EL BUS E MOLA EL BORON”, come direbbe qualche vecchio trentino. ISTAT calcola in 100 mld/anno il complesso della eva/elusione fiscale. 3x il costo di una manovra. Quando avremo sistemato questo orrore sarò ben felice di pagare una patrimoniale. Prima. non tanto.