Sabato, all’Auditorium San Fedele di Milano, è andato in scena un evento passato in sordina, a dire la verità, ma che potrebbe cambiare lo scenario politico italiano. Il Comitato LibDem, infatti, in presenza dei leader di Azione e Italia Viva ha chiesto l’inizio di un percorso costituente che porti alla nascita di un partito unico liberaldemocratico. La risposta di Calenda e Renzi è stata affermativa.
La diaspora liberale sembra che possa interrompersi, anche se alcune sigle non irrilevanti al momento mancano, ma non bisogna cantare troppo presto vittoria. Prima serve mettere in chiaro un po’ di idee.
Qual è il punto di partenza?
Prima delle elezioni, Più Europa era federata con Azione e aveva stretto un’alleanza con il PD di Letta. Preso atto che non sarebbe stata vincolante in termini programmatici rispetto agli accordi suggellati con Verdi e Sinistra Italiana, le strade dei due partiti si erano divise. Più Europa è rimasta nel centrosinistra, mentre Azione aveva scelto la coalizione con Italia Viva.
Il caos di quei giorni aveva creato non pochi problemi in termini elettorali. Tutte le sigle che avevano lavorato al Patto per l’Italia, coordinato da Cottarelli poi candidato con il centrosinistra, erano rimaste escluse dal Terzo Polo. Stessa sorte per Lista Civica Nazionale, il soggetto elettorale di Piercamillo Falasca e Federico Pizzarotti, ora confluita in Più Europa.
La federazione post-elettorale tra i partiti di Renzi e Calenda è ormai ufficiale, così come prima lo era stato il travaso di classe dirigente locale e nazionale da Forza Italia ad Azione. Il discreto risultato del 24 settembre, tuttavia, ha lasciato a molti la sensazione che si potesse fare di più, quindi la speranza di poter ottenere risultati migliori.
Il limbo di Più Europa
Più Europa è stata molto ostile nei confronti del Terzo Polo in campagna elettorale e, in realtà, continua a esserlo. Le dimostrazioni sono molteplici, ma tre su tutte sono indicative. Benedetto Della Vedova, segretario del partito eletto per due volte con metodi politicamente discutibili, è stato chiaro all’evento di Milano: è disponibile a costituire una lista unica per le europee. Quindi era anche l’unico presente non favorevole alla nascita di un partito unico. Questione di forma? No, di sostanza.
Un altro punto sostanzialmente differente è chiarissimo nella considerazione del PD. Della Vedova ha ribadito di vederlo come un interlocutore, il Terzo Polo sta cercando di prenderne (lentamente) le distanze. Ma ci torneremo.
L’ultimo indizio è nascosto, ma nemmeno tanto, nelle liste elettorali delle lezioni regionali. In Lazio, dove per carenza di forza il Terzo Polo è andato con il centrosinistra, Più Europa ha preferito fare una lista propria (con la collaborazione di Volt e Radicali Italiani). In Lombardia, dove Majorino ha incluso il M5S nel centrosinistra, Più Europa è uscita dalla coalizione. Con due ma, non irrilevanti. Innanzitutto, l’unico consigliere uscente è candidato nella lista civica del candidato di centrosinistra in quota Radicali Italiani. Inoltre, il partito ha rifiutato condividere la candidatura di Letizia Moratti con Azione e Italia Viva.
Dentro il partito le sensibilità sono diverse e l’imminente congresso potrebbe scompaginare l’attuale impostazione. L’asse Bonino-Della Vedova, con Magi sullo sfondo, potrebbe essere messo in seria discussione dalle mozioni filocentriste di Del Balzo e Pizzarotti.
Il rapporto col PD
Guido Della Frera, imprenditore ed ex deputato uscito da Forza Italia nella scorsa legislatura attualmente in Italia Viva, ha messo sul tavolo la questione del rapporto col PD durante l’ultima Assemblea Nazionale. “Il Terzo Polo deve rompere questi retaggi con il passato. Ci piace essere sbeffeggiati? Mi si stringe il cuore – ha arringato Della Frera – quando sento Calenda dire che ha telefonato 28 volte a Letta e non gli ha risposto. Dobbiamo guardare avanti. Il Terzo Polo deve uscire da questi retaggi ideologico-culturali.”
Le ultime dichiarazioni del leader maximo di Azione, a dire il vero, vanno in questa direzione. Durissime verso la sinistra del Partito Democratico, ma anche verso Bonaccini. La mozione del governatore dell’Emilia Romagna, la favorita, è dipinta dai giornali come “l’opzione riformista”. La verità è che il riformismo non può stare in balìa delle correnti di Emiliano, De Luca e Ricci che lo sostengono, né degli umori del Movimento 5 Stelle indicato come alleato dallo stesso Bonaccini su La Stampa.
I rapporti di forza
Almeno fino al 2027, le relazioni con il PD dovranno essere ridotte ai minimi termini. Dev’essere superata la subalternità culturale che una parte del mondo centrista ha vissuto in passato e ancora vive nei confronti del PD. Non solo perché il populismo è penetrato al suo interno e ha fatto degenerare il partito, ma perché quest’ultimo ha dimostrato di essere inadeguato al governo della Repubblica.
Si potrà fare un passo in questa direzione, forse, solo nel remoto caso in cui il PD sia davvero ridotto ai minimi termini e, allo stesso tempo, il Terzo Polo valga almeno il triplo in termini percentuali.
Com’è vero che c’è una fascia di persone che vota il partito populista di turno, è anche vero che c’è una fetta di mercato elettorale che continua a rivolgersi al PD in quanto unico garante della stabilità, l’unico “adulto nella stanza” come amano scrivere su alcuni giornali. Se le cifre del consenso del Terzo Polo si avvicineranno a quelle del Partito Democratico, questa parte di elettori diventerà seriamente contendibile.
La piattaforma ideologica del nuovo partito libdem
Arrivati a questo punto, molti potrebbero pensare che stiamo cadendo per l’ennesima volta nel politicismo. Si parte dalle alleanze e dai partiti, anziché dalle idee. Ebbene sì.
Questo passaggio va fatto prima, subito, perché è prodromico alla definizione della piattaforma ideologica alla base del nuovo soggetto. Chiunque può comprendere che considerare il Partito Democratico un interlocutore privilegiato è ben diverso da farlo con Forza Italia o con nessuno dei due. Il target elettorale, evidentemente, cambia a seconda della scelta. E, soprattutto nelle prima fase, sarà necessario proprio rivolgersi ad alcune nicchie specifiche, i giovani su tutti, anziché porsi come l’ennesimo partito pigliatutto.
La strada solitaria che oggi sembra essere stata imboccata, è anche l’unica che può mettere fine alla diaspora politica e associativa delle tantissime realtà liberali. Non è un caso che l’evento di Milano si sia tenuto proprio ora e che sia stato ben più partecipato del previsto. “La terza gamba del Terzo Polo”, si sono definiti gli organizzatori guidati dall’economista Simona Benedettini. Si sono finalmente create tutte le condizioni affinché nasca un soggetto davvero innovativo per il sistema politico del nostro Paese.
Non vivere le differenze come un fastidio
È chiaro a tutti che se l’operazione iniziata sabato andasse in porto, nel nuovo partito convivrebbero sensibilità che siamo abituati a definire distanti. Dal popolarismo al liberalismo classico, dal riformismo progressista al liberalismo sociale. E forse pure i radicali. Eppure, è una questione di prospettive.
Tutte le componenti del costituendo partito liberaldemocratico, la versione domestica di Renew Europe, hanno una cosa in comune: sono più vicine tra loro di quanto siano vicine a destra e sinistra. Nell’ultimo trentennio ci eravamo abituati a porre l’accento più sulle differenze che sui punti comuni. Ebbene, se la riflessione sarà incentrata sulla libertà individuale e sulla centralità dell’individuo, anche in quanto essere umano, rispetto alla società, la strada può essere percorsa.
Dentro le coalizioni di centrosinistra e centrodestra, così come nei partiti della prima Repubblica, nonché nei partiti ancora strutturati in giro per l’Europa, hanno sempre coabitato correnti differenti afferenti a una simile visione del mondo. Non c’è un valido motivo affinché ciò non possa accadere anche ora.
La visione comune: società aperta ed economia di mercato
La visione del mondo che accomuna le varie (aspiranti) correnti del nuovo partito è chiara. Non sono in discussione la società aperta e l’economia di mercato. L’identità europea, da rivendicare nel gruppo Renew Europe, e la scelta atlantica sono irrinunciabili, così come la convinzione che il mercato sia più imbrigliato di quanto sarebbe ottimale per un maggiore benessere collettivo. Partendo da questi due assunti si possono affrontare alcuni problemi che non si possono ignorare, come la transizione ecologica e i conflitti intergenerazionali. Magari, riservando un po’ di attenzione anche alle libertà civili, trascurate in campagna elettorale.
Com’è ovvio, le declinazioni di tali orientamenti possono essere molteplici ed è proprio questo il punto. Non è importante. L’importante è che all’interno del partito non manchi il dibattito culturale, esistano organi assembleari eletti per scegliere la linea politica e la contendibilità democratica del partito sia possibile e cristallina.
Chi lamenta l’eccessivo “politicismo” di tale impostazione, che sottende l’insofferenza nei confronti di posizioni difformi dalla propria, non potrà essere parte di questa nuova realtà. Non è realistico immaginare un partito di cui condividere completamente l’impostazione, tanto meno nell’area liberale che nel nostro Paese è minoritaria per definizione.
Costituente LibDem a Milano: che sia solo l’inizio
Con umiltà, una caratteristica umana latitante nella galassia liberale italiana, a Milano tutti hanno espresso la propria disponibilità a fare un passo indietro. Tutti si sono detti disposti a mettere da parte i dissapori del passato. Un buon inizio, senza dubbio. La strada è lunga, senza dubbio.
Ma è il momento di serrare i ranghi e tirare le fila. C’è bisogno di un partito liberale, c’è voglia di andare a prendersi nuovi spazi di libertà. Il momento è adesso.